Intervista con Dome della label italiana Black Sweat Records

Nuova tappa della mio veleggiare “spideristico-musicale” in questo affascinante universo di suoni e visioni che ci circonda e ci accompagna in ogni nostra quotidiana peregrinazione. L’approdo di questa puntata è a Milano, presso le lande della Black Sweat Records, label dedita ad esplorare artisti che si muovono tra ambient, improvvisazione, psichedelia e tanti altri generi, con attenzione particolare alla poetica degli artisti trattati. Anche in questo caso alle mie domande ha risposto con la massima disponibilità Dome, che si è prestato a parlare della storia, della quotidianità e del futuro della Black Sweat Records. A voi la lettura.

Come è nata l’idea di fondare la Black Sweat Records?

L’idea nasce dalla mia grande passione per la musica degli anni ’60 e ’70. All’inizio non avevo esperienze nell’ambito delle ristampe, in quanto venivo dal mondo delle autoproduzioni di musica punk e hardcore. Poi ho conosciuto i ragazzi di quella che è diventata oggi la Bongo Joe Records in Svizzera. Grazie a loro ho fatto il primo disco, Eden Ahbez, un personaggio da cui rimasi fortemente affascinato. Il secondo è stato ‘Positive Force’ degli Al Doum and the Faryds, che è la band in cui suono. Entrambe queste prime uscite si sono rivelate delle belle esperienze formative. Mi sono talmente divertito che da allora non mi sono più fermato, con il tempo ho iniziato a curare anche la grafica di alcune copertine ed anche quello si è rivelato essere molto stimolante.

Su che genere musicale vi siete orientati? E perché?

Non c’è un genere in particolare, le scelte artistiche sono influenzate dal mio gusto personale, ma potrebbe andare bene qualsiasi cosa se mi piace realmente. Di certo i suoni analogici e caldi sono per me molto importanti, vengo da quel tipo di estetica musicale. Guardandomi indietro sicuramente ci sono alcuni filoni che fanno da filo conduttore : lo spiritual jazz, la musica etnica, le frange più spaziali e cosmiche dell’elettronica analogica e dell’ambient, i suoni naturali, il minimalismo, questi sono alcuni degli ingredienti essenziali che caratterizzano maggiormente l’identità dell’etichetta.

La vostra proposta musicale è cambiata negli anni?

Bella domanda, forse adesso sono più orientato a nuove produzioni anche se implicano un sforzo molto maggiore. Lo spirito nel fare le cose è sempre lo stesso, però direi che la proposta mi sembra abbastanza in linea rispetto all’inizio, in equilibrio tra il recupero di alcuni tesori nascosti rispolverati attraverso le ristampe, e la produzione di musiche inedite. Poi si scoprono nuovi musicisti e nuovi filoni musicali più contemporanei, e non sai mai quello che ti può capitare sotto mano. A volte non è immediata la realizzazione di certi dischi, bisogna risalire a chi detiene i diritti e le concessioni, e la comunicazione con i responsabili di vecchie case discografiche o i familiari di artisti scomparsi, procede lentamente. Ma anche questo lato investigativo del mio lavoro ha un suo lato intrigante. In ogni caso il bello della musica risiede nell’essere un mare inesauribile, dove puoi scoprire sempre nuove cose; la curiosità porta sempre a nuovi stimoli, suggestioni e collaborazioni.

Le vostre produzioni sono in formato Cd, vinile, digitale. Quale formato secondo voi riesce ad esprimere meglio la vostra filosofia di Musica?

Io sono legato al supporto e quello più bello è sicuramente il vinile. Non disdegno gli altri formati, però il vinile ti inchioda, obbligandoti a dedicarti con più attenzione all’ascolto, ad approfondire… e questa è una cosa che si sta perdendo con i nuovi supporti in digitale. Diciamo che il vinile ti spinge a selezionare di più perché costa e non puoi comprare tutto. Poi ha le sue scomodità, devi girare il lato, devi stare lì con lui, maggiormente connesso e ascoltare. Ultimamente penso che nella nostra vita ci siano delle scomodità che hanno un valore ed un significato aggiunto, non tutto ciò che è comodo o maggiormente tecnologico rappresenta sempre la scelta migliore. Vedere poi il risultato finale della stampa di un vinile, completo della sua copertina o degli inserti, ha sempre un fascino ed emozione molto forti per un appassionato come me.

Cosa ne pensate delle coproduzioni tra label discografiche?

Io le amo particolarmente, anche se sono più complicate ed impegnative, però si collabora tra persone e si creano progetti insieme, si veicolano idee differenti, creando qualcosa di unico con il contributo delle varie etichette. In questi anni ho collaborato innanzitutto con la Sing A Song Fighter di Stoccolma, instaurando una piacevole corrispondenza con il suo animatore Karl-Jonas Winqvist, che mi ha introdotto ad alcuni artisti molto particolari quali la sassofonista Lina Langendorf, Isak Sundström e la danzatrice Greta Lindholm. Sempre in ambito svedese ho maturato un felice dialogo con Bengt Berger, storico esponente del jazz scandinavo e fondatore della Country & Eastern, della quale ho ristampato in vinile alcune registrazioni di musica classica indiana ed il live della Bitter Beer Funeral Band. Tra le altre collaborazioni ci sono poi quelle con Bongo Joe Records (Svizzera), We Are Busy Bodies (Canada), la Maple Death di Bologna, la Holidays Records di Stefano Rossi, con il quale condividiamo anche gli stessi spazi nel nostro studio-archivio di Milano, e la storica ADN. Presto ci sarà anche una pubblicazione in tandem con degli amici che animano la label Les Giants (Italia).

Che ne pensate dei social per promuovere la conoscenza e l’ascolto della musica della vostra label? Siete attivi sui social?

Diciamo che l’etichetta non si è mai caratterizzata per una particolare attenzione al mondo dei social, da cui tengo abbastanza le distanze. Di certo preferisco parlare con gli amici e comunicare direttamente con nuove persone che si rivelano interessate al mio lavoro. Però il mondo e la possibilità di raggiungere le persone, al momento richiede un certo lavoro sui social che cerchiamo di fare cercando di creare bei contenuti, il tutto grazie agli amici che collaborano con l’etichetta. Ad esempio, nell’ultimo anno abbiamo realizzato dei brevi video di lancio/presentazione degli album, che vengono poi caricati su alcune piattaforme.

Come vedete la promozione e la diffusione della musica che proponete?

Trattando la divulgazione di musiche particolari e, diciamo così, magari non allineate con il gusto generale ed omologato di molta musica di consumo, non è facile arrivare ad un vasto pubblico di ascoltatori. La distribuzione dei nostri dischi negli Stati Uniti ed in Giappone sicuramente ci danno un minimo di visibilità internazionale, e nel corso degli anni si è creata sicuramente una nicchia ristretta di fedeli appassionati e ammiratori del nostro lavoro culturale attraverso la musica. Anche in ambito radiofonico, ad esempio, abbiamo avuto dei buoni riscontri, e un programma come Battiti su RadioRai 3 ci segue sempre con attenzione, passando spesso le nostre produzioni musicali.

Possibili progetti futuri come un libro che racconti la storia della label?

Eh ma sai che ci sta pensando Andrea, mio caro amico e collaboratore, che si occupa dei testi dell’etichetta, dedicandosi alla realizzazione di brevi presentazioni degli album e alla redazione dei testi di alcuni inserti, dal carattere storiografico e biografico di più ampio respiro. Quella del libro è un’idea che coltiva da alcuni anni, ma pare che adesso stia prendendo pian piano forma e concretezza. Vediamo se l’autunno e l’inverno gli daranno la giusta ispirazione e cosa ne verrà fuori. Di sicuro ha già contattato alcuni dei musicisti coinvolti nel catalogo della label per raccogliere brevi contributi e testimonianze.

Chiusa dell’intervista: le prossime uscite in cantiere?

Prossimamente è prevista la ristampa di un altro disco di Antonio Infantino, musicista, poeta e visionario divulgatore della Taranta del Sud Italia. Poi un disco di tradizione Gagaku, che è la musica secolare della corte imperiale giapponese e un suggestivo lavoro sui pipistrelli della musicologa Mariolina Zitta. Infine, in dirittura d’arrivo c’è anche il nuovo disco degli Al Doum and the Faryds, nato nel tempo prima con il rodaggio dei brani durante i nostri concerti, e poi con le sessioni di registrazione al Guscio Studio del Lorenz, la nostra casa base 🙂

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