(VELUT LUNA 2025)
Iconica, paradigmatica, storica, mitica. L’improvvisazione solistica al pianoforte che Keith Jarrett eseguì a Colonia il 24 gennaio 1975, ovvero ormai 50 anni fa, può essere aggettivata in diversi modi; ma sicuramente si tratta di uno degli esempi magistrali di un flusso improvvisativo non basato su composizioni o strutture più o meno predefinite esplicitamente. La storia è nota: giunto stanco e non molto ben disposto nella città tedesca, Jarrett trovò a sua disposizione un pianoforte non proprio esaltante. E dovette far di necessità virtù, per far fruttare al massimo le risorse a sua disposizione. A partire dalla risposta alla sigla che annunciava l’inizio del concerto – la celebre melodia del Big Ben londinese – Jarrett si esibì in un lungo assolo che lasciò il pubblico presente in sala estasiato; e la registrazione di quella performance fece la fortuna della ECM – offrendo ad ascoltatori di diverse generazioni un costrutto musicale che alcuni si presero la briga di trascrivere, per usare quella musica come se fosse stata una composizione, e altri utilizzarono a vario titolo come caso precipuo di improvvisazione libera – ancorché ben ancorata a schemi di tipo modale e capace di offrire preziose cantabili melodie. Quello storico capolavoro, effimero, eppur “eternato” dalla registrazione, segnò la vita artistica del musicista americano anche più delle collaborazioni con Miles e con il trio formato insieme a Jack DeJohnette e Gary Peacock.
Nel loro album Pietro Ballestrero e Davide Liberti – con il loro consolidato duo di chitarra acustica e contrabbasso – rendono omaggio a questo capolavoro. E lo fanno in modo non banale. Il loro lavoro, registrato in due riprese pomeridiane nella prima settimana di gennaio dell’anno in corso, e poi mixato e masterizzato nel suo studio di Valencia da Marco Lincetto, presenta anzitutto versioni della title track (l’unica composizione che Jarrett offrì, come bis, in quel concerto di 50 anni fa), di Country (brano autografo che Jarrett suonava con il quartetto europeo) e Moon and sand (brano di Alec Wilder che Jarrett suonava in trio con Peacock e DeJohnette ); ma propone in particolare due composizioni di Ballestrero (I cani di Delphine, Deep Breath) e una di Liberti (Cancellami la memoria) , ispirate alle atmosfere del pianismo di Jarrett (ostinati, semplici giri armonici, invenzioni melodiche su pedali); e, soprattutto, presenta tracce che nascono dal riuso di alcune tra le melodie più significative incontrate da Jarrett nel corso della sua performance di Colonia, che diventano così una sorta di standard tematici a partire da cui sviluppare nuove improvvisazioni.
L’omaggio del duo è quindi, almeno in parte, una (ri)composizione a partire dall’improvvisazione registrata di Jarrett, su cui poi sono inventate nuove improvvisazioni. Sono proprio ‘memories of tomorrow’ quelle che i due musicisti piemontesi rinvengono/inventano, suonando un’eco di quanto ieri era stato depositato sul nastro in una notte di gennaio. Memorie del domani, un po’ nostalgiche, ma anche aperte alle belle incertezze dell’avvenire – presagito in parte, in parte tuttavia senz’altro sorprendente. Una memoria musicale, che marca il suo rapporto costitutivo con l’immaginazione: quella performativa delle improvvisazioni, quella ragionata delle composizioni ispirate alla musica del grande pianista che il contrabbasso di Liberti (a cinque corde e con un do acuto in più rispetto ai normali contrabbassi) e la chitarra classica, con corde di nylon, di Ballestrero fanno rivivere nel modo migliore: trovando un inedito senso sonoro per quel meraviglioso evento artistico: transeunte come qualsiasi momento che viviamo; eppure, anche grazie alla registrazione, destinato ad ammantarsi di un’aura estetica che poche altri fenomeni artistici del recente passato possono vantare.
Voto: 9/10
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