Intervista con Lucia Ronchetti, Direttore del 67° Festival Internazionale di Musica Contemporanea Micro-Music, della Biennale di Venezia

Quarto appuntamento della serie di interviste a direttori artistici di Festival, in giro per l’Italia, che si approcciano alla Musica in maniera caratterizzante, provando a dare un loro punto di vista peculiare sul panorama contemporaneo. La prima intervista è stata con Paolo Francesco Visci, direttore dell’IndieRocket Festival di Pescara, in Abruzzo (qui). La seconda intervista è stata con Marek Lukasik, direttore artistico del Lars Rock Fest di Chiusi, in provincia di Siena (qui). La terza intervista è stata con Massimo Simonini direttore artistico dell’AngelicA Fest di Bologna (qui). Oggi intervisto Lucia Ronchetti, direttore del Direttore del 67° Festival Internazionale di Musica Contemporanea Micro-Music, della Biennale di Venezia, che quest’anno con il titolo Micro-Music ha allestito un festival dedicato a, riprendo le sue parole: “sia la visione del microfono come mezzo di registrazione e amplificazione, sia il tentativo di penetrare nella realtà microscopica del suono, nella sua materia e nella sua evoluzione nel tempo”.
L’importanza di un festival come la Biennale Musica, la particolarità di questa interessante edizione, i nomi dei compositori coinvolti da Lucia Ronchetti, le idee e le possibilità di esplorazione del mondo musicale TUTTO, sono stati il traino che mi ha portato, dialogando con Ronchetti, ad voler approfondire la genesi, la filosofia e la poetica dietro al festival. A voi come sempre la lettura.

Come è nata l’idea del Festival Micro-Music?

(foto in home: Courtesy La Biennale di Venezia ph. Andrea Avezzù) Già nel 2020, nella mia proposta al Presidente Roberto Cicutto riguardo al programma da realizzare nei quattro anni del mio mandato, avevo previsto quattro temi molto diversi tra di loro da sviluppare nei quattro festival. Dopo il panorama sulla musica vocale a cappella presentato nel 2021, il teatro musicale sperimentale del 2022 e prima del festival conclusivo del 2024 dedicato alla musica assoluta, avevo previsto un festival sulla musica digitale, sul suono elettronico e sui nuovi mezzi di amplificazione e diffusione del suono. Il titolo Micro-music riguarda sia la visione del microfono come mezzo di registrazione e amplificazione, sia il tentativo di penetrare nella realtà microscopica del suono, nella sua materia e nella sua evoluzione nel tempo.

Come si compone il festival?

Il festival è articolato in 5 sezioni molto diverse tra loro, che nell’insieme ambiscono a proporre un panorama completo delle diverse tendenze dell’elettronica e della ricerca compositiva attuale: Sound Microscopies, Sound Installations / Sound Exhibitions, Club Micro-Music, Stylus Phantasticus – The Sound diffused by Venetian Organs, Digital Sound Horizons e una sezione teorica, Sound Studies, di riflessione sugli orizzonti tecnologici dell’elettronica.
Le varie sezioni alternano modalità diverse di ascolto e scoperta del suono digitale e della possibilità relative alla spazializzazione: In Sound Microscopies il pubblico è seduto in posizioni diverse ma sempre al centro della sorgente sonora e può penetrare negli aspetti compositivi più alchemici e complessi del suono digitale. In Sound Installations / Sound Exhibitions, il pubblico può entrare in diversi spazi dove le campiture sonore elettroniche sono esibite in modo che esplorando lo spazio, si possa apprezzare aspetti diversi della realtà sonora, senza un ordine cronologico e senza un obbligo temporale. Nel Club Micro-Music il pubblico è in piedi o liberamente seduto e può entrare e uscire dai concerti, e si prevede l’alternanza di diversi compositori/performer che restituiscono un variegato panorama della cultura musicale dei club, alternando live a sessioni dj. Stylus Phantasticus – The Sound diffused by Venetian Organs, presenta alcuni importanti organi veneziani, mettendo in evidenza la loro fattura come sistemi complessi di amplificazione e diffusione del suono nello spazio della chiesa o nella sala per la quale sono stati concepiti. I concerti sono affidati a organisti capaci di performance potenti e raffinate che generano flussi sonori intensi e complessi. Digital Sound Horizons è la sezione dove sono esplorate nuove possibilità generative del suono elettronico attraverso tecnologie dell’ultima generazione, per proporre un panorama possibile delle tendenze attuali e future.

In base a quali criteri sono stati selezionati gli artisti e i relatori delle tavole rotonde?

Grazie alla Biennale, all’Archivio ASAC e alla mia residenza al Wissenschaftskolleg di Berlino, ho avuto la possibilità di analizzare la letteratura recente in lingua inglese soprattutto, ma anche tedesca e francese, relativa alle produzioni e innovazioni recenti relative al suono digitale e ho seguito diversi festival dedicati, riconosciuti in questo ambito, interagendo con illuminati direttori artistici, come Remco Schuurbiers del CTM di Berlino,  Lucas van der Velden di Sonic Acts di Amsterdam e Gerfried Stocker di Ars Electronica di Linz. La scelta del programma è volutamente diversificata e articolata, dando per scontato che non possa essere esaustiva perché il panorama attuale è estremamente fertile e straordinariamente affascinante.

Mi racconti il perché dei due Leoni alla carriera: Oro a Brian Eno e Argento a Miller Puckette.

Brian Eno riceve il Leone d’oro per la sua ricerca di bellezza e piacere dell’ascolto del suono digitale, per la concettualità e il pragmatismo con cui ha perseguito questo intento e per la sua visionaria idea della musica generativa e ambientale che informa molte delle tendenze compositive attuali nell’ambito dell’elettronica. Miller Puckette ha creato due programmi di elaborazione del suono in tempo reale, Max Msp e Pure Data, che hanno rivoluzionato le possibilità compositive di tre generazioni di compositori e continuano ad essere usati da giovani musicisti, sound artists e compositori di tutto il mondo. Con il Leone d’argento intendo premiare le figure professionali che nel loro lavoro, spesso in ombra, creano le basi analitiche, informatiche e performative che permettono la nascita di grandi opere compositive.

Come nascono le collaborazioni con il festival CMT di Berlino e Ars Electronica di Linz?

La Biennale Musica è un festival molto antico dedicato alla creazione musicale contemporanea, ma non ha una specializzazione, dato che il direttore artistico cambia costantemente e il festival evolve disegnando sempre nuovi panorami compositivi relativi agli anni recenti e ha il compito e l’ambizione di commissionare sempre nuove musiche. Di conseguenza non c’è alla base della Biennale Musica una storia specifica e una esperienza relativa alla produzione elettronica e, anche nell’ambito della mia direzione artistica, questo tema sarà l’argomento di un solo festival di 15 giorni.
Il confronto con i grandi festival storici come CTM e Ars Electronica è quindi impossibile, ma da anni la Biennale di Venezia ha creato due studi di ricerca e produzione elettronica, il CIMM (Centro di Informatica Musicale e Multimediale), uno all’Arsenale di Venezia e uno al Parco della Bissuola di Mestre. Nati durante la direzione artistica di Ivan Fedele e gestiti soprattutto dalla Biennale Musica e nell’ambito della Biennale College Musica, la produzione elettronica è stata molto sviluppata e sostenuta, grazie anche alla costante presenza come tutor dell’ingegnere del suono e compositore Thierry Coduys e di tutta l’equipe tecnica del College. Attraverso le varie produzioni del festival si è consolidata una equipe tecnica qualitativamente eccezionale che ha potuto interagire con tutti gli artisti invitati quest’anno e creare per tutti le condizioni tecniche necessarie per la presentazione e lo sviluppo di progetti avveniristici. Questo ha permesso un dialogo e un’interazione positiva con i grandi festival e la possibilità di creare co-produzioni importanti, come le due con Sonic Acts, che rendono il festival parte di una rete di interessi e tendenze che prima non era così esplicita.

Interessante la scelta di far eseguire il ciclo ‘Professor Bad Trip’ di Fausto Romitelli, un artista che amava contaminare la sua ricerca musicale navigando tra vari generi senza pregiudizi. Come è nata?

Fausto Romitelli rappresenta, come Brian Eno, un precursore e un pioniere di una visione aperta della produzione musicale elettronica e della ricerca della carnalità del suono elettronico, del suo fascino e della sua presenza sculturale. Anche se nella sua produzione compositiva l’elettronica è sempre derivata e cesellata dal suono strumentale, le sue elaborazioni echeggiano trattamenti dell’ambito rock che erano già completamente autonomi della sorgente strumentale acustica.
Ho voluto riconoscere la sua importanza attraverso la programmazione di un lavoro importante e sintomatico, anche se già eseguito nella storia della Biennale Musica e presente anche nelle registrazioni di Radio Tre, perché estremamente repertorizzato, come è giusto che sia.
Fausto Romitelli è quindi trattato come un classico nell’ambito del festival ed è un grande riconoscimento perché per essere un classico è relativamente e virtualmente giovane, se pensiamo che avrebbe compiuto 60 anni quest’anno.

Mi parli della sua recente esperienza come Fellow al Wissenschaftskolleg zu Berlin. Di che cosa si è occupata? La “visione” dell’Istituto ha in qualche modo ispirato questa Biennale?

La residenza al Wissenschaftskolleg zu Berlin è stato un grandissimo onore per me, una inaspettata e bellissima sorpresa, perché ogni anno l’istituto seleziona un compositore internazionale, senza candidatura, e dopo una lista di riconosciuti compositori sono stata scelta come prima compositrice italiana, dopo la tedesca Isabel Mundry e l’australiana Liza Lim, ed è stata una grande emozione. Nell’anno che ho passato nella meravigliosa Villa Walter nel Grunewald, ho potuto interagire con i 35 teorici e studiosi in residenza, scienziati e ricercatori provenienti dalle più importanti università del mondo e ho assistito alle loro ricerche, ai loro seminari e studiato molto per capire il loro linguaggio e i loro orizzonti di ricerca e ho potuto lavorare alla mia nuova opera, ‘Searching for Zenobia’ che sarà presentata alla Munchener Biennale a giugno 2024 con la regia di Isabel Ostermann.

Courtesy La Biennale di Venezia / foto di Andrea Avezzù

Premesso che se potessi mi accamperei con una tenda davanti al Teatro La Fenice per tutta la durata della Biennale, che spettacoli – talk consiglia di vedere – ascoltare?

Come ascoltatrice appassionata del mondo che ho scoperto durante la preparazione del festival, aspetto con gioia di ascoltare il concerto finale dell’inedito duo di originali e affascinanti sound designer Nicolas Becker e Robert Aiki Aubrey Lowe e i lavori della giovanissima generazione prodotti nella Biennale College Musica, come la performance di Estelle Schorpp, giovane programmatrice e compositrice canadese che lavora con un grammofono “aumentato” e il giovanissimo liutaio informatico, compositore e performer fiorentino Fabio Machiavelli, che presenta tre strumenti affascinanti inventati da lui.

Futuro della Biennale di Musica? Continuerà ad esplorare le tematiche trattate in questa edizione?

Il mio mandato come direttrice artistica si conclude nel 2024 con il festival sulla Musica assoluta che presenterà anche alcuni grandi affreschi elettronici e poi la parola passerà al nuovo direttore o direttrice artistica che realizzeranno il loro programma sulla base della loro sensibilità ed esperienza compositiva e sarà una sorpresa di cui non possiamo prevedere nulla.

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