Intervista con Davide Lorenzon della label Aut Records

La Aut Records è una di quelle label, cuore italiano, quotidianità germanica, che ha condiviso in questi anni le sue avventure soniche con Kathodik, la label produttrice e Kathodik recensore di alcune delle sue interessanti uscite di musica Jazz, sia di autori italiani che stranieri. Quest’anno mi è sembrato giusto approfondire la conoscenza della label scambiando le mie consuete quattro chiacchiere digitali con Davide Lorenzon, fondatore e deus ex machina della Aut Records. A voi la lettura.

Come è nata l’idea di fondare la Aut Records?

Per un’esigenza di auto-produzione.
Nel 2008 suonavo con il trio Kongrosian (allora era ancora un quartetto), e dopo aver registrato il nostro primo album mi venne l’idea di farlo uscire con un’etichetta “nostra”. L’intento all’inizio era quello di pubblicare la nostra musica e quella di altre persone a noi vicine. Poi le cose mi sono sfuggite di mano e il cerchio di amici e di amiche si è allargato.

Kongrosian

Quali sono le ragioni in base alle quali si è deciso di concentrare le produzioni sulla musica jazz/sperimentale?

Senza dubbio la causa è da ricercare nel mio percorso personale.
Ho sempre avuto una propensione per le produzioni culturali che stanno ai margini, prima la fascinazione per l’hip-hop nella prima metà degli anni ‘90, poi il punk-hardcore nella seconda metà.
Allo stesso tempo dai 9 ai 15 anni ho preso lezioni di clarinetto e sassofono classici nella scuola di musica di Vittorio Veneto, dove sono cresciuto. Dopo una pausa di alcuni anni, sono ritornato su questi strumenti, ma con un approccio diverso, avendo scoperto nel frattempo il jazz e l’improvvisazione. Da lì si è aperto un lungo cammino, fatto di grandi scoperte e di nuove passioni. Con l’Improvvirusoundexperience prima e i Kongrosian poi, la passione è diventata più concreta fino a portarmi a quel primo disco che ha dato il via ad Aut.

Davide Lorenzon

In questi anni avete pensato a produrre album di altri generi musicali?

Fin dall’inizio ho pensato ad Aut come un’etichetta che cerca di andare al di là dei “generi musicali”. E’ vero che il legame più evidente dell’etichetta è con il jazz creativo, ma con l’accento posto più sull’aggettivo che sul sostantivo.
Non ho preclusioni verso nessun tipo di musica, ma di fatto ci sono territori, come quello jazz, che sono per loro natura più propensi a superare sé stessi e altri meno. Una volta fuori dai confini tracciati, il territorio da esplorare è infinito.

Le produzioni della Aut Records sono esclusivamente, almeno a mia conoscenza, in formato cd. Del vinile che ne pensate? La considerate una opzione da sondare? Del digitale?

Le uscite in vinile sono poche ma ci sono. Per ora in catalogo ce ne sono tre: Raccoglimento Parziale “Homoheterogeneity”, Kongrosian “Green Ideas Sleep Furiously” e Anatrofobia “Canto Fermo”. Altri tre vinili usciranno la prossima primavera: la ristampa in vinile di “Ornettiana” di Monica Agosti ShapeX, e due quartetti al debutto: quello di Blaž Švagan e il Vortex Four di Grgur Savic.
Ci sono anche delle uscite esclusivamente in digitale, “Aut to lunch” e “Cosa c’è lì non c’è” dei Crisco 3.
Abbiamo appena fatto uscire un disco in digitale, “Recoil” del trio Henkel Duston Hall, però disponibile anche su una cartolina con il codice per il download. Fino ad ora l’unico formato che non abbiamo trattato sono le cassette.
Non ho una preferenza per alcun supporto in particolare, ogni tipologia presenta dei pregi e dei limiti e di conseguenza non ho mai pensato di fare di uno di questi supporti un tratto caratterizzante della label.

Cosa ne pensate delle coproduzioni tra label discografiche?

Penso possa essere un buon mezzo per dare luce a delle produzioni particolari. La sinergia che si viene a creare aiuta sicuramente. Il vinile di Anatrofobia è proprio un esempio in questo senso, essendo una collaborazione tra Wallace, Aut, Adn, Lizard e Neon Paralleli.
Un altro disco che abbiamo fatto uscire in coproduzione è ‘Anasyrma’ dei Tell No Lies, uscito in collaborazione con Fonterossa.

Che ne pensate dei social per promuovere la conoscenza e l’ascolto della musica jazz/sperimentale? Siete attivi sui social?

Siamo attivi principalmente su Facebook e Instagram.
I social, salvo pochi casi di viralità “dal basso”, amplificano ciò che è già iper-visibile altrove oppure, quando non è così, sono altri i tipi di contenuto che funzionano di più. Per questo penso sia difficile bucare la bolla in cui siamo confinati dagli algoritmi, e per provarci, non dico riuscirci, ci vogliono energie che preferisco dirottare verso altro o che banalmente non ho. Detto questo, un po’ di seguito lo abbiamo e per questo ha un senso continuare a condividere i nostri contenuti anche su queste piattaforme.

Foto collettiva del primo Aut Fest del 2014

La label è localizzata in Germania, a Berlino. Differenze-similitudini tra la scena musicale italiana e quella tedesca.

Della scena tedesca in senso ampio non so molto, e anche da quella italiana manco da troppo tempo per fare un confronto, ma ti parlo volentieri di come vedo la scena berlinese.
Credo che ormai in molti sappiano che a Berlino c’è una tra le scene musicali più vive d’Europa. Forse anche qui la pandemia ha fatto un po’ di danni da questo punto di vista ma ci sono stati cospicui aiuti per far fronte alla situazione e fare in modo che anche le realtà dedicate a musiche di nicchia sopravvivessero. Rimane quindi tuttora uno dei posti più vitali con diversi locali dove ogni sera è possibile andare a sentire qualcosa di interessante. Basta dare un’occhiata al calendario Echtzeitmusik.de e in questo fine settimana ci sono ben 24 concerti della scena “di ricerca”. Non credo ci siano paragoni con altre capitali europee da questo punto di vista.
Tutto questo aiuta anche dal punto di vista delle collaborazioni musicali, che possono iniziare come avventure di una serata e poi continuare come relazioni più stabili, in una sorta di laboratorio in perenne attività.

Come vedete il futuro della musica sperimentale?

E’ una domanda enorme a cui è difficile rispondere senza dire delle banalità.
Guardando la mole di musica di questo tipo che ogni giorno ci arriva da ogni angolo del mondo mi sembra che ci siano sufficienti ragioni per essere ottimisti. La nostra società, anche se barcollante, sembra andare in una direzione di una sempre maggior connessione e gli scambi e le relazioni che ne conseguiranno potranno essere terreno fertile anche in campo musicale. Questo è un dato principalmente quantitativo che, se per definizione non ci dice molto della qualità della musica, sta comunque a testimoniarne la vitalità.
L’uso della tecnologia continuerà probabilmente a svolgere un ruolo significativo nella creazione e nella diffusione della musica sperimentale, penso ad esempio al ruolo che potranno svolgere la realtà virtuale e l’intelligenza artificiale nel processo creativo per creare nuove forme di musica interattiva e generativa, con tutti i lati oscuri del caso. Dal punto di vista del contenuto, l’attenuazione dei confini tra i generi e la fine della separazione netta tra ciò che viene percepito come “alto” e “basso”, “colto” e “popolare”, già in atto da diverso tempo, spero si intensifichi diventando uno tra gli elementi più interessante e forieri di nuove possibilità compositive. Nel nostro piccolo cerchiamo di essere parte di questa tendenza.

Particolare dal secondo Aut Fest del 2015

Quali progetti ha in cantiere la Aut Records per i prossimi anni?

Negli ultimi anni ci siamo impegnati a dare un contenuto video alle nostre uscite e vorrei sviluppare questo aspetto, migliorando l’aspetto dell’editing e incominciando a girare materiale originale da usare per questo scopo.
Oltre a questo voglio continuare a produrre ottima musica di musiciste e musicisti, diversificando maggiormente la loro provenienza e arrivare a breve alla centesima produzione, magari festeggiando con la quarta edizione dell’Aut Fest.

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