Intervista a Giovanni Belelli della label Araghost Records

Le strade della marchigiana label Araghost Records e di Kathodik si sono spesso incrociate in questi anni, ma un’approfondimento non lo avevo mai pensato né organizzato. L’occasione per porvi rimedio è stata il festival di Recanati ‘Memorabilia’ dove il sottoscritto, insieme a Giovanni Belelli, ha partecipato ad un talk sulla scena musicale Marchigiana, organizzato dall’associazione Le Marche a Fuoco. Ho proposto l’intervista a Giovanni, che si è mostrato subito disponibile a raccontare la storia della Araghost Records e della sua missione dedita alla diffusione del verbo Rock’n’Roll e Garage Punk più genuinamente artigianale. Come sempre, a voi la lettura:

Quali sono le origini dell’etichetta? Come è nata l’idea? Quali ispirazioni ci sono state? A quali modelli, se ci sono stati, si è fatto riferimento?

L’etichetta è nata nel 2015 per un’esigenza di “do it yourself”.

Io, Giovanni Belelli, suonavo nei Magnolia Caboose Babyshit con Michela Guzzini e insieme abbiamo deciso di creare una base per un collettivo di band (MCBS, El trio los bastardos, Scoposki, ecc.) con cui suonavamo spesso nei locali ed eravamo affini per spirito e genere musicale.
Sentivamo che questo giro non aveva il giusto riconoscimento nel territorio.

Da lì abbiamo formato un team creativo, coadiuvati dal grafico Matteo Tanoni, per dare un nome, una mano e una coesione a quella scena così pulsante di cui facevamo parte, facendo uscire dischi che altrimenti avrebbero dovuto tribolare per diffondersi un po’.

Da sinistra: Giovanni Belelli, Michela Guzzini, Matteo Tanoni

Poi sempre più band hanno iniziato ad unirsi (Babyscreamers, Go Cannibal!, Muddy Worries ecc.) e chiederci una collaborazione.

Un’onda che ha investito vari aspetti, dove l’etichetta ha funto da contenitore per la collaborazione alla produzione di dischi, mini ufficio stampa, organizzazione di concerti, release party, serate a tema, interviste, dj set ecc.

Fino a produrre una compilation ‘Adriatic Ghost Sounds’ che ha creato l’opportunità di ravvivare il territorio, organizzando varie serate lungo la costa. Oltre alla produzione di una birra col nostro nome prodotta dal Birrificio Resina.

Devo dire che miscelando bene gli ingredienti, si riescono a fare cose molto interessanti che vengono apprezzate sia dalla band che dal pubblico e dagli addetti ai lavori.

Le ispirazioni sono state quelle del circuito indipendente italiano come Area Pirata, Bloody Sound Fucktory, Kutmusic, SFA Records insieme ad altre indipendenti che sono state preziosi modelli e collaboratori. Poi è chiaro abbiamo sempre strizzato un occhio e osservato quelle straniere (Crypt, In The Red, Burger, solo per citarne alcune) che sono vicine al nostro modo di fare.

Ma ripeto, c’è stato molto un inventarsi e personalizzare l’essere un’etichetta. Rimaniamo comunque studenti e alcune dinamiche cerchiamo pian piano di impararle.

In quali formati preferite uscire? Cd, ritornato in auge in questo periodo? Il sacro vecchio caro vinile? Cassetta? Digitale?

La maggior parte delle produzioni finora sono state fatte in cd, che rimane un formato economico e fisico con il suo fascino. Ma vorremmo cambiare o comunque mischiare le carte. La cassetta l’abbiamo usata abbinata al cd per una produzione ed è un caro oggettino che però non ci attira molto. Qualche uscita in vinile l’abbiamo fatta e col tempo speriamo di privilegiare questa via, costi permettendo. E poi vedremo come evolvere e stimolare curiosità.

Come scegliete le produzioni?

Privilegiamo poche e piccole produzioni ma curate. Le regole sono più o meno queste:

Primo: bisogna essere della Costa Adriatica. E’ un fatto di coerenza che delinea un certo territorio e che ne ha fatto la nostra peculiarità. In questo modo possiamo anche gestire meglio le cose, in modo relativamente più semplice. Ad ogni modo rimaniamo aperti e un giorno chissà, forse ci apriremo al mondo.

Secondo: il gruppo deve fare una musica che ci cattura. La linea è prevalentemente Garage, Punk, Rock’n’Roll ma può avere contaminazioni varie. Non importa, non abbiamo paraocchi. Se la musica ci piace collaboriamo.

Terzo: suonare live! A parte qualche operazione molto bella e nostalgica di recupero del passato di cui ne vale la pena (vedi il vinile dei marchigiani The Madcaps), preferiamo band che girano, anche perché l’occasione di vendita più propizia attualmente (a parte questi due anni, ça va sans dire!) per il nostro circuito rimane comunque la musica dal vivo.

Cosa pensate delle coproduzioni?

Sono necessarie, piacevoli, creano quella sinergia che permette di far girare un’uscita discografica che altrimenti rimarrebbe relegata in determinati ambiti e pochi canali, sia di distribuzione che di promozione. L’ultima, quella che abbiamo fatto insieme a Bloody Sound Fucktory e che è stata gestita da Peyote Press per l’uscita di “Reboot System” degli Heat Fandango, è stata importante. Non so dirti personalmente com’era anni fa, a parte dai racconti che mi son stati fatti, ma in questo momento più che mai l’unione fa la forza. Anche perché da cosa nasce cosa e si creano altre collaborazioni, incontri, scambi.

Con chi vorreste collaborare a livello nazionale? Ed internazionale?

Con etichette, festival e band indipendenti a livello nazionale e internazionale. In generale tutte le realtà vicine al nostro spirito e comunque con chi è disposto ad aiutare per la diffusione di un disco o di una band che merita davvero. Ma soprattutto anche per non far morire un circuito musicale e tutto il relativo indotto che ci piace vivere e frequentare.

Come vedete la scena musicale italiana, produzioni, live e quant’altro?

Direi che in generale ha preso una tangente (talent show, uso eccessivo del digitale, ecc.) che è lontana da noi.

C’è anche il problema che tanti locali in questi ultimi anni hanno chiuso i battenti.

Da vari anni c’è stata un’escalation di modalità di fruizione della musica e una serie di leggi restrittive che hanno cambiato molto il modo di vivere determinati contesti. E che perciò bisogna cercare di cambiare o aggirare.

Direi che comunque in linea generale bisogna puntare sul live in ogni sua forma e luogo (dallo scantinato al piccolo locale al club), incentivando anche l’apertura di nuovi luoghi di condivisione e integrando i vari tipi di comunicazione. La sfida più importante sarà quella di coinvolgere i giovani stimolandoli, facendoli uscire dalla cameretta e invitandoli a disobbedire a un certo tipo di sistema.

Comunque relativizzando tutto ciò di cui sopra, nel nostro piccolo si continua a fare il possibile divertendosi ed adattandosi ad una evoluzione delle cose.

Progetti futuri?

A breve la stampa del primo album degli Erotik Twist, il mio nuovo progetto. Poi forse un secondo volume della compilation ‘Adriatic Ghost Sounds’ con le band della Costa Adriatica italiana, dato che il primo è andato molto bene. E sicuramente tentare un Festival Araghost che è arrivato al punto che può crescere un po’. Sempre rimanendo aperti a nuove richieste, collaborazioni e nuove scoperte.

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