Intervista con Fabio Ferretti, ideatore e curatore di ‘Chorus’, collana di saggi sul Jazz della Quodibet Editrice

Proseguono gli incontri dedicati a far conoscere ai lettori di Kathodik chi si occupa di promuovere un discorso di critica musicale nell’editoria italiana e internazionale. Il primo incontro è stato con Marco Refe della Edizioni Crac di Falconara Marittima, in provincia di Ancona (qui). Il secondo incontro è stato con il professore Luca Cerchiari, musicologo, docente all’Università IULM di Milano del corso di Storia della Musica Pop e Jazz, e curatore della collana ‘Musica Contemporanea’ della Mimesis Edizioni (qui). Il terzo incontro è stato con Karl Ludwig, Responsabile Comunicazione della tedesca wolke verlag (qui). Il quarto incontro è stato con Domenico Ferraro, direttore editoriale della Squilibri Editore (qui). Per questo quinto incontro intervisto Fabio Ferretti, ideatore e curatore della collana dedicata alla musica jazz, intitolata ‘Chorus’, della Edizioni Quodlibet. Seguo la collana dal primo interessantissimo volume di Paul Steinbeck ‘Grande Musica Nera Storia dell’Art Ensemble of Chicago’. Ho acquistato ogni nuova uscita, e alla fine mi è venuto naturale l’idea dell’intervista a Fabio Ferretti, che si è mostrato disponibile a raccontare la genesi, la “quotidianità” e il futuro della collana editoriale.

Come nasce l’idea della collana “Chorus”?

L’idea è nata a Milano qualche anno fa, città dove vivo e nella quale vive anche Claudio Sessa, noto giornalista e critico di Jazz (Corriere della Sera, RAI Radio3, Radio Svizzera Italiana, ex direttore di ‘Musica Jazz’, Conservatorio di Cuneo).
È con Claudio che è iniziata quest’avventura editoriale.
Il destino ha voluto che ci fosse un libro col quale volevamo partire ma poi abbiamo cambiato idea.
Quel libro è rimasto lì, nel cassetto, ma solo momentaneamente: sarà infatti la prossima uscita di ‘Chorus’ in cui sarà inclusa anche una prefazione proprio di Claudio.
Io sono legato a Quodlibet sin dai suoi primi passi, metà anni Novanta, e ho lanciato, un po’ seriamente e un po’ per gioco, l’idea di una nuova collana alla direzione editoriale che ha volentieri accettato la sfida.
Grazie a questo legame e a una lunga collaborazione dentro la casa editrice, non è stato particolarmente difficile inserire la collana nel catalogo.
Bastava che i libri ‘Chorus’ potessero, in qualche modo, entrare in armonia col profilo dell’editore: insomma, in qualche modo assomigliargli anche se con un tratto, un’immagine e una direzione propria e autonoma.
Il risultato raggiunto finora mi sembra buono sotto questo punto di vista, ma lascio il giudizio al lettore.
Oltre ad essere un ascoltatore, coltivo da sempre una grande passione per la storia, anche sociale, del Jazz.
Per più di quindici anni ho animato una piccola rassegna di concerti nelle Marche, nel Parco del Conero, ospitando musicisti italiani, anche di musica contemporanea, ma anche importanti nomi del Jazz internazionale.
È nata una rete di amicizie, contatti, viaggi, incontri speciali, persone interessanti che hanno decisamente alimentato e arricchito questa passione e soprattutto la mia vita.
E così, lavorando nell’editoria, ho pensato che organizzare concerti dà sicuramente grandissime emozioni e lascia anche ricordi, ma una volta finito, tutto sparisce. Un libro invece resta, e se riesci a pubblicare quello giusto, potrà essere letto per molti anni a venire da studiosi, curiosi, da giovani studenti, da semplici appassionati che avranno voglia di approfondire storie di musica e di uomini.
Io stesso, lavorando a questa collana, libro su libro, ho ovviamente conosciuto un sacco di storie che non conoscevo e mi sono messo, io per primo, nei panni di un qualsiasi lettore appassionato.
E così, volendo tornare a ripercorrere la nascita, ti dico che con molta naturalezza è arrivato il nome, ‘Chorus’; i titoli, uno dopo l’altro; i protagonisti di ogni libro, la copertina con la foto scontornata in bianco e nero dei musicisti, sopra un colore piuttosto vivace e presente.
Oggi ci divertiamo fra noi ad abbinare il pantone giusto alla foto del libro da fare, ma bisogna essere grati a Shiro, il quale ha avuto l’idea del progetto grafico che ha lasciato un’impronta piuttosto netta nel catalogo dell’editore.
Contemporaneamente è stato avviato un attento e minuzioso lavoro di traduzione, revisione, redazione e di scelta sugli autori e i curatori dei vari contributi al libro: introduzione, prefazione, note, guida all’ascolto, apparati.
La rete si è mano a mano allargata virtuosamente ad un gruppo di collaboratori esterni e lettori della collana: oltre a Claudio Sessa, Stefano Zenni e Marcello Lorrai.
Confesso che per me è motivo di orgoglio l’essere riuscito a coinvolgere sul progetto studiosi così preparati e autorevoli. Di fatto, anche grazie al loro lavoro oggi la collana è più solida e più robusta.
Vorrei nominare anche quei colleghi di Quodlibet che sono stati importanti in questi anni, creando, ognuno nel proprio ruolo, una vera e propria piccola squadra di collana: Valentina Parlato, Chiara Cecchetti, Alessandra Orazi, Alessandra De Biase, Luca Giangrandi, Giuseppe Lucchesini e Stefano Verdicchio.

Come vengono selezionati i titoli da pubblicare?

Ma diciamo che avviene quel che succede regolarmente nel mondo dell’editoria: dirigendo la collana, cerco di orientare le scelte selezionando le proposte oppure attivandomi per acquisire libri che reputo interessanti e adatti ma cerco di ascoltare sempre vari pareri e punti di vista su ogni idea.
In quanto al terreno d’indagine, ‘Chorus’ ha assunto un suo profilo, una sua fisionomia, titolo dopo titolo. Questo ha reso via via più adatti e più pertinenti alla collana alcuni suggerimenti, e allo stesso tempo meno congeniali altri.

I titoli usciti finora sono stati tutti tradotti e acquisiti nell’area nord americana che vanta una letteratura invidiabile e piuttosto sconfinata sull’argomento.
Abbiamo così alternato l’uscita e il recupero di libri molto importanti e inediti sulle origini del Jazz (Jelly Roll Morton, Louis Armstrong, il Sidney Bechet in preparazione) con altri più recenti che invece trattano alcune esperienze piuttosto innovative, per l’epoca a cui si riferiscono, e sono stati scritti e curati da autori contemporanei (l’Art Ensemble of Chicago, il Quintetto Perduto di Miles Davis, Paul Bley).

Ogni uscita è stata pensata e voluta con molta convinzione. Va detto che è di  enorme importanza, subito dopo la scelta del libro da fare, tutta la fase dell’acquisizione dei diritti di traduzione: un lavoro lungo, paziente che richiede tempi non sempre programmabili e il confronto, non sempre facile, con vari interlocutori e/o intermediari (editori specializzati, eredi, fondazioni, autori stessi, etc).
Ma questa, di fatto, è la regola nell’editoria.
Bisogna però tener conto che non siamo nel mondo della narrativa, della fiction, ma in quello più di nicchia della musica, in particolare del Jazz, dove tutto avviene e si muove attraverso tempi diversi. Se si può dire, in un certo senso più lenti e rilassati e senza le dinamiche competitive che agitano solitamente il mercato editoriale.

Per quanto riguarda la selezione di autori stranieri, a quale scuola di critica musicale si fa più riferimento? Accenno un esempio: avete più interesse negli agli autori di lingua inglese? Oppure negli autori di lingua francese? Oppure di altre lingue?

Non esiste una scuola di critica musicale di riferimento per la collana né una lingua. Esistono semmai temi e argomenti prediletti e tanti buoni libri da fare e da tradurre: fra questi, alcuni inediti pubblicati diversi decenni fa oppure lavori più recenti di scrittori contemporanei.

Grazie ai suggerimenti di un collega editore parigino mi è capitato anche di valutare libri interessanti in lingua francese, vista la storica relazione nel Novecento fra il Jazz e la Francia; o in lingua portoghese, pertanto nessuna preclusione.
Quanto agli autori viventi dei titoli presenti in collana, li accomuna il fatto di non essere solo dei critici musicali, studiosi di Jazz, docenti universitari a Chicago o a New York ma anche dei musicisti appassionati: Paul Steinbeck, Bob Gluck e David Lee.

Come è stata recepita la collana “Chorus”, con questa prima serie di pubblicazioni?

La collana è stata salutata molto favorevolmente sin dal primo titolo, arrivato in libreria nel marzo del 2018: una rassegna stampa fitta di segnalazioni ad ogni uscita; molte le presentazioni non solo in libreria ma anche nell’ambito di rassegne e Festival; autorevoli passaggi radiofonici di approfondimento e un’ottima risposta dei lettori.
Creare una collana così, all’interno del catalogo Quodlibet, presentava un vantaggio e uno svantaggio al tempo stesso: da una parte ci si sentiva protetti dal prestigio del marchio, dall’altra bisognava assolutamente essere all’altezza del marchio, non si poteva sbagliare.
In ogni caso, attraverso il carattere che ‘Chorus’ ha assunto, è arrivato un pubblico nuovo di lettori, lettori non solo di musica, forse anche per la natura e per il taglio delle storie raccontate.
La figura di Louis Armstrong scrittore maniacale con la sua macchina da scrivere sempre al seguito; la storia degli Stati Uniti che emerge, come fosse la sceneggiatura di un film, dal libro di Alan Lomax su Jelly Roll Morton; il meraviglioso affresco di storie, tensioni, fermenti artistici e politici che fa da sfondo all’avventura dell’Art Ensemble of Chicago, non solo in America ma anche nell’Europa e nella Parigi del ’68.
Probabilmente c’era uno spazio da riempire e un pubblico pronto per libri così: importanti certo, ma allo stesso tempo molto godibili.

Qual’è il titolo più interessante che è stato pubblicato fino ad oggi? Perché?

Io mi sento di difendere tutti i titoli pubblicati: ognuno è, a suo modo, veramente interessante. Diversamente non avrei deciso di inserirli in un progetto che in fondo si muove piuttosto lentamente, senza fretta, con scelte molto ponderate, al ritmo di un libro all’anno. Evviva la lentezza!

‘Chorus’ in fondo è nata con l’obiettivo di raccontare alcune pagine importanti della storia della musica del Novecento; i titoli in collana si sono concentrati prevalentemente sul Jazz e su alcune figure centrali della musica afroamericana, unica eccezione finora, Paul Bley. Sono libri che parlano di uomini, del loro percorso di artisti, e di come la loro arte sia riuscita ad aprire orizzonti decisamente nuovi, lasciando una traccia profonda. Allo stesso tempo raccontano l’epoca nella quale sono vissuti, guidando il lettore attraverso una vera e propria storia sociale.
Io spero che tutto ciò sia effettivamente arrivato a chi legge.

Certamente l’uscita di “Grande Musica Nera. Storia dell’Art Ensemble of Chicago” è stata una straordinaria sorpresa, accolta con grande entusiasmo: quando si dice partire col piede giusto.
Per curiosità ti racconto che nel 2009 organizzai un concerto di Roscoe Mitchell; ebbi modo di incontrarlo, conoscerlo, attenderlo la mattina dopo sul prato dell’hotel per salutarlo e discutere con lui davanti ad un caffè. Chi avrebbe mai detto che, dieci anni dopo, sarei riuscito a pubblicare la prima storia di quell’esperienza straordinaria che è stata l’avventura dell’Art Ensemble of Chicago.
E che io un bel giorno mi sarei trovato sul palco, prima di un concerto a Cormòns, a fianco di Roscoe e Famoudou Don Moye, a rispondere alle domande di Pino Saulo sul libro che racconta quella che è stata anche la loro storia.
O che ne avessimo parlato in una presentazione, molto partecipata, nella magnifica Biblioteca Angelo Maj di Bergamo, insieme a Roberto Masotti, il fotografo recentemente scomparso, autore di scatti leggendari durante il concerto dell’Ensemble nell’edizione di Bergamo Jazz del 1974. La sua foto, molto celebre, è contenuta nel libro. Quel concerto del 1974, ricordo bene il suo racconto, divise la platea, la spaccò in due: di qua i detrattori ostili e di là gli ammiratori entusiasti. L’intuito dei secondi fu premiato dalla storia del gruppo che, nel giro di poco tempo firmò un contratto importante con l’etichetta ECM per conquistare il pubblico di tutto il mondo.

“Grande Musica Nera” è stato poi tradotto e pubblicato anche in Francia, notizia questa che ci ha fatto ovviamente molto piacere. Non vorrei dilungarmi ed evito così di entrare nel dettaglio degli altri titoli della collana che ospita anche, come ho già detto, Louis Armstrong, Jelly Roll Morton, Miles Davis, Paul Bley.
Aggiungo soltanto che, dopo un libro e un successo iniziale cosi forte, starei per dire esaltante, era veramente difficile immaginare e azzeccare un secondo titolo, eppoi un terzo, e così via…
E invece siamo arrivati quasi al sesto che uscirà in autunno, spero; la passione e l’entusiasmo continuano ad essere quelli vissuti durante l’esordio della collana.
Ecco, io penso che quest’entusiasmo deve necessariamente alimentare, giorno dopo giorno, un progetto editoriale di questo tipo. Quando invece tutto diventerà un’abitudine, allora vorrà dire che è arrivato il momento di lasciar perdere.

Qualche segnalazione meritevole dei prossimi titoli che avete in cantiere?

Il piano editoriale prevede per il futuro alcuni titoli sui quali, al momento, preferirei non sbilanciarmi. Di alcuni è stato già acquisito per contratto il diritto di traduzione, per altri è in corso una trattativa. Ma ci sarà presto anche qualcosa in lingua italiana, finalmente. Anche su questo però non vorrei adesso sbilanciarmi, dico solo che siamo al lavoro su un paio di possibili pubblicazioni.
Ti anticipo invece volentieri qualcosa in più sul prossimo libro della collana che andrà in libreria a fine novembre 2023: è l’autobiografia inedita di Sidney Bechet, musicista di enorme importanza.


Il volume avrà la Prefazione di Claudio Sessa, l’Introduzione di Marcello Lorrai, una Nota del musicista Roberto Ottaviano e una breve Guida all’ascolto redatta da Stefano Zenni: un vero e proprio squadrone che farà di questo titolo un libro ancor più prezioso.

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