Urkuma ‘Rebuilding Pantaleone’s Tree’


(Baskaru 2006)

Urkuma è caduta verticale.
Una sensazione costante di equilibrio instabile, ampi spazi aperti cotti dal sole
ed un forte profumo di mare ad invadere le narici.
La salsedine è soltanto un effetto secondario trascurabile.
Profuma di elettroacustica lasciata ad ingiallire sotto il sole, acusmatico cut
up folk primordiale composto ed eseguito da giganti incazzati di brutto.
Presenze umane all’orizzonte non se ne intravedono.
Urkuma spalanca le porte del suo immaginario Sanfocahotel allo sfacelo
circostante, lascia entrare la sabbia, le puzze immonde del mare immobile fra
gli scogli; raccoglie ed accoglie.
Poi, lui stesso confuso da cotanto scatenato bestiario si allontana dal tutto
e lascia che la natura segua il suo percorso.
Arrivati a questo punto della storia ci sarebbe spazio a sufficienza per l’introduzione
di qualche personaggio mitologico; peccato che il mondo sfibrato dal mondo abbia
precedentemente provveduto ad uccidere la mitologia.
Allora non resta altro da fare che sedersi su di uno scoglio isolato e contemplare
ciò che è stato.
Ed intanto attendere.
Lentamente, l’acqua sale a lambirti le caviglie, poi sale ancora, poi ancora;
poi sei sotto.
Abraxas è la pressione che spinge sui timpani mentre si affonda,
un gorgoglio sibilante melodioso che sfuma nel nulla.
Retour En Arrière l’ultimo suono captato prima di arrivare sul fondo; il
blu di sopra steso all’infinito.
Urkuma è un’incantevole esploratore.
Urkuma è autore di qualcosa che non ci meritiamo.
Urkuma è.

Voto: 9

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