Frank Paul Schubert Kasuhisa Uchihashi Klaus Kugel ‘Black Holes Are Hard To Find’

(Nemu Records 2022)

Il tempo è stato come sempre galantuomo: per motivi personali ho avuto modo di ascoltare tantissime volte il lavoro di questo trio formato da Frank Paul Schubert (alto e soprano sax), Kasuhisa Uchihashi (e-guitar,elettroniche), Klaus Kugel (batteria, gongs), dove convivono varie anime dell’improvvisazione (freeform, elettroacustica, microtonalità…). Il risultato principale che ne è conseguito è stato quello di constatare che ogni ascolto risultava sempre diverso dal precedente, riportando alle orecchie sempre suoni nuovi, non uditi prima.
Needle’s Eye nel suo pellegrinare verso l’ascesi dei toni sembra assumere una corporatura che senza imbarazzo ambisce sia i lidi dell’improvvisata che quelli di uno offuscato sapore (neo) prog. Naturalmente è un’idea progressiva molto ma molto astratta, da prendere più che altro come riferimento spirituale inferto al pezzo. E ciò è percepibile soprattutto grazie agli sforzi chitarristici di Kazuhisa, invero eclettici.
La titletrack, girando le spalle neanche tanto a quanto detto sopra, è un piacevole cazzotto in faccia di tensione muscolare free, tra salite e discese continue di materia e di nervosismo; prendete i Naked City, dilatateli su tempistiche più estese, continuate con certe cose più informali di Bill Frisell, unitele alla gentile estemporaneità di un gigante come Steve Lacy, e potremmo dire che la magia è compiuta. Infodono piacere uditivo molto gli spazi riflessivi, che sul calare (14:21 di trip) abbracciano le tenebre e sonorità cupe, lasciando risuonare i tantrici gongs di Kugel. Questa è classe.
Explosive Past è un viatico sospeso su dialoghi frastagliati degli strumenti (lampi percussivi, ondulazioni della chitarra, esternazioni elettroniche metronomiche) che desiderano carnalmente inseguire il canto libero del sax soprano. Internal Structure alza la posta in gioco della voracità, attestandosi su lidi free per grado di potenza tritatutto. Dirompente.
New Kind Of Terrain stempera gli animi e si fa introversa esposizione, dove i tempi singhiozzati degli strumenti sono cuciti dalle svisate desertiche della chitarra, ma anche dal canto notturno del sax, questa volta alto, che gradatamente diviene sempre più urticante. Anche qui, come in apertura, la materia, soprattutto chitarristica, alla fine dei giochi diviene ambasciatrice di sentimenti progressivi. L’esplosione finale è garantita quasi in ogni brano, come sono puntuali le tempistiche lunghe su cui si ergono le improvvisazioni. Ogni pezzo merita la tripla stella della qualità, e penso con assoluta certezza che sarà un lavoro che conquisterà cuore e anima di non pochi affezionati alle emozioni dell’improvvisata (non) ortodossa. Da gustarsi con piacevole relax anche gli utlimi due assaggi, Additional Rendevouz e Supersonic Interaction, dove il primo assume persino le sembianze armoniche di un leit motiv quasi quasi arabeggiante, mentre il secondo è modellato su di un andamento a cut-up dove sembrano essere campionati e riprocessati in tempo reale anche vocalizzi (extra)umani che, da copione, conducono alle erotiche asperità fiatistiche di stampo jazz. Superbo.

Voto: 9/10

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