DJ di MARCA. Conversazione con Dj Steevo

Abbiamo deciso di fare una chiacchierata con Stefano Ruffini, in arte Dj Steevo, perchè già da tempo ci eravamo resi conto che la qualità racchiusa nelle sue produzioni era sempre più brillante, raffinata, sia riguardo l’aspetto puramente tecnico, sia per quanto concerne il mood creativo dal taglio multipolare, eclettico, che vibra in lui da due decadi, giunto oggi ad una consolidata maturità. Dj Steevo è un pò come un alchimista, intento nel suo studio a tritare e (re)impastare di tutto: dal rap al (post) rock d’autore (vedi l’esperienza iniziatica con i maceratesi Diabolico Coupé), arrivando negli anni a concentrarsi quasi unicamente su sonorità elettroniche che flirtano senza discriminazioni con l’house, la deep, l’italo, la retro-wave (magistralmente proposta con il vinile “Slow Dance”), la black-music e quella carica funky tanto ’70 che contamina le releases più recenti. Leggere questa intervista è come osservare un caleidoscopio dalle sfumature altisonanti: si parte dalla genesi, i primi beat fabbricati nei ’90, addirittura una mordente e fugace relazione pericolosa con il metal, e la deriva digitale, edificata mediante una miriade di ascolti, confronti, corsi tecnici dedicati al suono, gare di scratch e altro ancora. Arrivati ad oggi, Ruffini inaugura anche una label tutta sua, la DeltaNove Studio Records (DS9): factory che proprio in questi giorni di calura ha dato alla luce l’ultimo singolo,”Why Can’t There Be Love”, con ospite la voce Ellis T, un hype frizzante e solare che a colpi di basso funky, fosforescenti oscillazioni house ed estetica italo ripropone una gemma funky del 1971, cantata allora dalla cantante americana Dee Edwards. Inoltre veniamo a conoscenza che a breve vedrà la luce anche un altro progetto cui Steevo tiene particolarmente, ossia una compilation che raccoglie inediti provenienti da artisti tutti di origine marchigiana il cui trait d’union è incarnato dal fattore elettronica. Un progetto dal taglio eterogeneo perchè, indagando su sonorità più ricercate, andrà ad esplorare equamente territori jazzy, lounge (i fan della Irma Records avranno pane per i loro denti), ambient, deep, anfratti balearici, ecc., accogliendo naturalmente al suo interno anche tracce prodotte da Ruffini con altri moniker.

Ci farebbe piacere conoscere l’inizio del tuo percorso musicale. Ti andrebbe di farci un excursus su come è nato questo progetto? Suppongo che gli anni ’90 abbiano un pò incarnato la genesi di tutto. Giusto ?

Le date che nomini sono più o meno quelle: dopo il 1997, finita la scuola, ho comprato i miei primi giradischi; e da quel momento fatidico è nato tutto! Anche se devo confessare che pure prima ho sempre acquistato vinili e cd vari, amando la musica dai 16 anni in poi sempre di più in maniera viscerale. Compravo puntualmente di tutto, spaziando tra mille generi; sia musica italiana, con un occhio puntato alla techno e all’hardcore dei Nineties (ad esempio ero in fissa con i mitici dischi di Rex Anthony, te li ricordi?).
Poi quando sono arrivato all’hip hop si è consolidato ancora di più il mio amore per il mondo ‘manipolativo’ del djing. Avevo di fatti preso i primi turntables proprio allo scopo di imparare a scratchare. Ero in fissa forte con quella roba là e nel frattempo mi era nato il trip per la produzione. Avevo dunque comprato il primo campionatore e il primo sequencer, quel tesorino del Qbase, su un Atari st2. Come vedi si tratta di una storia del tutto vintage, ma molto, molto bella, carica di pathos per i suoni movimentati. Da lì sono fioriti i miei primi beat. Arrivati alle porte degli anni zero entro a far parte dei Diabolico Coupé come dj, ma anche investendo il ruolo di produttore, giungendo così al 2006, anno di pubblicazione di un album a tutto tondo.
Dopodichè mi misi a produrre sempre più seriamente, creando uno studio, e intraprendendo un passaggio piuttosto radicale che ha consolidato il mio aspetto di dj e producer, avendo sempre di più un occhio di riguardo per la seconda. Feci a proposito anche un corso per diventare tecnico del suono in quel di Bologna. Una volta erano rarissimi e mi ricordo che mi costò un occhio della testa. Ricordo che non feci in quel frangente neanche mezz’ora di pratica, ma soltanto teoria e teoria all’infinito. Da una parte la rimpiango questa cosa, ammetto che mi ha permesso di allargare gli orizzonti, conoscere di lì in poi un sacco di persone legate professionalmente al jet-set musicale. Anche se i primi incontri sono stati piuttosto fugaci e fuggenti, personaggi conosciuti e visti quasi al canocchiale. Sempre nel biennio 99/00, in parallelo all’essere dj side-man con i Diabolico, divento anche dj-resident per il Mamamia (locale pluri-decorato per le sue serate alternative su suolo marchigiano) e ho lavorato in pianta stabile al Deejaymix di Cesena, franchising di vinili. Come vedi fino al 2002 e oltre mi sono buttato a capofitto nel global world dell’esere dj ma purtroppo, in seguito, per un problema di salute sono dovuto tornare a casa. Dopo ancora per una serie di vicissitudini ho iniziato con buoni risultati a frequentare il corso di laurea infermieristica, che mi ha permesso nel tempo, e ancora ora, di lavorare e di mantenere così sempre viva la mia passione e di fare tutto il resto, portare avanti la famiglia in primis ovviamente.

Tracciata una prima mappatura del tuo cammino, ti andrebbe di scendere più nello specifico, segnalando anche un pò di nomi che hanno ispirato la tua musica ?

I dischi per me importanti, significativi, sono stati quelli firmati da Dj Gruff, Zero Stress, anche “9cinquanta” di quel produttore italiano che ora non ricordo, “Homework” dei Daft Punk e naturalmente i Chemical Brothers in toto che insieme ad altra robetta di quegli anni mi mandava in orbita con piacere.
Poi Cassius (un fortissimo duo di producer) che mi inserì nel mondo della French Touch, e mi divertivo davver un bel pò ascoltando dischi come ‘Sound Violence’. Lì mi affascinava il meltin pot tra elettronica e rock,un suono eclettico in cui mi identifico a pieno. Tra altro loro sono stati anche produttori di Parish, Placebo, e Franz Ferdinand. Mi affascinava un casino quindi questo mondo che sapeva miscelare bene dance, hip hop e rock in un unico caleidoscopio. Arrivarono a produrre anche artisti come Fenix, capito? In definitiva posso dire che hanno rappresentato la summa massima dei progetti che hanno fatto in pieno da musa ispiratrice alla mia musica.

Ci stai facendo capire cosi che la musica fa parte in toto della tua vita da sempre …

Certo!!!
Io sono un ’77, e quest’anno quindi vado per i 45. A casa mia la musica si è sempre respirata, soprattutto attraverso mia madre: una donna che ha sempre amato sia il ballo che la buona musica, pur non avendo alle spalle una cultura musicale accademica. Ricordo quindi che fin da piccolino tra le mura di casa mia si respirava gioia per la musica. Il mio primo stereo l’ho avuto in regalo a otto anni da mia cugina con dentro inserita già la cassettina di Madonna. Caspita, me lo ricordo come fosse ieri. Dopodiché, sempre grazie a mia cugina, ho iniziato ad ascoltare album di gente come Prince, Jovanotti, e via dicendo.
Ricordo difatti con piacere mio zio che distribuiva nelle Marche i jukebox; eravamo sempre circondati da vinili che venivano continuamente cambiati nei vari bar della Provincia. Lo posso raccontare comer il primo input ricevuto dal mondo dei dischi. Via via crescendo sono diventato sempre più onnivoro di musica a 360 gradi, arrivando anche a toccare persino lidi metal, una parentesi che, per mia fortuna, è durata poco, ma che mi ha visto collezionare tapes originali di band come Skid Row, Manowar, ecc…
Andando avanti, frequentando le superiori, ho avviato il mio personale periodo grunge, approfondendo in tutto e per tutto i Nirvana. Con tutte le correnti musicali con cui entravo in contatto era sempre grazie ai miei cugini oppure agli amici delle superiori. Una cosa è certa: ho sempre odiato la musica dance commerciale, quella che nei ’90 portava magari la firma di Gigi D’Agostino. L’ho sempre vista come una musica grossolana. Da sempre nella mia ricerca sia sul versante hip-hop che sull’elettronica mi sono concentrato nell’elaborazione e nella fruizione di suoni particolari, che fondassero la propria essenza sull’originalità. Mi ricordo che passavo le notti a registrare i programmi di Italia Network, non so se li ricordi, con i mix di Alessando Di Cilia, tutti dj dediti a forgiare materiali più sperimentali. Poi è arrivata la trance, ma quel tipo di melodia non l’ho mai amata anche se ammetto che se avessi imboccato quella strada, ora avrei una barca di soldi. Verso i 18 anni è arrivato l’amore definitivo per il rap, attraverso un viaggio ad Amsterdam in cui ho conosciuto i Beastie Boys, e da “Paul s Boutique” in poi è giunto anche il mio consolidamento con il funky. Quindi si può dire con certezza che da allora è nato ufficialmente Dj Steevo. Appena finito le superiori sono andato subuto a lavorare e con i primi soldi ho iniziato a meetere su una strumentazione (organo, batteria elettronica, ecc). Facevo i primi beat ascoltando Dj Krush in particolare. Dopo sono rimasto sotto con Neffa, alla pratica dello scratch e alle relative gare tra Mc. Ho partecipato quindi a tante competizioni, vincendo anche nel 2000/01 una gara nazionale, Dj Trip, categoria appunto scratch.
Avevo stretto un legame con Dj Mike (producer dei Rancore) il quale ha contribuito decisamente alla mia formazione riguardo il turntablism. Nato Dj Steevo, cominciavano sempre più a circolare nel mio garage-studio ragazzi di Macerata con cui buttavamo su tracce di puro Hip Hop. Ho quindi iniziato sempre di più ad associare la musica elettronica all’Hip Hop, suonando al citato Mamamia tonnellate di sana drum and bass. Ho inoltre suonato parecchio anche allo Juno (storico locale di San Severino Marche, ora chiuso, dedicato a serate di scatenata jungle e d&b).
Passando gli anni ho allegerito la presa su questo versante, aprendomi alle sonorità brasiliane. Non ero più soddisfatto della fase che attraversava a quei tempi l’hip hop italiano, da Neffa in poi. Allora, poi, le sonorità elettroniche, grazie a gruppi come Chemical Brothers, si tingevano sempre più di colori rock, attraendo anche a me in quel calderone, iniziando il mio amore sempre più radicale e irremovibile per i materiali ‘danzerecci’ (elettronica, house, deep, techno, ecc.).

Abbiamo quindi svelato il tuo mood eclettico, aperto alle contaminazioni. Sei d’accordo?

Essere eclettico quindi è un risultato di tutto ciò che abbiamo detto fin’ora, ossia aver ascoltato sempre musiche diverse senza pregiudizi. Forse l’unica caratteristica rimasta innata in me è la propensione per i suoni ballabili, dance, che ho cercato di adattare appunto a qualsiasi linguaggio sonoro mi cimentassi.
L’attitudine se vogliamo così dire funkettona è dovuta in fondo a questo motivo: un profondo amore per i suoni movimentati. Adoro le sonorità che sprigionano allegria e il funky è una di quelle che ti tira alto il morale con scioltezza, con innata facilità.
Ovviamente ciò non vuol dire che ascolto solo quello. Ho sentito tanto, ma davvero tanto materiale di Prince, e sono andato via via ad investigare sempre di più sui prodotti funky nati nei seventies, restando estasiato. Giunse poi un periodo dove si produceva parecchia musica re-edit, ossia pezzi vintage risuonati con basi dance moderne. E’ un fenomeno su cui pure ho buttato un occhio in particolare perchè mi colpiva la possibilità di lavorare su qualsiasi materiale prodotto anche da artisti famosi, senza alcun bisogno di chiedere il permesso. Ragion per cui potevi benissimo ascoltare un pezzo dance e dentro magari trovarci la voce di Adriano Celentano. Quindi la contaminazione tra più stili è diventata una costante quando, specialmente superati gli anni ’00, ho avuto il netto sentore che i generi si stessero sdoganando l’uno con l’altro: il rock con l’elettronica, il rap con qualsiasi altra diavoleria electro…
Avrete capito che vado in orbita miscelando suoni come un alchimista.

Ti va di parlarci della tua label, la DeltaNove Records, con cui hai prodotto già diversi lavori e per cui uscirà a breve un progetto dedicato alla scena elettronica marchigiana?

Ora parlo con piacere della mia etichetta. Anche qui sono arrivato col tempo e dopo diverso lavoro. Avevo da parecchio tempo desiderio di creare una label. L’anno scorso è uscito un mio pezzo importante, Rollin, licenziato con una label milanese. Una bomba house con sonorità blues. Ho avuto quindi l’occasione di conoscere Luca Guerrieri, una vera istituzione nell’house italiana. Notavo che lui produceva nello studio personale e che aveva più di una etichetta. Indi per cui lo osservavo e riflettevo che la stessa cosa la potevo benissimo fare anche io, avendo poi a disposzione una marea di tracce inedite, mai pubblicate. Ho prodotto quindi sempre l’anno precedente parecchie releases a nome Dj Steevo. Su Spotify ho notato che vi è un certo seguito e ritornando a Rollin vi è stato un importante seguito, anche se la traccia non è poi esplosa come desideravo. Per quanto riguarda altre produzioni mie con altri colleghi, dopo Rollin, è uscito sempre un mio pezzo con Spa in Disco che è arrivato a raggiungere 35.000 play. Questa è una etichetta di Madrid che va fortissimo per le sonorità sia funky che house, arrivandomi a piazzare pure discretamente sulla piattaforma Traxsource. Poi è arrivato “Slow Dance”, prima licenziato in digitale e successivamente anche in vinile. Il mio intento è stato creare una label che avesse mille contaminazioni come punti di riferimento e aperta a collaborare con tutti. Sfumatore baleariche, sonorità jazzy, deep, secondo il mio gusto ma senza mai avere una identità troppo rigida e schematica. Non so se alla fine sia un bene o un male ma sicuro è così.
Quindi partito con Delta Nove ho prodotto in definitiva quattro uscite, una mia, uno con il mio ex socio, Soundshaker, e altre cosette particolari. Uno dei progetti cui tengo di più e che a brevissimo uscirà è una compilation che accoglie parecchi artisti della scena marchigiana e non: un caleidoscopio di sonorità multiformi che vanno dall’elettronica alla lounge, dalla deep house ai colori più jazz e afro. Ci saranno ovviamente anche un paio di tracce mie sotto altri pseudonimi. Poi per il 15 luglio vi sarà una festa dedicata alla label a Trodica di Morrovalle. Metterò una console a disposizione e si suonerà e mangera tutti insieme allo scopo di creare una rete di collaborazione fruttifera e piena di cose entusiasmanti da sperimentare. La Delta Nove Records la tengo poi lì, quindi, pronta per promuovere e incoraggiare le uscite un pò meno pop, più sofisticate, che hanno maggiore difficoltà ad essere prodotte su altri lidi.

Esattamente poco più di una settimana fa è stato licenziato il tuo ultimo singolo, “Why Can’t There Be Love”: una bomba house dai mille colori, sorretta dalla magnifica voce di Ellis T. Sembra di tornare al discorso fatto in precedenza sui re-edit e sulle cover, perchè anche qui incontriamo una versione ex-novo di un brano dei seventies.
Cosa puoi dirci a riguardo ?

“Why Can’t There Be Love” racchiude tutta l’energia che aveva in origine il brano, ma ovviamente attraverso l’utilizzo di sonorità più attuali, in perfetto stile nu-house disco. L’originale risale al 1971, una canzone interpretata magistralmente da Dee Edwards, una singer degli States proveniente da Birmingham, in Alabama. Incarna la prima canzone cantata in assoluto prodotta dalla DeltaNove Studio Records. Ho lavorato con un basso arpeggiato dell’Elka OMB5 e con i pad del Juno106, richiamando così i fasti della Italo Disco; poi grazie alla potente voce di Ellis T si va a creare una sinergia unica e irripetibile.

Sul web:

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