Priests ‘The seduction of Arkansas’

(Sister Polygon 2019)

Nonostante la partenza del membro fondatore della band, il bassista Taylor Mulitz, che ha preferito ridare vita al suo primo progetto musicale, i Flasher, l’ormai terzetto ha deciso di continuare, facendosi produrre questo nuovo lavoro da John Congleton.
Se musicalmente il sound è più orientato alla new wave, l’attitudine e i testi continuano ad essere orientati verso un punk politicizzato. Insofferenti a Trump, i Priests per il titolo di questo disco si sono liberamente ispirati a quello del libro dell’economista Thomas Frank “What’s the matter with Kansas?”, nel quale viene spiegato il cambiamento radicale di questo stato dal liberalismo al rigido conservatorismo, indicatore di quanto accaduto in generale a buona parte degli Usa e che ha reso il Kansas determinante per la vittoria dello stesso Trump.
Il piglio di molti di questi brani è un post-punk sospeso tra pop e new wave, con una forte impronta degli eighties.
Se Jesus’ son ha un incedere post punk algido e schematico, con al title-track si vira verso il p-funk. Anche quando si lasciano andare al pop i Priests danno un taglio scheggiato (I’m clean), o con una sonorità vicina al punk scandagliato e circolare (Good time Charlie).
Tuttavia, è con Control freak, che si spingono verso un punk-rock schematico e circolare, con Carol si rivelano pulsanti e frenetici, mentre Interlude: I dream this dream in which my ody is my own li avvicina tantissimo ai primi Sonic Youth.
Tanto per chiudere un cerchio e per definire come si può ripartire valorizzando le cose migliori dell’indie-rock Usa dei primi anni ‘80

Voto: 7

Vittorio Lannutti

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