Death Cab For Cutie ‘Narrow Stairs’

(Atlantic 2008)

Gli americani Death Cab For Cutie sono una delle realtà fondamentali dell’indie rock odierno. Popolari in patria ed oggetto di culto nel resto del mondo da parte degli amanti di certe sonorità elettriche ed intimiste al tempo stesso, guidati dal cantante/chitarrista Ben Gibbard, i Death Cab esordirono nel 1999 con il sorprendente LP “Something About Airplanes”. Dopo l’ottimo “We Have The Facts And We’re Voting Yes” (2000), il meno convincente “The Photo Album” (2001), lo splendido EP del 2002 “The Stability” (con la title track – uno slow-core lungo 13 minuti – che da sola vale il prezzo del CD) e la raccolta di materiale del 1997 e rarità “You Can Play These Songs With Chords” (2002), Gibbard pubblicò un disco solista “All Time Quaterback” (2002), all’insegna di un sound decisamente più lo-fi, per poi dar vita, assieme a Jimmy Tamborello dei Dntel, al progetto Postal Service, titolare dello splendido “Give Up” (2003), disco dalle eccentriche sonorità sinth-pop. “Transatlanticism” (2003) segnò il ritorno sulle scene dei Death Cab, e dopo “Plans”, risalente a tre anni fa, eccoci alle prese con questo “Narrow Stairs”.
Diciamolo subito: il nuovo capitolo della discografia di Gibbard e soci non tradisce le aspettative. Certo, rispetto al passato i brani si sono fatti più lineari, più pop, forse persino più prevedibili in certi frangenti: ma certe trovate sono sempre una delizia per le orecchie.
Gli oltre otto minuti e trenta di I Will Possess Your Heart (il brano più lungo e articolato della raccolta), per esempio, sono da antologia. Il pezzo si apre con una linea di basso minacciosa, cui si aggiungono progressivamente la batteria, una chitarra che definisce traiettorie psichedeliche, ed un piano ben dosato. Dopo quattro minuti e trenta, il crescendo si arresta, come se gli strumenti dovessero riprendere fiato: parte il cantato e subito dopo riprende quota anche la tessitura strumentale. In questo pattern sonoro minimalista, ad un tratto si apre una crepa melodica di brevissima durata, ma di grande intensità emotiva. E’ però solo un attimo: il tutto viene ricondotto al solito andamento ed il pezzo termina così come era cominciato, con basso e chitarra a duettare.
No Sunlight, invece, sfoggia una melodia delicata e malinconica, che poggia su beat elettronici ed è impreziosita dall’intervento di un violino. L’indie pop-rock in crescendo di Cath… anticipa l’esperimento di Talking Bird, sorta di ninna nanna devastata da terribili deflagrazioni rumoristiche.
Le splendide You Can Do Better Than Me, Your New Twin Size Bed e Pity And Fear sono altrettante dimostrazioni del talento melodico della band, pezzi che se non sorprendono per architetture ed arrangiamenti, colpiscono per raffinatezza melodica e mood (l’epica maliconia di Your New Twin Size Bed).
Alla fine della fiera ci si trova tra le mani un lavoro non trascendentale ma indubbiamente interessante, che sembra essere fatto apposta per non scontentare i fan di vecchia data ed attirarne di nuovi.

Voto: 7

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