Carl Stone ‘Au Jus – The Jugged Hare’ / ‘Ganci & Figli’

(Unseen Worlds 2020)

Nel 1953 a Parigi, sotto la direzione e il coordinamento di Pierre Schaeffer, viene organizzato un convegno dal titolo Première décade de Musique expérimentale, dedicato a una ricognizione delle più rilevanti espressioni della musica sperimentale europea e statunitense. In quello stesso anno, a Los Angeles, nasce Carl Stone, compositore che, formatosi con Morton Subotnick e James Tenney, ha col tempo dato vita a un linguaggio musicale personale nel quale convivono almeno tre delle tendenze principali della musica americana del secondo dopoguerra: un certo profilo “minimalista”, l’attenzione rivolta alle ibridazioni con mezzi e linguaggi espressivi diversi da quello musicale e l’interesse nei confronti di musiche “altre” (popolari e pop).
Fan incallito di “MAX” e giapponese d’adozione, nei due attraenti EP Au Jus – The Jugged Har e Ganci & Figli – come anche nell’ultimo album ‘Stolen Car’–, Stone si abbandona, generando interesse e curiosità, all’eccitazione provocatagli dall’esplorazione delle possibilità che la ricerca informatica e digitale gli offre. Granulazione, dissezione, sovrapposizione, echi, loop e frammentazioni.
In Au Jus, realizzato durante una performance del giugno 2019, Stone sembra ammiccare, forse ironicamente, alla pop e alla musica di consumo giapponese, giocando con schemi ripetitivi e sovrapposizioni multiple di frammenti vocali, su un ritmo che appare costante, tanto da invitare quasi al movimento. Schegge di ritmo, dopo inattese e brusche interruzioni del discorso musicale, riappaiono nella seconda metà della traccia, creando un effetto di parziale disorientamento che si conclude con un improvviso commiato.
Un decorso simile lo si ritrova anche in The Jugged Har, registrato invece negli studi della Radio Free Nakano di Tokyo. L’iniziale carattere giappo-pop, con nervature quasi folk, lascia gradualmente il posto a un gioco di sovrapposizioni e ripetizioni dal tono divertito e divertente, dal sapore vagamente “latino”. Anche in questo caso, però, nella parte finale irrompe un’improvvisa, ma breve, parentesi di caos sonoro. Il nuovo paesaggio lascia quasi subito il posto al ritorno dello spassoso carattere iniziale, seppur vagamente ripulito e sottoposto a un processo di alleggerimento che conduce verso la finale dissolvenza.
L’EP Ganci&Figli, come spesso accade nei lavori di Stone, prende il nome da un ristorante, segnatamente dall’omonima rosticceria e panineria palermitana aperta h 24. I due brani vanno intesi come le due facce della luna, come i due estremi (opposti) di uno stesso oggetto sonoro o, nelle intenzioni di Stone, come un preludio e fuga. Il primo si presenta come tappeto sonoro “cosmico” sul quale si staglia linea vocale, come sempre sintetizzata in pochi fonemi, sulla quale Stone inizia poi a concentrare le sue operazioni di frammentazioni, sovrapposizione e ripetizione. Il discorso musicale, privo di pulsazione e con il ritmo affidato all’elemento ripetitivo, nel secondo si fa più incalzante e le operazioni che nel primo brano apparivano soft nei loro effetti qui intervengono fino a modificare lo scenario, tanto da trasformare il pezzo in una traccia dance dal gusto anni Novanta. Gli ultimi secondi sono dedicati a interferenze glitch e da un lungo silenzio. Nel complesso, questa coppia di EP costituisce l’ennesima prova della bravura e della disinvoltura con le quali Stone amalgama e addomestica la materia digitale, concedendosi (e concedendoci) momenti di divertita e gustosa soddisfazione.

Voto: 8

Giacomo Fronzi

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