Derek Bermel ‘Migrations’


(Naxos 2019)

Se è vero che la contaminazione tra generi diversi è una delle cifre dominanti della musica contemporanea, è altrettanto vero che non ogni tentativo di sintesi stilistica centra il bersaglio. Perché ciò avvenga, è necessario avere una conoscenza non superficiale dei linguaggi con cui ci si cimenta, una capacità di scorgere significativi punti di contatto tra gli stessi, e la giusta dose di immaginazione affinché il dialogo messo in atto produca esiti significativi dal punto di vista espressivo. Sono, queste, qualità che certo non mancano a Derek Bermel (nato nel 1967), una delle voci più interessanti e autorevoli nel panorama della musica contemporanea americana. Forte di studi classici quanto contemporanei (tra i suoi maestri figurano autori come Bolcom, Dutilleux, Andriessen), il nostro ha approfondito anche tradizioni musicali come quella balcanica, brasiliana e africana. Una vastità di conoscenze e interessi che si incrociano nei tre lavori qui registrati e magnificamente eseguiti dalla Albany Symphony guidata da David Alan Miller. A partire da Migrations Series (2006), in cui all’orchestra si affiancano i membri della Juilliard Jazz Orchestra. Ognuno dei cinque movimenti delle Migrations lascia ai solisti lo spazio per improvvisare su temi di chiara impronta jazzistica; lo stesso Bermel, il quale è anche uno straordinario clarinettista, si esibisce nel terzo movimento, dove riprende e sviluppa la melodia che dà inizio al lavoro; una melodia rapinosa, roca al punto giusto, che odora di blues, dapprima enunciata dalla tromba di Riley Mulhekar e poi amplificata dagli altri strumentisti in crescendo polifonici di grande intensità e gioiosa energia. Migrations è una sorta di sinfonia urbana, dove gli intermezzi carichi di swing dei jazzisti si fondono con le sezioni assegnate agli orchestrali, e dove le barriere tra jazz e musica classica/contemporanea si fanno sempre più porose, fino a cedere nel turbinio ritmico che attraversa e porta a conclusione questo magnifico lavoro. In Mar de Setembro (2011), per voce e orchestra, la scrittura di Bermel si fa più intima e delicata, adeguandosi alla sensazione di “saudade” evocata dalle liriche di Eugenio de Andrade. Nel lavoro orchestrale A Shout, a Whisper, and a Trace (2009), si torna al melting-pot musicale già assaporato in Migrations, specie nel movimento iniziale, dove atmosfere jazzistiche incontrano i ritmi balcanici, filtrati dalle rielaborazioni a suo tempo immaginate da Bartok. Se nel secondo movimento affiorano echi di Messiaen, nel movimento conclusivo si assiste a una stratificazione polifonica e poliritmica a tratti vertiginosa, dal sapore futuristico. L’eccellente qualità audio della registrazione ci fa godere appieno un Cd stimolante tanto per la mente quanto per i sensi. Assolutamente da non perdere.

Voto: 10

Filippo Focosi

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