Luciano Feliciani ‘Icelandic Waterfalls: Symphony Nr.1’

(Scomegna Edizioni Musicali 2018)

Scrivere una sinfonia è senz’altro una delle tappe che segna la carriera di un compositore, ammesso che decida di confrontarsi con questa gloriosa tradizione, ancora oggi più viva che mai nonostante più volte ne sia stata annunciata l’imminente estinzione. Per questo suo esordio nel genere sinfonico, il compositore marchigiano Luciano Feliciani si affida a un organico con il quale ha grande familiarità: l’orchestra di fiati, popolarissima negli Stati Uniti ‒ va detto che il Nostro vanta una grande conoscenza della musica sinfonica americana, a partire da quella di Aaron Copland, al quale ha dedicato una bellissima biografia pubblicata dalla Zecchini nel 2011 ‒ ma da noi ancora troppo poco frequentata. Si tratta, come suggerito dal titolo, Icelandic Waterfalls, di una sinfonia a programma strutturata in quattro movimenti, ognuno dei quali è legato all’immagine di una cascata, tra le molte e bellissime che si possono incontrare visitando gli splendidi paesaggi incontaminati dell’Islanda. La sinfonia si apre con una introduzione dal carattere lugubre, che lentamente cede il passo a una serie di temi incisivi ‒ tratti dal materiale folkloristico islandese ‒ dal tono declamatorio, che vengono sviluppati in un denso e coinvolgente intreccio polifonico. Il secondo movimento è pervaso da un intenso lirismo, dominato com’è da una spaziosa melodia, ancorché talvolta inframmezzata da solenni blocchi accordali. A essere evocato, qui, è il quieto splendore della natura, laddove in precedenza se ne era celebrata la maestosa potenza. Lo scherzo successivo, vivace e danzante, si contraddistingue per una notevole verve ritmica, accentuata dall’uso sapiente dei vibrafoni e dalle veloci figurazioni dei flauti. Il movimento finale inizia, similmente al primo, in modo sinistro, ma è solo l’incipit di ciò che seguirà, vale a dire una sequenza di rutilanti e impetuosi passaggi, che si susseguono in un crescendo di energia fino al possente punto esclamativo finale. Una prova matura e maiuscola, quella di Feliciani, a tratti entusiasmante, contrassegnata da un linguaggio personale (ancorché innervato da molteplici influenze) di “pulizia” formale ‒ con ciò intendendo la capacità di dosare e piegare le molteplici tecniche compositive di cui dispone alle proprie esigenze espressive ‒ e di comunicatività. A giudicare dal boato di approvazione del pubblico al termine dell’esecuzione, affidata all’ottima Rovereto Wind Orchestra diretta da Andrea Loss (ai quali la sinfonia è dedicata), pare evidente che non sono l’unico a pensarla in questo modo.

Voto: 10

Filippo Focosi

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