Luca Sigurtà ‘Grunge’

(Silken Tofu 2017)

Durante gli scambi epistolari avuti col Sigurtà inerenti la sua nuova, affascinante creatura “Grunge”, quando gli fu chiesto di inviarmi ulteriori delucidazioni che chiarissero il leit-motiv dell’opera, rimasi interessato dal modus operandi con cui Luca aveva cucito e idealizzato l’intero percorso: “il mio intento sotterraneo era quello di fare un disco come in epoca grunge … ovvero mixare pezzi più delicati a pezzi più duri, e affidare tutto all’ultimo brano, diciamo più sinfonico”.
Si, avete capito bene, il titolo “Grunge” si riallaccia idealmente a tutti gli effetti alle grandi manovre alt-rock con cui magari anche parecchi di noi hanno condiviso l’adolescenza durante la metà degli ’80 e il cuore pulsante dei ’90, andando così ad incuriosire ancora di più l’ascolto di questo lavoro, in quanto Sigurtà, per antonomasia, è conosciuto per essere un outsider puro&duro dell’elettronica sperimentale tricolore, con cui riesce davvero impervio tracciare anche lontani apparentamenti con la famosa epopea rock. E, invece, sempre prendendo il tutto da una parte con le pinze, dall’altro servendosi di una larga immaginazione priva di oscuri preconcetti, si può scorgere tra le pieghe di “Grunge” quel tipico taglio caratteriale insito in alcuni gruppi di Seattle e dintorni, che prediligeva amalgamare asprezza e melodia, ritmi veloci e fragorosi con paraventi d’intimismo quasi prossimo alla ballad. Ben si veste di ciò l’iniziale Badlands, aperta da una matassa di rumorismo noise che impatta in un delicato intarsio ambient, reso più seducente grazie alla presenza della voce di Chiara Lee (Father Murphy). Già, un’altra peculiarità del Sigurtà di “Grunge” è l’avvalersi con piacere di diverse collaborazioni esterne che contribuiscono alla stesura quasi completa di tutte le tracce dell’album. Incroceremo il reading di G.W. Sok echeggiare nei disturbi reiterati di Sewed-Up, anch’essi diretti nella sospensione ambient proveniente dal sottosuolo, e dominatrice assoluta della chiusura. Erotico quanto esotico, ma soprattutto un brano che ricorda in maniera velata certo industrial apocalittico nato in terra d’Albione (Psychic Tv, Nurse With Wound). Sentiremo Luca Mauri offrire dronanti rumori di chitarra al servizio di June, un sofisticato percorso costituito dall’incedere brumoso di un ritmo asincrono e ossessivo che scompare tra le maglie di una desertica pace assoluta. Parentesi sognante che piacerebbe molto ai fan di Roy Montgomery. Ogni brano sembra giocare sulla dualità espressiva, architettando aperture movimentate che si fanno sedurre dalla quiete dell’ambient verso la fine dei giochi. Così nei pezzi citati, così in Popskill, ipnotico e sinergico hype elettronico che si trasforma gradatamente in utopico raga futuristico; nell’elegante Topanga, malinconica parentesi fiorita dalla miscelazione di più rumori e campioni con la costante presenza delle linee melodiche partorite dal violoncello di Matteo Bennici. Maggiormente arcigno risulterà, invece, la conoscenza di Threshold, un’irritata marcia fatta di frequenze dissonanti, suoni circolari e voci radiofoniche che dipingono all’unisono uno scenario tormentato e destabilizzante. Purtroppo ho sentito bene e più volte questo disco solo una volta che il 2018 aveva già tagliato il nastro della partenza, altrimenti il sottoscritto non credo avrebbe esitato più di tanto nell’inserirlo tra le cose più eccitati ascoltate nell’anno passato. Luca Sigurtà erige un compendio di ingegnose emozioni elettroacustiche che difficilmente ascoltavamo così con interesse e stupore da diverso tempo, tenendo presente che sono anni che simili proposte invadono il mercato discografico indipendente. Bel colpo gobbo. Da affrettarsi perché la Silken Tofu ne ha stampate solo 300 di copie in cd.

Voto: 8

Sergio Eletto

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