Kendra Steiner Edition Little Story Seconda Parte

 

Di Marco Carcasi
grahgreen@yahoo.it

Piccola editoria di frontiera e sperimentazione sonora, folle e assortita.
Merita un secondo rapido passaggio Kendra Steiner Editions,segnali e traiettorie (per lo più, homemade o live) da San Antonio (Texas).
Piccolo artigianato visionario, fieramente D.I.Y.
Contratture beat generation su corpo livido ballardiano.
Una vertigine metropolitana ingombra di detriti (in parole e suoni), cosmicamente cupa e rischiarata a fatica da neon balbettanti.
Noise, elettroacustica, free jazz, spoken, cialtronerie assortite, folk destrutturato e lisergia poltiglia.
Darci occhio a intermittenza è prezioso consiglio estivo.
Estratti dal mazzo delle ultime uscite senza alcun criterio.


A.J. Kaufmann ‘Stoned Gypsy Wanderer’
Quattordici deliziosi brani dalla Polonia.
DIY tosto e casalingo, urgente ma non respingente.
In solitudine multicolore, ricca di suggestioni bizzarre.
Fra chitarre elettriche e acustiche, bassi, synth, giocattoli, programmazione e voce.
Pensar a un solitario urgente in mood Factory, pensar a Dylan, pensar a Barrett.
Agitare in shaker “Screamadelica”
L’insieme suona come un solare e non troppo abbrutito Julian Cope in botta domestica domenicale (qualche vecchio 45 giri garage sixties a gracchiar in sottofondo).
Molto fresco e piacevole. (7)


Alfred 23 Harth ‘China Collection’
Impro sperimentale di grande efficacia quella esposta dal tedesco Alfred Harth.
Gli ultimi incontri su Kendra ce lo mostravano piuttosto cotto e fuori calibro, ‘China Collection’, viaggia in controtendenza.
Sette composizioni/sovrapposizioni, di materiali prodotti nel corso di una carriera lunga decenni (ci trovate anche una partitura per quartetto d’archi del 1967).
Fra strumenti a vento, tromba, trombone, voce, elettronica e samples.
A tratti commovente (l’attacco dell’iniziale Invocation Orhk).
Gioco a incastri di memorie complesse (il 1967 di cui sopra, sovrapposto e corrotto da materiali del 2012).
Un pubblico apparentemente distratto e vociante (Live In Shangai II), ignaro della tempesta di frequenze in arrivo.
Che si aggroviglia spesso, mutando costantemente forma (le contratture di Stop Finning e Fin Noir).
Di combusta ripetizione fluttuante (la sfascio Ground Zero di ‘Revolutionary Pekinese Opera Ver. 1.28’, annodato ad estratti del duo con Heiner Goebbels).
Di furente pratica non ortodossa.
Più di un motivo di soddisfazione. (8)


Fossils ‘The Cardigan Hour’ / ‘Wooly Bully’
Un delirio freddo e non usuale dall’Ontario.
Incubo industrial/impro/elettronico, cattivo e primordiale, dalle lunghe sequenze a tratti quasi noiose nella loro insistenza punitiva aliena.
Un duo (Daniel Farr / David Payne) che si allarga alla bisogna (l’aggiunta di T.J. Borden e Rob Michalchuk in ‘The Cardigan Hour’).
Il primo titolo, presenta qualche esalazione catacombale di putrido free, poi raschiato via da spatola rugginosa/rituale, il secondo (‘Wooly Bully’) è un prolungato supplizio analogico registrato dal vivo su nastro.
Estremi e pesanti, con una ridda di voci strumentali davvero fuori dal comune (non lontani dalle peregrinazioni dei Mnemonists).
Odiarli ci può stare, io, con debosciati del genere ci vado a nozze. (8)


Smokey Emery ‘Live At The Hideout Theatre’
Astrali malinconie, amplificate e disperse in ampi spazi non del tutto rassicuranti.
Un vecchio teatro vuoto di Austin a tarda notte.
Daniel Hipolito sul palco a manipolar nastri e brandelli di risonanze, qualche microfono attorno.
Dilatazioni drone/noise/psych in modalità ascensionale.
La pressione a stritolar il corpo, faccenda secondaria. (8)


Marcus M. Rubio ‘Cities Sinking Down’
Taglia,cuci, amplifica, metti in loop, inceppa e corrompi, poi, metti in circolo.
Ingegneria decostruttiva applicata su sacro corpo folk.
L’American Primitive, setacciata in cerca di banjo-based songs, amate e poi manipolate.
Passione, rispetto e visione nell’azione del compositore elettroacustico texano, Marcus M. Rubio.
Brandelli, espansioni, incastri, strattonamenti ed intrusioni analogico/digitali.
Radici esposte.
La miscela esala sette fragranti composizioni, ruspanti, mutevoli e caleidoscopiche.
Il prima e l’ora, in viaggio verso l’oltre.
Sensibilità caleidoscopica e induttiva, spettri sovrapposti: Incredible String Band, Thomas Brinckmann, Steve Reich, Oval, Dock Boggs, Third Ear Band, Animal Collective e Abner Jay.
In torsioni raga, minimali, incalzanti con la polvere attaccata alle suole, obliquo/sperimentali ed esposte ad agenti corruttivi atmosferici.
Difficile chieder altro. (8)

*

Matt Krefting ‘Recitals’
Distese di screpolata ambient/elettroacustica, cinematica e agrodolce.
Di vecchi audio trovati e azione concreta.
Stratificazione luminosa e crepitante.
Fermo immagine tremolanti in progressiva scomparsa.
Note di piano, movimenti d’ambiente e sospensioni traslucide.
Tende tirate contro l’afa, gli occhi socchiusi, il vento. (8)


Bill Shute ‘Woried Men And Wooden Soldiers’
Spoken album, raccolta di poesie scritte fra il 2013-2014.
Edito anche come volume.
Consigliamo quello.
La voce del padrone di casa Kendra, piuttosto monotona, più qualche fruscio di fogli, non è mai stata il massimo della vita. (senza voto).

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