Ava Mendoza Intervista

Quinta puntata della rubrica Chi fa da sè fa per tre: Ava Mendoza.

Di Marco Paolucci

uccio12@hotmail.com

21/12/2012: Ava Mendoza è una giovane chitarrista di San Francisco con alle spalle una solida gavetta tra jazz, rock, musica contemporanea ed improvvisazione. Il vostro Kathodik Man segue le sue avventure sonore dagli inizi, oltre ad aver avuto il piacere di assistere alle sue “muscolari” esibizioni alla chitarra elettrica; da questo a pensare che come ospite nella rubrica ‘Chi fa da sé fa per tre’ ci sarebbe stata a pennello, il passo è stato breve. Detto fatto, inviate le domande, arrivate in men che non si dica dalla simpaticissima musicista le risposte. Subito a voi. Un ringraziamento va a Filippo Focosi per la revisione della traduzione. Ultima cosa: questa intervista la potete leggere anche in inglese qui.

1.         Quali sono le tue origini come musicista? In particolare come è nata l’idea di suonare la chitarra? Perché hai scelto questo strumento?

Sono cresciuta suonando pianoforte e chitarra classica. Avevo preso seriamente lo studio di chitarra classica quando era una ragazzina, ma al contempo ascoltavo noise rock e free jazz. Alla fine ho sentito che qualcosa la stavo perdendo e ho voluto suonare una musica che era molto più eccitante ed espressiva, vicina a quello che stavo ascoltando. Ho iniziato a suonare la chitarra elettrica, ad improvvisare e suonare al massimo volume, ed ho iniziato a comporre la mia musica. Per me la chitarra è uno strumento molto fisico e anche uno strumento che può essere molto personale. Ogni volta che esco a vedere un nuovo chitarrista, torno a casa pensando “Hanno suonato un mucchio di roba che non mi è mai capitato di suonare!” Molto più di altri strumenti, penso che si possa ottenere [dalla chitarra] un suono e un approccio distintivi, proprio perché è molto versatile.

2.         Ti ispiri  a qualcuno quando componi? Quali sono i tuoi “cattivi maestri”?

Sicuramente. Come strumentisti: Sonny Sharrock, Masayuki Takayanagi, Derek Bailey, Hendrix, Kerry King, musicisti blues come Buddy Guy e John Lee Hooker, e qualche sassofonista come Albert Ayler. Come cantanti/compositori, principalmente: Captain Beefheart, di nuovo Albert Ayler, Swans, Magma, e Mingus.

3.         Segui qualche particolare metodo quando componi le tue musiche?

Veramente no, [il processo] varia molto. Solitamente parto con una sorta di idea centrale per dare il via alla canzone. Del tipo: “voglio scrivere qualcosa con parecchi grooves sfasati e stranianti, dove ognuno sta suonando seguendo un tempo proprio, una particolare dimensione. Poi a metà brano voglio che si allineino in un potente riff all’unisono, per poi tornare ai grooves non-lineari”. Quando poi inizio realmente a comporre, questo spunto iniziale cambia parecchio e si sviluppa in maniera inaspettata.

4.         Dal vivo hai un approccio molto fisico con il tuo strumento, si può dire che trascendi la classica posa da chitarrista rivolto al pubblico ma mostri il tuo coinvolgimento con lo strumento. E’ solo una mia impressione o condividi questa visione?

Sono stata una musicista molto fisica fin da quando ho iniziato a suonare la chitarra elettrica; appena ho iniziato a suonare in piedi piuttosto che seduta ho realizzato che metà del divertimento era mettersi a saltellare! Per me la fisicità è incredibilmente importante nella musica; questo non significa che io debba correre intorno al palco e sbattere per terra la mia chitarra, ma riflette la mia concezione totalizzante del suonare, non limitata al cervello e alle dita. Suonare la musica o ascoltare la musica può essere un’esperienza totale, non solo un’esperienza sonora – essa è psicologica, emozionale, sociologica, fisiologica. Quindi, è importante per me suonare con tutta me stessa. La mia speranza è che il pubblico la percepisca anch’esso come una esperienza completa, ma ciò è fuori dal mio controllo.

5.               Con chi vorresti collaborare?

Con le persone con cui ho collaborato fino ad ora! Mi sento fortunata ad aver lavorato con persone di questo calibro… Ho fatto un tour veramente divertente in Italia nell’estate del 2012 con Marco di Gasbarro degli Squartet. Abbiamo fatto solo un concerto insieme, suonando un sacco di mie canzoni, prima di allestire questo tour in duo. Lui ha riversato tutto questo lavoro nella musica e ha un po’ alla volta imparato le mie canzoni. È una specie di Superman! Ad Oakland il progetto che sto principalmente portando avanti ora è un trio, Unnatural Ways, che comprende Dominique Leone (synth) e Nick Tamburro (batteria). Sto scrivendo tantissimo nuovo materiale per questa formazione, e saremo in tour in Europa nel Febbraio del 2013. Sfortunatamente non penso saremo in Italia. Recentemente ho anche lavorato molto con una coreografa/ballerina, Leyyla Mona Tawil. È davvero una tipa sensazionale, e alcune sue creazioni sono veramente intense. Per quanto riguarda le persone con cui non ho ancora suonato insieme, il bassista Jamaladeen Tacuma è senz’altro uno con cui mi piacerebbe lavorare.

6.               Come vedi la scena musicale americana?

Una cosa che distingue gli Stati Uniti dall’Italia nel campo della musica indipendente è l’impeto verso i tour; c’è questa ossessione americana nell’andare in tour che probabilmente proviene dalla mentalità della scena punk rock degli anni ’70, o forse è semplicemente il fatto del vecchio ardente desiderio di diventare delle celebrità del rock. Non sembra esserci qualcosa di analogo in Italia o nel resto dell’Europa. Da noi si è affermata quest’idea, nel mondo del rock, che tu non sei un musicista vero e proprio se non stai ininterrottamente in tour. Il risultato è che ci sono milioni di band che stanno costantemente in tour e qualsiasi potenziale pubblico finisce per annegare nella marea di musica di queste band che passano di città in città. La cosa divertente è che, a ben vedere, è molto più facile girare in tour in Italia e, più in generale in Europa. Le città sono tutte vicine, i locali sono in grado di pagare di più, e c’è in generale molto interesse per la musica sperimentale; senza che vi sia quella corsa frenetica al tour. Ad ogni modo, ciò che mi preme sottolineare è che il “mercato” della musica indipendente americana è, nell’insieme, iper-saturo. Ci sono così tante persone che sognano di suonare la loro musica, essendo dotate di un minimo di abilità tecnica, e a loro è stato detto che ce la possono fare perché sono speciali. C’è solo troppa robaccia in giro!

Per ciò che concerne la musica che amo e che trovo sia per me d’ispirazione, ci sono grandi artisti attivi al momento. Nel campo del free jazz/weird rock ci sono Brandos Seabrook, Mick Millevoi/Many Arms, Lisa Mezzacappa, Weasel Walter, Tim Dahl/Child Abuse, Ron Anderson, Marc Edwards, Dominic Cramp (Evangelista), Mike Guarino, e molti altri. Trovare la musica americana attuale che ti piace è come trovare un ago in un pagliaio, è necessario passare tutto al setaccio. Ma ci sono sicuramente persone che stanno facendo un lavoro a mio avviso fantastico.

7.            Quando puoi ti sposti per suonare in giro per il mondo, Europa e in particolare Italia comprese. Come vedi la scena internazionale a livello di rapporti umani, professionali?

Amo l’Italia, e come ho detto è molto più facile per me venire in tour in Europa, e non corro il rischio di andare in rimessa o di avere un esaurimento nervoso quando sto qui, quindi ci tengo a ritornare! Organizzare i tour per me ha sempre ruotato intorno alle amicizie, piuttosto che risolversi nell’avere uno smilzo pacco di materiale informativo da spedire in un milione di posti. La maggior parte dei concerti che sono riuscita a tenere sono dovuti a musicisti locali o ad organizzatori che avevo già incontrato e mi erano piaciuti, e che sembravano a loro volta apprezzarmi. Quindi questa è la cosa veramente importante per me, questa rete internazionale di persone che vogliono ascoltare cose nuove, sostenersi a vicenda, e sono pronti ad aiutarsi l’un l’altro. Le politiche maistream all’interno degli Stati Uniti sono ormai una sorta di teatro dell’assurdo, e in alcuni paesi che ho girato mi sento di dire la stessa cosa. Formare legami al di fuori di questo, formare una qualche forma di comunità, anche se piccola, arrabbiata e sparsa nel mondo, è per me vitale.

8.     La classica domanda finale a cui non ci si può esimere: come vedi il tuo futuro, musica, vita, tutto il resto?

Uff! Si, dunque, più di ogni altra cosa voglio cercare di andare a fondo nella musica che suono e che scrivo. Il mondo sta cambiando molto velocemente dal punto di vista economico, quindi è difficile sapere cosa si può realisticamente volere nel futuro. Ma voglio senz’altro continuare a suonare con persone capaci, folli, e appassionate, voglio che i rapporti musicali con i miei musicisti durino ancora a lungo, voglio capire le mie stesse composizioni e suonarle meglio. Unnatural Ways è il mio progetto più importante e voglio portarlo avanti per molto tempo e vedere come si evolve. Inoltre insegno musica, il che è altrettanto importante nella mia vita, e voglio continuare a farlo. Vorrei andare in tour molto più spesso in modo da potermi concentrare totalmente a sviluppare la mia musica. Sarebbe bello anche avere un altro gatto un giorno, ho una gatta ed è fantastica. Mi manca quando sono in viaggio.

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         Soundcloud: https://soundcloud.com/avamendoza/sets/unnatural-ways