Pearl Jam ‘Omonimo’


(Columbia 2006)

Ho approcciato questo disco dei Pearl Jam con la triste consapevolezza che, visti soprattutto gli ultimi precedenti, il disco sarebbe stato un bel cd intellettuale da 40-50enni che cercano di dire qualcosa in modo nuovo, ma che non sempre ci riescono. Insomma in modo molto differente dai primi dischi che ho amato e con cui sono cresciuto. Ed ho dovuto ricredermi subito. Ma prima chiariamo un punto. Gli ultimi due dischi, in studio, precedenti del gruppo, “Riot Act” e “Binaural”, erano davvero dei gran bei dischi, con canzoni di una bellezza straordinaria, ed atmosfere nuove e mature, ma ben lontane, almeno dall’opinione di scrive, e nonostante il tentativo in entrambi i dischi di inserire canzoni più sporche, dall’energia di dischi come “Vs” o “Vitalogy”. Non si discute la qualità, quanto magari la forma. In questo nuovo cd senza titolo i sopravvissuti di Seattle sfoderano invece una sequela di pezzi tiratissimi, incazzatissimi, semplici e veloci. Un po’ come ai vecchi tempi. Così come, proprio come accadeva nel passato, in determinati momenti le atmosfere diventano rarefatte, quasi fuori contesto, ma splendidamente melodiche e viaggianti con pezzi come Parachutes o la terna finale con la festa del delay di Army Riserve, il cantautoriale country di Come Back e l’introspezione con apertura finale di Inside Job. Ma, se negli ultimi dischi episodi simili erano comunque contemplati, il punto forte, molto forte, di questo nuovo lavoro è il carico di energia dato dai primi cinque pezzi.Life Wasted, il singolo World Wide Suicide, Comatose, Severed Hand e la bellissima Marker In The Sand avvolgono l’ascoltatore con uno spesso manto di suoni cattivi e vintage, che sposano delle linee di cantato estremamente rudi, ma semplici ed efficaci. Tutto molto conosciuto, senza però essere mai vecchio e scontato. Anzi. Si ha la sensazione che era questo di cui i PJ avessero veramente bisogno, e di cui forse avesse bisogno il rock in generale, soprattutto dopo l’onda di cloni britannici. Un altro tipo di semplicità. In sostanza i Pearl Jam sembrano estremamente in forma, addirittura ringiovaniti nelle foto (McReady sembra più giovane ora di dieci anni fa!!!). E, pare, che il gruppo abbia ancora tante cose da dire, visto che continua a sfornare una media di quattordici brani ad album. Anche se, e va detto, la considerazione appena fatta potrebbe essere l’unico appunto da muovere alle composizioni dei cinque musicisti. Perché se è ben chiaro che dietro gli ultimi lavori c’è una sorta di concept, ciò non toglie che spesso l’ascolto risulta appesantito dalla lunghezza eccessiva dei dischi, che potrebbero essere più stringati. Detto questo, io non vedo l’ora di sentirli a settembre a Torino……

Voto: 8

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Autore: emmenne76@tele2.it