Woody Allen ‘Match Point’

Di Mariaglora Fontana

alma777@alice.it

MATCH POINT regia di Woody Allen

Sono lontani i tempi del bianco e nero di “Manhattan”, ma soprattutto del più bergmaniano e rarefatto  dei film di Allen “Interiors”, datato 1978, che sino ad oggi rimane l’unico esempio nella sua filmografia di dramma davvero ben riuscito. Invece, il regista ci riprova a distanza di  27 anni con “Match Point”, pseudo drammone-thriller ambientato nella bigia Londra con tante pretese ed esiti imbarazzanti. Ci spiace dover scrivere di questo amato e, sovente, geniale autore in termini così dispregiativi, ma tale è stata la nostra delusione alla visione del film, che resta da chiedersi solo:”perché”? Che Allen sforni, in media, un film all’anno, a volte anche più, certo non aiuta la qualità delle sue opere, ma è pur vero che è, da tempo, artista prolifico ed attento alle sue creature. “Match Point” parte da premesse e temi interessanti che l’autore newyorkese non riesce, né vuole, analizzare, scardinare sino in fondo. Parliamo del tema del destino in contrapposizione al libero arbitrio, tanto sottolineato nel richiamo al romanzo “Delitto e castigo”. Tuttavia la citazione del romanzo dell’autore russo è meramente didascalica. Se è vero che il mcguffin è sempre un pretesto atto a generare suspense, è altrettanto reale la superficialità con la quale Allen affronta il dipanarsi della trama e i personaggi del suo film. Le relazioni attorno alle quali si svolge la narrazione risultano essere poco credibili o al massimo degne del miglior fotoromanzo.Tutto il film pecca di approssimazione. Nessuna intuizione geniale pervade “Match Point”, non c’è rarefazione, tutti gli accadimenti della narrazione sono prevedibili, come pure i comportamenti dei protagonisti: la scalata sociale di Chris, la passione travolgente e smaccatamente esibita fra quest’ultimo e Nola, l’identità sociale-pubblica di Chris e quella privata-intima, persino la soluzione finale dell’omicidio. Allen non ne ricostruisce le dinamiche psicologiche. I caratteri dei personaggi sono al limite del ridicolo se non addirittura stereotipati: Nola è la bella e maledetta, Chris il ragazzo di provincia che diviene arrampicatore sociale, Chloe è la classica moglie, donna petulante, bruttina ma intelligente tanto quanto è noiosa. Le ambientazioni della high-society inglese sono forse l’unica nota positiva, ma anche queste cadono in uno schema trito e ritrito. Tutto è già visto, tutto già detto, nessuna battuta da ricordare. Anzi, ne rammentiamo alcune di una stucchevolezza e banalità disarmante: “Quindi lo sai che effetto fai agli uomini?”dice Chris a Nola, preso dall’estasi dell’attrazione letale; o un’altra di ingegno epocale: ”Te l’hanno mai detto che hai delle labbra sensualissime?”. Imbarazzante anche l’epifania dei due fantasmi: Nola e l’anziana vicina di casa appaiono agli occhi di Chris. L’omicidio dell’amante come negazione di una parte del proprio sé, non elaborata ad opera di Chris è narrata attraverso azioni rocambolesche e risulta non maturata a livello narrativo, o almeno non sviluppata nelle vicende interiori del protagonista. Un film con troppe lacune, costruito in maniera autoreferenziale ed autocompiaciuta, Allen può bearsi delle arie che ha inserito nella colonna sonora, o anche delle citazioni letterarie: Dostoevskij, Macbeth,Verdi, Sofocle e in generale la tragedia greca e Shakespeariana, ma  tutta l’opera è mutila di spessore psicologico degli attanti, nonché di bassa caratura recitativa degli attori: Jonathan Rhys Meyers ( Chris) e Scarlett Johansson ( Nola), su tutti, esprimono una beltà  tanto plastica, inespressiva e statica quanto inutile e vuota. Il sottotitolo recita: non esistono piccoli segreti, lo crediamo sul serio, Allen ce li spiattella tutti senza procedimenti di deduzione, induzione, giochi sottili, nulla è lasciato al meravigliso gioco dell’interpretazione dello spettatore. Insomma, il regista, anche autore della sceneggiatura, vuota il sacco senza indugi, forse forte del fatto che il pubblico non potrebbe capire una trama ben articolata.
L’antitesi amore-passione, che fa da perno al film, poteva essere anch’essa dipanata su altri e ben più raffinati livelli di narrazione e di analisi, così da risultare intrigante, ma Allen si limita a confezionare un film “in fieri”, tutto in potenza, da completare e approfondire. Definirlo “incompiuto”, una bozza, un soggetto non sviluppato, è un eufemismo.
Non comprendiamo perchè la critica ufficiale si sia ostinata ad elogiarlo e decantarlo. Se il film avesse portato la firma di un emergente, la critica mondiale lo avrebbe massacrato. Fate una prova, andate in una sala cinematografica e assistete alla proiezione del suddetto film, vedrete la platea che ride, però stavolta Allen non ha scritto e diretto “Match Point” per suscitare reazioni dì ilarità. Peccato, sarebbe stata un’ottima commedia brillante. Il risultato è che lo è divenuta, ahinoi, suo malgrado.
Alle volte basta una “firma”, anche al cinema, e un bieco prodotto si trasforma in un’opera d’arte… potere dello show-business!
Però non basta spostare la location da New York a Londra o inserire citazioni colte,  per fare di un prodotto qualitativamente scarso un’opera d’autore.

Link:
www.medusa.it/matchpoint/