Crescent ‘By The Roads And The Fields’

(Fat Cat 2003)

Il proliferare sfrenato delle etichette indipendenti – favorito dal basso costo di produzione del CD – sta portando a un numero sempre più alto di realizzazioni che vedono il musicista maggiormente coinvolto in ciò che concerne l’iter delle sue creazioni: dalle scelte a livello di produzione fino a quelle che riguardano le soluzioni grafiche da utilizzare nella confezione dei CD. Capita così, con frequenza sempre più alta, di imbattersi in copertine che riflettono la personalità del musicista e il suo gusto, lasciando intendere perfino la fisionomia e la qualità della musica che celano. Prendete l’ultimo Cramps, per esempio, con quella orribile copertina che ricorda l’Ozzy Osbourne più sputtanato degli anni Ottanta; se lo ascoltate troverete che la musica, fatta da quarantenni suonati che giocano a fare i diciottenni, è in sintonia con essa e altrettanto ridicola. La stessa cosa – ma di segno opposto – accade per questo splendido “By The Roads And The Fields” dei Crescent, a volte prestanome del solo Matt Jones e altre autentico gruppo, dove una copertina sobria, con pochi tratti e con le immagini in bianco e nero, indirizza verso una musica intima e delicata, abbozzata in modo semplice, ma non banale, e ricca di soluzioni multiformi, però sempre legate alla versatilità dei quattro (poli)strumentisti che compongono il gruppo. Trovo che il nodo essenziale di questo disco è nel richiamo a certa musica narcolettica e a coloro che ne erano stati uno dei massimi ispiratori, cioè ai Joy Division di Atmosphere; di questi ultimi è anche avvertibile, nel lamento di Matt Jones, il fremito dello spirito di Ian Curtis, ma l’uso della voce ricorda ancor di più, in vari momenti, quella specie di pianto che ha portato a mitizzare il giamaicano Big Youth. Perfino nella musica è possibile cogliere una certa influenza dei suoni giamaicani, in particolare del dub, se non nelle tecniche, dal momento che non mi sembra vengano utilizzate manipolazioni di studio in tal senso, certamente nell’attitudine e nel modo di concepire i brani, che restano sempre sospesi, dilatati e in cui è avvertibile proprio la profondità che gli echi del dub sapevano trasmettere. Una musica che, più ancora che musica, è danza, in quelle sue evoluzioni sottilmente ritmate dove le percussioni utilizzate, da quasi tutti i componenti del gruppo, hanno un ruolo fondamentale. Il resto della ricchissima strumentazione è fatto di chitarre, organi, melodiche, pianoforti, ma anche nastri, strumenti primitivi o autocostruiti e bicchieri da vino, ed è strano pensare a come l’utilizzo di una orchestrazione così esuberante possa dar vita a una musica tanto sottile e trasparente. Impalpabilità e trasparenza permangono anche nei passaggi più concitati, come in Fountains e River Debris dove il gruppo (che, oltre a Matt, è composto da Jasper Larsen, Kate Wright e Sam Jones) viene rimpinguato dai fiati di George McKenzie e Rachel Brook (ma quest’ultima è presente solo nel primo dei due brani); e a proposito di ospiti mi pare doveroso citare anche Nick Haward che suona il contrabbasso in Straight Line. Il disco, nel suo essere miscela di musiche nere, indie-rock e climi notturni, ricorda anche “And Then Nothing Turned Itself Inside-Out” degli Yo La Tengo, però ripulito dall’antipatico snobismo e dalla noiosa patinatura che ricopriva il mancato capolavoro del gruppo americano. Gli attimi che preferisco sono quelli in cui la voce, così è in Spring e Mimosa, si fa inafferrabile bisbiglio e dissotterra fantasmi chiamati Spain o Slint. Con “By The Roads And The Fields” i Crescent festeggiano il traguardo del quarto disco, e il quasi decennio di attività, in splendida forma, tanto che questo progetto parallelo di Matt Jones sembra aver oggi surclassato in qualità quello che è la sua compagine principale, cioè i Movietone, dove suona essenzialmente la batteria. Ho sempre pensato che la famiglia facente capo a Flying Saucer Attack e Third Eye Foundation avrebbe generato qualche piccolo capolavoro ma oggi, che ce l’ho fra le mani, stento quasi a crederci. In fondo i Crescent non fanno altro che riciclare elementi già noti, eppure il loro disco è molto interessante, fresco e bellissimo. Ma cos’è che rende il già sentito interessante? Bella domanda. (no ©)

Voto: 8

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Autore: sos.pesa@tin.it