Teenage Kicks Volume 2


Nuove Perle di Saggezza Pop

 

HOLLAND Photographs & Tidalwaves – Cd Tooth & Nail/Goodfellas Dio…Chiamarsi Holland e venire da Seattle? Fermi, aspettate il cappello introduttivo e non affrettatevi in ricordi. Ricordate il buon vecchio, caro pop rock da massiccio airplay radiofonico? Quello che una volta chiamavamo rock da FM americana? Sparito quel mariuolo, sommerso da Lennies Kravitzes, paccottiglia tatuata, finti punk da AmEx, virginee lolite, navi scuola, zoccole tout court e glabri adolescenti. Sembra un secolo…Ma una volta avevamo gli Ironhorse, i Reo Speedwagon, gli ELO, i Motels…Oggi? Oggi ci toccano gli Holland. Appunto. Spiace sparare sui ragazzotti ma – come si suol dire – si stava meglio quando si stava peggio. Data di scadenza pericolosamente vicina, gusto da panna pronta ad inacidirsi e insopportabile capacità di scrivere melodie virulente. The Whole World, ad esempio, è possibilissimo tormentone estivo; I’m Not Backing Down è anni 70 terminali (accanimento terapeutico compreso); Shine Like Stars ci prova con petulanti Dandy Warhols e i Police. Uff! Un’ora di ‘sta roba sfibrerebbe Mollica, Fegiz e un altro paro di parrucconi celebri. Insomma, fanno proprio schifo nel mieloso mondo omogeneizzato? In confronto a Lopez e compagnia no…Ma meglio gli ELO ragazzi.
E Peggio Kravitz.

RADIO4 Gotham! – Cd Cityslang/Virgin Ah, l’America! Si fa presto a squagliare i padri putativi dei radio4. Basta inserire il dischetto nel lettore e farsi contagiare (trasportare lontano, indietro) dai 13 titoli di Gotham!. Vi troverete impressionanti canovacci rock funk quali Dance To The Underground, praticamente un hit miei drughi, non vi tenessero aperte le pupille a forza davanti a MTV; ispidi e nervosi tappeti in levare (Our Town); meraviglie hard imbastardite di new wave (Certain Tragedy, l’apice) e un mare di chitarre Gillette, ritmi taglienti, bassi pesanti e cavernosi, dal groove grasso. Lo so – ora! – da dove deriva Radio4, interessante crasi tra This Is Radio Clash e Gang Of Four. E’ tutto qui…sopra ci cacciate una vocina rock da figlio di puttana (Mick Jagger o giù di lì) e siete a posto. Se i RHCP avessero ancora un neurone vivo e coraggioso farebbero Gotham!.
Splendido.

THE KING OF FRANCE The King Of France – Cdr autoproduzione Che bella sorpresa! Scoprire che qualcuno ancora usa le tempere ad olio di Martin Carr (Boo Radleys) e Andy Partridge non può che riempirci di gioia. Nessuna sbavatura nella scrittura del Re Sole: cornici che ben vedrei sulle tele di casa Cherry Red/èl (The Beast); pop che ha del N.A.M. (è finito, vero?) e dei Beatles blu il midollo (What’s Your Name); Blur/Pavlov’s Dog – meretricio luciferino – in Notion; macchie Rorschach in Beautiful Horses e creme Pavement in White Confection (grande pezzo). Come se Brett Anderson raggiungesse on stage Neil Young. Chi sono allora questi sovrani transalpini? Un terzetto della Grande Mela (Steve Salett: voce e chitarra; Tom Siler: tastiere, basso e Michael Azerrad: batteria) incontratosi ai gig segreto della reunion dei Pixies nel Capodanno 1999. Nulla all’attivo se non questi 7 bozzetti recapitati in penisola. Talento ne hanno, calligrafia sicura pure e non mancano canzoni da ricordare. Ricordate anche voi, un domani – Dio volesse – dove ne avete letto per primi.
www.thekingoffranceband.com

SAN LORENZO The Sea Is A Map – Cd Bearos Records uscito da parecchio invero, ma difficilmente scovabile dalle nostre parti, The Sea Is A Map è il secondo album dei San Lorenzo (dopo Nothing New Ever Works del 2000 su Gringo Records), terzetto inglese piegato sulle brume Mogwai e Yo La Tengo. Così almeno recitano le note stampa, ma sembra limitante alquanto rinchiudere i nostri in ‘sì stretti – pur se prestigiosi – perimetri. Sovietici fraseggi di autistiche chitarre, fratture ritmiche, epiche introspezioni e cascate sonore conducono dalle parti di un rock che è già post (Firefly) epperò vi sono vellicanti florilegi sonori che conducono altrove. In casa Fall, ad esempio, come indica la sovraesposta Ocean o il quasi omaggio al Mark E. Smith di We Got Mysticism; o in dimenticati canovacci che sanno di new wave d’antan (Polaroid), o ancora quel gusto yankee per ghiaccioli alla Slint o per rozzi epigoni dei Devo in fregola dopo-hardcore, mentre della bella e nervosa indie scorre in Before They Made The City (dubito però che sia stata questa la molla che ha fatto loro accompagnar gli Idlewild in tour). The Sea Is A Map raccoglie periodi di produzione vasto e frastagliato, oltre a sei brani di nuova fattura trovano spazio anche i tre singoli – rari ed in vinile – editi dal terzetto tra il 1998 e il 2000. Qualcosa suona già datato, a dimostrazione di quanto e come corrano i tempi, di questi tempi. Ragionevole dar loro un ascolto, encomiabile supportarli, ma consiglierei l’acquisto ai già convertiti al verbo. Amen.
www.bearos.freeserve.co.uk

 

GALLON DRUNK Fire Music – Cd Cargo/W’n’B Chiedo venia, mi farei evirare con un aguzzo chiodo l’intea discografia degli Associates per aver lasciato languire inmezzo al pacco degli impolverati cotanta beltà. Babbeo mi son detto, nel ritrovare Fire Music tra improbabili raccolte. Coglione, invece, m’è venuto prontamente alle labbra man mano che l’ascolto procedeva. Suvvia, quale gruppo può vantare d’aver avuto ogni stramaledettissimo singolo della propria carriera eletto a Single Of The Week dal NME o MM? Quale altro gruppo è riuscito a strappare parole inequivocabili a John Peel? Suonano come nessun’altro, disse il barbuto guru. Sfortunati come pochi, i Gallon Drunk. Dischi superbi, un talento immane come James Johnston (sciupato a patire il freddo nella panchina Bad Seeds), ma vendite e soddisfazioni commerciali pericolosamente nulle. Fire Music è un altro capitolo della saga sonora, ed è un altro capolavoro di blues sofferto, ombroso, laconico e lacerato, e i Gallon Drunk discendono da quell’olimpo dove far musica significa paludi del delta, zanzare fra i capelli e boubon fra le dita, parafanghi scassati e gonne avvinghiate. Ma anche rock moderno, Leonard Cohen, Penthouse (la band, intendo), Clash e fame onnivora. Macchine da guerra sul palco (li ho persi on stage giusto qualche mese fa, stavolta non per colpa mia) e minuscolo culto per uno sparuto manipolo di fedelissimi. Non li vedremo mai in classifica, mai in uno spot (versione sozza e disperata dei Cousteau, loro) e magari riusciranno pure a finire tra le grinfie del sussidio, la carriera in miseria e la vita in qualche vicolo. Qualche inverno. Prezzo da pagare alto, certo…Ma è questo il ticket da obliterare per avere in ricompensa dell’arte e non del puro (per quanto formalmente ineccepibile) intrattenimento. I brani dite? Non vi sono cadute di tono, vi basti questo. Vi basti avvertire il vibrare di un lungo percorso di canzoni dove facilmente v’andrete ad impantanare con il cuore (Everything’s Alright fa male come una pallottola sull’aorta; la rilettura di Series Of Dreams di Dylan ulula alla luna). Capolavoro. Davvero. E ve lo dice uno che prova un flebile soffio per i Bad Seeds.

GRAMOPHONE Gramophone – Cd Artful/Audioglobe Gran bel nome, nevvero? Mi riecheggiano nelle orecchie e mi si specchiano nelle pupille antiche vestigia: His Master’s Voice, quel cane, i 78 giri, le puntine da un chilo…Tutte cose che ho sempre accarezzato nella mia immaginazione da scontatissmi luoghi comuni. Gran bel nome, comunque. E pure la musica non è male, in questi Gramophone, band che già può vantare fans eccellenti (Tori Amos, i Blue Nile, l’efebico Sylvian) grazie ad un disco – questo – che ha della soavità la sua forza d’urto. Li descrivono come dei garbage col cervello, io preferisco vedermeli come dei 10.000 Maniacs trip hop, forse aiutato dalla somiglianza vocale tra penny McConnell e nathalie Merchant. Parte bene Gramophone: una leggiadra Mr. T, una Motel Lullaby che odora di Massive Attack e Morcheeba lucidi; una Lovely Machine che i Moloko ancor cercano; una pastorale Hello Kitty da appoggiare sotto l’albero, con un gusto Bjork a soffiare sul caminetto. Pop noir, fumoso e ghiacciato…Pur sempre suono à la page, giusto? Ma Gramophone ha più d’una freccia in faretra per ammorbidirvi il cuore, foss’altro la voce di Penny, o le visioni di Birmingham imbastita d’uggiose brume. Certo, qualcosa s’appiglia e suona scontato (Paper Boat e la spasmodica voglia di croonerismi cheap), ma un gioiellino come Denial (Reznor che produce Patsy Kensit mentre Flood arrangia e Gore soffia sulle drum machines?) riequilibra il tutto.
www.darkgramophone.co.uk

BEAUMONT Tiara – Cd Siesta Records Jazz elettronico, boleri trip hop, tanghi glaciali, croonerismi acidi e bossanova digitali. Tiara è uno dei più bei dischi nei quali mi sia imbattuto nel campo della cosiddetta lounge (spesso null’altro che riempitivi da edicola come le collane new age). Dopo Discotheque à la carte del 2001 Paul Stewart e Keith Girdler (Blueboy nel suo palmarès) tornano con 10 tracce di sopraffina dolce vita, dove champagne, sigarette senza filtro, spiriti di casa Sarah records si mescolano ad Astrud Gilberto e spiagge 60es. Intelligente, cosmopolita, eterogeneo nel mescere stili e direzioni a super arrangiamenti ornati da cello, ottoni e violini. En Pleurs e Nowhere Near sono John Barry e gli Associates sul set di un giovane Connery mentre sfila Blue Lines; Glance Across The Room è The Girl From Ipanema rifatta a Brixton assieme ai nostri Delta V; Club Class interseca Momus, Saint Etienne e deep house, Ladybird ha una traccia melodica irresistibile e una vocalità dotatissima e la ghost track ha tutto per divenire un hit modernista. Giuro che, foste adepti dello schioccar di dita e mascara colante, Tiara vi scuoterà ormoni e ventricoli. Mi ringrazierete.
www.siesta.es

CANDY COLOURED CLOWNS Glory – mCd The Bus Stop Label Records Mi piace il modo d’agire della Bus Stop Label, il rooster variegato e a 360° senza paturnie, mode o provenienze geografiche. Prendiamo i Candy Coloured Clowns, ad esempio: che ci fa un gruppo dal suono prettamente inglese su una minuscola etichetta di Milwaukee?…Epperò che belle le 3 canzoni di questo EP; un gusto che rimanda al miglior pop chitarristico britannico, tra Pastels, Jasmine Minks (ohibò! Hanno giustappunto firmato per l’etichetta in questione) e Creation assortite. Le malinconie House Of Love di Sad Satellite, il refrain che frigge nelle 6 corde di Glory, la voce impostata come ben si conviene a qualsiasi ugola post Beatles e le gocce sad pop di The Kids Are Going To Really Love You. Mi sembra superbo scriba questo Taffy Hughes, manca solo un super produttore con i fiocchi (consiglierei Pat Collier) e potremmo trovarlo anche su MTV. Buon per le sue tasche, certo…forse meno per la sua ispirazione.
www.busstoplabel.com

 

ANDREW Happy To Be Here – Cd The Bus Stop Label E che dire allora di questo cicciuto nerd? Un talento cristallino e la completa oscurità causa la scarsa dimestichezza del mercato con il piccolo ufficio di Milwaukee…Eppure le 11 pennellate di Happy To Be Here dimostrano talento non comune nel mescere Brian Wilson, Pulp, Julian Cope e XTC. Cori sovrapposti, animo 60es, melodie che occhieggiano gli Housemartins più melodici e delle istantanee che si appiccicano alla memoria sin dal primo ascolto. Tears Anyway, I Wish You Would, Allyn White, If I See You Smile sono piccoli capolavori che – fossero usciti dalla comune Belle & Sebastian – avrebbero guadagnato copertine e interviste. Purtroppo lui sembra un Andy Partridge sovrappeso, un guitto uscito dai clienti di Championship Vinyl, ma a noi poco importa; le sue dita e il suo cervello funzionano alla grande. Delizioso disco, scrivetegli.
www.andrewsandoval.com

 

PAIK The Orson Fader – Cd Clairecords Mette un po’ alla prova la nostra resistenza (pena orchite spaventosa) il disco dei Paik, compagine Usa invaghita dallo shoegazer meno scontato (più My Bloody Valentine che Moose, insomma) e dalle mantriche circonvoluzioni di gente quale Mogwai e Godspeed! You Black Emperor; sono 12 tracce che sfibrano il lettore e che indugiano in reiterate percussioni chitarristiche a spirale; molto post rock lineare, tantissima ricerca sulle sei corde, ora riverberate in tripudi quasi Cocteau Twins (Killing Windmills), ora adagiate in stratificazioni che possono pure avere un retrogusto Felt e Loop (Purple, la title track) ma annegato nell’amarognolo. Il resto è bagnomaria e tiepidume solipsistico; poco per invogliarvi a sborsare firo di bigliettoni nel mercato dell’import, ma se foste tra i neo convertiti e non vi lasciaste scappare nessun gruppo dalle spiccate produzioni strumentali…
www.clairecords.com

THE SOMNAMBULANTS Monument Ep – Advance mCd Clairaudience Records meglio ‘sti fessacchiotti quindi, dalla casa discografica quasi simile come denominazione, ma lontanissimi per quanto riguarda le strutture sonore…Loro vogliono farci credere si tratti d’electroclash…Sì, come avrebbero potuto farlo gli Yazoo (Evacuation), Blondie remixata dai Camouflage (In Transit, bellissima al punto d’avvertire un soffio Sarah Cracknell tra il techno pop nostalgico delle sequenze armoniche) o un Gary Numan prestato agli O.M.D. (la contagiosa Things Will Happen, pronta per i dancefloors); l’unico neo è rappresentato proprio dalla traccia che titola il lavoro, un inutile esercizio di stile 80. E’ sempre il suono della nuova New York – quando la smetteranno e volgeranno la faccia altrove? – ma comincia a stemperarsi in rivoli più interessanti e, soprattutto, eterogenei. Attendere l’album per maggiori conferme.
somnambulants@clairaudience.com

EL DIABLO EN EL OJO The Ballad Of Kim Carson – mCd Piccoli Cousteau crescono, dalla Spagna un piccolissimo gruppo che sembra aver imparato la lezione in maniera impeccabile, ottimo songwriting, voce da Martini sgualciti e minuscolo seguito tra i soliti amanti di Tindersticks e uomini in nero assortiti. Waltz ha proprio Tindersticks e Cave tra i garretti, Monaco è spaghetti western in Montecarlo durante la Dolce Vita, più ammiccante e semplice la title track,  con un bel jingle jangle e Gallon Drunk pensiero a farcirne le tessiture armoniche. Bel gruppo, ma nome orribile…n’est pas?.
www.primerospasitos.com

BIFFY CLYRO 57 – mCd Beggars Banquet Il solito rock zompone che fa il verso ai Pearl Jam e santoni vari. Personalmente m’ha scassato le palle dopo 40 secondi. Roba scotta da Heineken Jammin festival, lasciatelo negli scaffali assieme a Skin.
www.biffyclyro.com

MISS PAIN The Valentine Tapes – mCd autoproduzione Ancora techno pop degli ottanta, sulla scia di Human League (i primi) e fredde sciabolate (Dio, sembro Piccinini!) electro. Casio, sequenze semplicissime e marziali melodie; solo due accordi per dei ricordi très fashion in Campari & Sex e Buslanecrash. Solo due tracce. Molto spartani, molto carini.
www.misspain.co.uk

BARTOK Few Lazy Words – Cd Santeria Tra le pochissime cose italiane d’oggidì che mi rapiscono i battiti cardiaci, i Bartok tornano con un disco seppur poco adatto ai caldi estivi, decisamente intrigante in quanto a spessore. Residui post punk, iniezioni di forti dosi di classico spleen, violenti drammi al violoncello e al pianoforte e semplici atmosfere che incidono come lamette. V’è del blues fognario (complimento, sia chiaro!), del nevrotico punk Wire, del jazz stratificato e new wave criogenica che riecheggia (a me) Prag Vec e Delta 5. Né bizzarri, né eccentrici, come usualmente li si vuol tratteggiare, solo un grande gruppo italiano che sa cosa sta maneggiando. Il buon sapore 4AD meno etereo di In Cold Blood, dove pertugi di new wave oscura e Dif Juz s’ergono, il classicismo free di Traffic Jam dall’incedere minimale e sovietico, le bellissime e toccanti Late Fragment (Radiohead meets Phil Schoenfelt?) e Double Spoiling (tra il Pinocchio televisivo dei 70 e musica colta) e The Girl I Used To Know, tanto Nicola Miniera. Grande disco, manco sembra italiota. Bela ne andrebbe fiero.
Info@ghostrecords.it

SHUGGIE OTIS In Session Information – Cd RPM/Goodfellas Dopo quell’Inspiration Information che tanto inchiostro ha fatto spendere (ristampa dell’originale 1975) e che ha riaperto il caso Shuggie Otis (figlio di quel Johnny che tanto diede al mondo funk soul) la RPM è andata ad impolverarsi negli archivi della serie Blues Spectrum facendo le pulci e pulendo l’intero catalogo; ecco quindi alcune splendide performance effettuate dal nostro tra il 1973 e il 1977 come comprimario di lusso per alcuni tra i migliori talenti black. Tra blues, funk, soul e animenere le chicche – altrimenti irrecuperabili – fanno saltare dalla sedia anche il più innocuo fuitore di Jamiroquai et similia. Si va dalla Country Girl del padre (successone nel 1968) ad una gran versione di Louie Louie di Richard Berry, immersa nei completi tonic, nelle Lambretta e ormeggiata sulla spiaggia di Brighton e si finisce con delle deliziose e swinganti Big Legged Woman (Charles Brown) e Boom-Chick-A-boogie di Joe Liggins. In mezzo? Un’oretta di talento nero.

COPENHAGEN Home – mCd Super8 Recordings Vi capitassero sotto i padiglioni auricolari e trovaste affinità elettive con i Cousteau, sgombrate la mente. Ed andate a riprendervi le prime cose del Cocker Jarvis e di quei Pulp sfigatelli che erravano per John Peel Session ed etichette (circa It) prima del planetario successo. Era un baritonare oscuro quello del Jarvo, debitore del Cohen più lugubre e dello Scott Walker di mezzo (spiegata la produzione di We Love Life?). Quivi si gioca con medesimi registri, con la title track dall’incedere Divine Comedy; con una bellissima Caroline’s Wedding dai rimasugli jazz; con una Afterstorm dalle spore e scorie Magazine e Wim Maertens e una The Reception che è sintetico stormir di jazz in dub. Grande gruppo che aspettiamo con ansia, loro (sono in 8) e il florilegio di cello, viola, trombe ed ottoni impiegato.
www.copenhagen-uk.co.uk

MAYDAY MURDERS Mayday Murders – mCd Fire Records Grandi White Stripes, vero? Nulla da dire. Ma che scrivere allora di questi Mayday Murders? Sembra registrato nei sotterranei di una bisca clandestina di una torrida e sozza suburbia questo ep; con una strumentazione d’accatto e con una band che, per metà gioca a fare i Penthouse/Gallon Drunk e per metà i Nirvana. Vero sgranar di nastro magnetico in 4 ruvide piste (i 4 brani sono stati registrati in appena 6 ore), con sibili che potrebbero essere del blues chimico (Don’t Wanna Know), qualcosa d’altro una risposta delta e limacciosa agli Strokes (The Outcome), mentre c’è anche il tempo per paludose ballate (Shut Down) e per The Kills/Yeah Yeah Yeahs riffs (Sonic Vendetta). C’è anche un compatriota in formazione. White Stripes. Senza hypes. Ottimi.
www.firerecords.com

THE MUTTS Hostage – mCd autoproduzione Qual è la moda oggi? New rock revolution? Allora tutti sotto: datsuns, the Kills, Si Si Si e vari…’Porelli i Mutts, sbracciando, sgomitando e sputando sangue e sterline sono riusciti a prodursi un tre tracce. Neanche male, bontà loro. Bei rifferama hard, Stooges pensiero, barlumi aussie à la Datsuns e qualche schitarrata ‘che Nevermind è proprio bello.
Nulla che resti, ma sono giovani, ci credono e non sono proprio così inferiori ai sopra citati nomi. Nessuno li degna di uno sgurado, perché non provate a farlo voi? C’è anche una graziosissima edizione in doppio vinile bianco che vi aspetta su Majesty Of Rock records.
www.themutts.com

 

MONADE Socialisme Ou Barbarie The Bedroom Recordings Cd Duophonic/Wide La posso dire? Non so voi, ma per quanto ho avuto modo di sentire, Stereolab non ne azzecca una da anni. A dirla tutta, si sono così presi sul serio che sono diventati una spaccatura di santissimi epocale. Non bastasse, oggi ci si mette anche Laetitia Sadier con il suo progetto Monade, crema di nenie sonnolente e abbozzate registrate – in parte – con l’aiuto di Rosie e Matt dei Pram. Scarni quadernetti, appunti acustici, bozze e saccenza raccolta dal 1996 al 2002: dai tappeti bleep di Un Express alle lagnette di Enfin Seule e Cache Cache Donna Letizia avrebbe potuto sviluppare meglio le – rare (Witch Hazel) – intuizioni ed accorciare il minutaggio. Avremmo forse avuto un altro Cache Coeu Naif, ma nessuno se ne sarebbe accorto, addormentato sul divano di casa. Altro che Bedroom Recordings! Non v’è nulla che abbia estro, battito d’ali, inventiva o guizzo che superi le due note (terribile, a tal proposito, l’urticante Graine De Beautè), forse solo la bella – quella sì! – Vol De Jour. Probabilmente se ne vorrete leggere bene dovrete rivolgervi altrove – sono ancora numerosissimi gli adepti al culto, lì fuori. Questo non è un parto, e nemmeno un aborto. Solo una gravidanza isterica.
Ridateci i MccCarthy!

BREATHLESS After All These Years – mcd Tenor Vossa Delle volte uno…Me li credevo immersi negli anni ottanta più bui e umbratili, dimentico che Breathless fu sì, anima 80, ma anche piccola tartaruga tenace nel solcare i decenni. Ritrovarmeli oggi, dopo tutti questi anni, ancora pieni di inventiva e idee, m’ha fatto sbrilluccicare gli occhi. Che gran persone i Breathless! Ne conservo nostalgico ricordo, spiriti nobili e lontani da qualsivoglia nevralgia da rockstar. Peccato siano arrivati troppo presto e si siano sbattuti a lungo per poi vedere le proprie intuizioni masticate e risputate, bolo sanguigno, da Low e Spiritualized. Come che sia After All These Years è toccante assai nel suo incedere Pink Floyd riverberato, e pure space-rocca da matti l’amniotica Solar Blue, mentre Ribbon Waves fluttua in una miscela ambient che mette sul piatto Orb e Kraut. Tanto di cappello.

REVLON9 Someone Like You – mCd autoprodotto Le nuove leve sintetiche si fanno udire. Prendiamo i freddissimi (ma per provenienza geografica) Revlon9: sbattono pop ambiguo e dagli artigli digitali in centrifughe moderne (la title track, Closer); ammiccano ai primevi a minimali Human League (This Is All This It) e riescono pure a schiaffare un sozzo garage-blues dai piedi electro (The Seventh Seal). Che desiderate di più? Un nuovo lavoro? Avete ragione.
www.revlon9.com

MY FAVORITE The Happiest Days Of Our Lives – mCd Double Agent Records Curioso come il miglior pop di stampo inglese venga oggi prodotto nelle fucine della torrida New York, sarà perché i sudditi di Sua Maestà stanno facendo di tutto per sotterrare i ricordi del – nemmeno troppo recente – brit pop, persi dietro strane miscele che non sono nelle loro corde e nei loro cromosomi. Non so a cosa sia dovuto con precisione, o meglio, lo immagino, ma New York sta sfornando dei perfetti gruppi pop ancorati ad un certo retrogusto indie e dallo spiccato afflato melodico; penso agli Elefant (ne parleremo, prima o poi) e a questi My Favorite, quintetto di marzapane che con L’Ep in questione riescono a miscelare favolosi ricordi cari ai New Order più umbratili (The Suburbs Are Killing Us), incrociano percorsi Rain Band/Lush (Burning Hearts, la title track) e addirittura hanno deja vu da primevi Pulp e reminiscenze Smiths (quel rincorrersi di voci!) in Working Class Jacket (e, difatti, citano Morrissey e Marr nelle liriche). Tenui fraseggi di analogiche tastiere, un basso new wave, sequenze melodiche di – possiamo dirlo? – brit pop d’antan e una zuccherina voce femminile (e femminea) che ammalia. Grande personalità, talento non comune nel costruire canzoni con tutti i crismi e quel quid in più che differenzia un buon giocatore da un talento puro.
Meraviglia.
www.lostdetective.com

VV.AA. Pow! To the People – 2Cd Track&Field/Wide Ce ne vuole per emozionarmi, dopo 25 anni di onorato rompimento di marroni in quello stagno che è il rock and roll, e pure ci vado con i piedi di piombo, come un amante troppe volte deluso. Mi fido ancora, ma non mi aspetto nulla dal rock; lo prendo quando viene e lo lascio quando va, e così fa lui con me. Ci tolleriamo, e siamo reciprocamente ipercritici; epperò da parecchio tempo non mi accadeva di riuscire a scovare delle ottime formazioni (il Polyrock che avete tra le mani sporche di nero inchiostro lo testimonia) in così breve lasso. Pow! To The People ne raccoglie parecchie, tutte giovani, emozionanti e pronte a deflagrare se qualcuno avesse voglia di accorgersene. Sarà che Track&Field è splendida etichetta pronta a scovare il miglior pop in giro per il pianeta, ma i due cd vi fanno trascorrere un paio di piacevoli orette in mezzo a pertugi di sixties, di alt-country, brit e power pop smaliziato, rimasugli di Sarah records e tenere elettronicherie. C’è lo scanzonato tiroquasi beat dei rodati Comet Gain (Look At You Now You’re Crying) , la splendida Tomorrow Always Comes della sorpresa Kicker, il superbo fraseggio Bacharach/Mod degli Aislers Set (Hey Lover, grandissima!) o il ripensar Smiths dei Ladybug Transistor (Galveston). Ma anche le digitali tristezze degli I Am The World Trade Center (The Postcard), il tweepop incestuoso e simil-acustico di Herman Dune (Watch And Smile) o i fasti spettacolari di Olympic Lifts (Kickstyle) e Cane 141 (The Grand Lunar); mentre The Tyde (How Am I Supposed 2?)e Clientele (Step Into The Light) vergano acquerelli profumati – con i secondi impegnati a richiamare in vita i Gene – e Dressy Bessy (Hangout Wonderful) e Saloon (Across The Great Divide Version) mostrano la rigogliosa vita del rooster di casa track&Field. Che è grande etichetta, e ha trovato pure distribuzione italian tramite il segugio Wide. Pow! To the People, People Have The Pow!er. Prezzo speciale, che aspettate a farla vostra?

VIVA STEREO Last Scene Ep – mCd Much Better Records Con un nome simile mi aspettavo una miscela simile a Ladytron, o – al massimo – a qualche grazioso pargolo intrippato con Casio e bottoncini retrò. Invece è stata gran meraviglia udire gli incroci sonori dei Viva Stereo. Un mondo che rimanda ai Radiohead meno ostici e con marcato gusto pop (Try Harder), che ha scorie Magazine fuse con creme R.E.M. (VivaStereo), bozze new wave lasciate a bollire in ritmiche sinistre (Don’t Let Them In) e, in coda, due semplici trame acustiche (Wake; Barcelona In May) dalla suadente tristezza. Manca un omogeneità di fondo a rendere il tutto scorrevole, ma per ora è dignitoso e saporito inizio.
www.muchbetterrecords.co.uk

FLY Put The Needle Down And Fly – Cd Elefant Records Sembra che sia finalmente giunta l’ora anche per la riscoperta dei Felt: Cherry Red ha schedulato la ristampa dell’opera omnia con cadenze mensili, e la minuscola Elefant – etichetta di stanza a Madrid – è riuscita a raggruppare 3/4 della formazione di Birmingham per un – non sappiamo quanto estemporaneo – progetto. Fly è la nuova incarnazione di Marco Thomas e Gary Ainge (che dei Felt furono motore ritmico), aiutati per l’occasione da Martin Duffy (attualmente in forza ai psicotropi Primal Scream) e dalla supervisione dello chef Lawrence Hayward. Manca la straordinaria chitarra di Maurice Deebank per rinverdire i fasti e le catarsi soniche della casa madre, ma le 10 strumentali composizioni di Put The Needle Down And Fly non sembrano avere nessuna intenzione di abbeverarsi su acque intorbidite (e intorpidite) dal tempo. Piuttosto si odono profumi da New Order semi acustici (Multiplex; la new wave riadattata e declinata in pop di Motorway), batteri simil progressive (Skislope fluttua addirittura dalle parti dei Genesis di Follow You Follow Me senza indurre al diabete; i lunghi incrementi armonici di Lambourghini e Situation) che non intossicano; mentre Flightpath potrebbe (potrebbe eh!) essere Brian Eno intenerito dai Flock Of Seagulls e Chalet ben si adatterebbe ad essere plasmata su una sigla Tv tenendo nelle sequenze qualcosa della dimenticata filiazione Denim del citato Hayward. Scandinavia, infine, con le sue progressioni retrò riporta alla mente la  stagione pre-indie. Piacevolissimi, senza velleità di alcun tipo e talmente fuori dal tempo da risultare paradossalmente attuali, i Fly confezionano un album che mai – temo – vedrà (oltre a italica distribuzione) vendite adeguate al suo livello. Aiutiamolo.
www.elefant.com

VV.AA.  NY: The Next Wave – Cd Kanine Records Ok…di Yeah Yeah Yeahs, Interpol, Liars e Radio 4 saprete già tutto e tutti (senza parlare degli osannati Dei Strokes); ma pare che la rinascita della scena di New York sia qualcosa di più di un’accozzaglia di nomi incidentalmente usciti allo scoperto grazie ad un intrigante giuoco di stampa, di giubbotti di cuoio e di bei faccini. Piuttosto sembra d’essere tornati ai tempi d’oro di Bush Tetras e Liquid Liquid, e la raccolta della Kanine Records esibisce il ribollire del sottobosco; i futuri, possibili, papabili nomi che potrebbero esplodere in un batter d’occhio dovunque (sì, anche su queste pagine), come tornare all’anonimato più impietoso senza lasciar minima traccia. Resta l’attuale vitalità di una metropoli che sta davvero dando frutti interessanti e prelibati. Perché c’è di tutto nei solchi dell’eclettico dischetto: garage, punk, indie ed elettronica (talvolta mescolati assieme, senza remore o paure ma con risultati interessanti quando non geniali tout court) che non potrà non colpire i più smaliziati e onnivori tra i lettori. Dai superbi arpeggi degli Sea Ray alle nevrosi dei The Flesh (tra Rapture e Gang Of Four), dagli intriganti The Fever (teniamoli d’occhio, sembrano una spettinata e lisergica versione dei Brainiac) agli anfetaminici Aerial Love Feed (gli Interpol che osano) dai Mazing Vids agli Stellastarr, Oxford Collapse (La Manchester degli A Certain Ratio dietro l’angolo), Mommy And Daddy e Inflatablemen; con menzione speciale per gli ottimi Elefant, band dalle chiarissime idee e e con gli occhi rivolti a certo pop umbratile seppur svelto più adatto alle coste del Mersey, fresca d’esordio (Sunlight Makes Me Paranoid – Kemado records). Poche pippe, l’urgenza della giovine età e la fretta della caput mundi fanno di NY: The Next Wave ottimo binocolo per scandagliare ciò che ribolle – se ancora per poco è troppo presto per dirlo – sotto il livello del mare. Almeno fino al prossimo passaggio di testimone verso l’altra sponda Atlantica. Perché avverrà, oh se avverrà.
www.kaninerecords.com

THE SOUNDS Living In America – Cd Warner Sembra momento propizio, per le fredde platee del Nord Europa; dopo Raveonettes e Teenage Idols un’altra bella sorpresa di pop and roll esce dalle cantine per ventilarci gli ascolti e renderci più sopportabile la torrida estate. I Sounds sono un quintetto svedese capitanato dalla graziosa Maja Ivarsonn, e – pur nella loro fedele trascrizione di partiture del passato – sono godibilissimi e vanno giù con un benefico effetto refrigerante. Poco in comune con i vicini di casa di cui sopra, essendo i nostri più la versione infetta e stradaiola dei Roxette che seguaci di scarno e diretto rock and roll. Cosa fanno allora? Prendete le Runaways, la giovane Kim Wilde, una bella manciata della Debbie Harry di X-Offender, un pizzico dei primevi Generation X e un’attitudine che oscilla tra glam e CBGB’s e avrete il cocktail tra le mani. Ci sarebbe voluto Kim Fowley in produzione per avere cinquina secca, ma anche così Living In America rimane ottimo disco di power pop dalla spiccata capacità melodica, stivato di calibratissimi hit e da nessuna pretesa. Si va dai ricordi 1979 di Seven Days A Week (Martha & The Muffins? Blondie? Entrambi?), alla deliziosa title track (un anthem colossale dal ritornello contagioso, pronto per la classifiche americane); dalle spruzzate elettroniche di Mine For Life al veloce ska dal sapore B52’s di Reggie, alla pura new wave di Hit Me! o al glam losangelino di Fire. Tastiere dal suono retrò, drumming potente e calibrato, semplici accordi di sei corde e la voce di Maja sono un invito al quale difficilmente potrete resistere nell’arco dei 10 brani. Niente che cambi il corso e la storia del pop, ma se volete passare un oretta di totale disincanto o solo trovare un antidoto al virulento diffondersi di Strokes cloni i Sounds fanno per voi. Che non avranno nulla di nuovo da dire, ma lo dicono benissimo.

 

 

 

 

Monthly kicks
1) THE RAIN BAND The World Is Ours
2) GALLON DRUNK Fire Music
3) MY FAVORITE The Happiest Days Of Our Lives
4) VV.AA. Pow! To The People
5) THE FAINT (Blank-Wave Arcade)
6) MEDIUM 21 Killings From The Dial
7) THE SOMNAMBULANTS Monument Ep
8) BREATHLESS After All These Years
9) THE FLY Put The Needle Down And Fly
10) SOUNDS Living In America