Maupassant ‘(dys)Fonctionelle’

(AngleRecords/Audioglobe 2003)

Finalmente un disco di quelli che sembrano creare attorno a sé un intero mondo.
“(dys) Fonctionelle” lo fa attraverso tutta una stordente serie di rimandi infra-external-trasveral musicali a ‘n’ dimensioni. Progetto nato quasi per gioco tra Nicola Guiduci e Jacques Floury, i Maupassant confermano la AngleRecords come una delle più attente e interessanti unità operative in circolazione (concetto già apertamente dichiarato con la pubblicazione dell’album del progetto Visionuts, altra perla in catalogo dell’etichetta francese).
Il disco è una miscela fluida e sensuale di attitudine pop-citazionista, raffinatezze electro, incursioni meteoriche di acid jazz, chill out, frammenti downtempo, messaggi radio ‘alieni’ o semplicemente riesumati ora da interstizi mediali (voci di spot televisivi, telefilms e talk show francesi), ora da ambiti culturali che spaziano dal teatro anni ‘50 alla letteratura contemporanea (vedi la voce di Marguerite Duras nell’introduzione di Angoisse (Ou Les Femmes à Baiser) ).
Brani come Ballade Pour Un Homme Seul dimostrano ad ampio spettro la volontà ludicamente progettuale dell’intero progetto (apparente contraddizione che nel caso del disco in questione va invece poco lontano del vero, dato che al semplice ripescaggio i nostri affiancano campioni elaborati e parti di composizioni proprie): svisate di sax che ammiccano sopra la cullante base sintetica, voci che contano, dialogano, accennano motivetti originariamente cantati con tutta probabilità per ben altri tipi di accompagnamento. Bucolici frammenti ambientali mischiati ad ansimi di seducenti fanciulle francofone parodianti la Birkin per Les Jardin Là-Bas, lounge futurista in cui si inseriscono a incastro cascami di soundtrack da thriller anni ’70 per Rien à faire/Jeff, lirismo pianistico con frammenti verbali e campioni electro a smorzarne il pathos per l’iniziale Chrysanthème, altalenanti ed esotici motivetti folkloristici che con fare sbarazzino ornerebbero una falsissima spiaggia tropicale sintetica giapponese…. e così via per gli oltre trentasette minuti del disco.
L’album evoca la levigatezza di Burt Bacharach, i micidiali occhi della Bardot, salotti inebriati da profumi artificiali di un Des Esseint cyborgizzato, il piglio intelletual-goliardico di Raymond Queanau e l’atteggiamento da perla pop di serie B stile Mutantes (tutta la varietà delle opzioni viene ben poi resa/metaforizzata dalla splendida edizione formato DVD).
Sarebbe comunque improprio esaurire un disco come questo (che denota un massimo grado di gusto, stile, abilità splendidamente confusa con aleatorietà, autentica passione per l’old fashioned di marca francese) nell’abusata espressione/definizione di ‘collagismo’ a meno di non intendere operazioni di reinvenzione jingle-style per schermi da immaginario retrò molto vicine a quelle di marca Stereo Total.
Ben al di là dello sterile fascino intellettuale infatti, la vera cifra del disco è che il flusso musicale scivola sul corpo dell’ascoltatore come schiuma sonora morbida ed avvolgente, ti circuisce pian piano come il tepore di un fumoso localaccio nel quale vorresti sostare il più a lungo possibile purché le brutture del mondo restino fuori al freddo.
Come riscrivere insomma il termine ‘pop art’ in una luccicante insegna al neon con su scritto ‘art pop’.
Bellissimo.

Voto: 10

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