Alice Coltrane ‘Universal Consciousness’

Particelle luminose, pulviscolo che annebbia la mente di dubbi e incertezze.

Dischi su cui parlare o tacere per sempre. I kathodikers seduti attorno al tavolo riflettono.

 

Difficile seguire il cammino della Coltrane di “Universal Consciousness” attenendosi soltanto a indicazioni strettamente musicali. Trovo che il bello del disco sia proprio quel suo trascendere i limiti di genere e finanche della musica stessa per far esplodere l’animo dell’ascoltatore in un vertiginoso abbandono esistenziale in un limbo di sottrazioni. Nonostante l’implicita ricchezza insita nella simbologia religiosa, a questo disco ‘manca’ il soul, ‘manca’ il jazz, ‘manca’ lo sterile fascino intellettualistico dell’operazione avantgarde in senso stretto.
La chiave di decifrazione arriva solo dopo un’infinità di ascolti e resta comunque incommensurabile per ognuno…
Meraviglioso fascino dell’indicibile…

Mauro Carassai

 


Ma cos’é psichedelia jazzistica? Una colonna sonora di un film “pastorale” anni ’60 ? Con quest’arpa, i fiati e la batteria sussurrata….cosa dire? Per un pò reggo (i primi due brani) poi sopraggiunge una leggera emicrania e si comincia a formare del latte alla sacca testicolare. Più indicato come colonna sonora.

Diego Accorsi

 


Pandora apre il vaso.
Più caos di quanto mi aspettavo, meno indetermiazione di quanto si creda.
Una pangea etnico-free che è piacevolissima scoperta.
Perché mi ero fermato a John?
Riascolto con gusto.

Luca Confusione

 


Continua il fastidio provocato in me nella continua percezione di fuorvianti paragoni sulla musica (…per non dire dell’esistenza) della Coltrane (Alice) d’immortale debitrice del proprio uomo.
Da john non ha mai respirato l’essenza afroamericana nel suo vasto complesso, ma solo la pozione religiosa racchiusa in essa.
Non viene trasfigurata… ma avviene una proiezione spirituale verso altri lidi: l’India
In “Universal Consciousness” riposa serena questa autonomia e allampana all’esterno anche un altro distacco, un trapasso non ascetico o filosofale, ma più volgarmente fisico, materiale: la recente scomparsa del sassofonista.
I suoi strumenti – un’arpa e un organo- inerpicano tutto il combo accompagnatore (gli spasmi di Jack DeJohnette, gli striduli degli archi…) versando alchimie che mutano ansie e incubi in aperta serenità.
Liberazione.
Mai una mano (mente) maschile sarebbe riuscita in tale opera…neanche Ornette Coleman qualche anno più tardi in “Dancing In Your Head” nel tentativo di scoperchiare i segreti di altri inafferrabili misteri racchiusi nei venti caldi del Marocco.

Sergio Eletto

 


Luminescenze flautistiche che si intrecciano in un mantra fisico vicino al ricongiunimento sonico, deliri di anime perse e ritrovate, tantricamente cambiate. Mutazioni lineari di strati sonori non modulari. Questo è un passo dalla saggezza. Da ascoltare per trasmigrare.

Marco Paolucci

 


 

 

Sicuramente affascinante, allucinato, plasmato da abili mani con geni artistici di indubbia discussione……….. ma dopo mezzora mi arrendo…………..è più forte di me……………….troppo ‘virtuosistico’……………..

Mauro Pettinari

 


Un disco che appare diverso ogni volta che lo si ascolta.
Complesso e articolato eppure così fortemente coinvolgente da affascinare sin dalle prime note.
Un prezioso gioiello frutto di un talento puro e vitale.
Non so per quale sciocco motivo l’ho sempre ignorato.
Ma sto recuperando con assidui e devoti ascolti quotidiani che mi riempiono il cuore ogni volta.

Andrea Palucci