Quattro Chiacchiere Digitali con Paolo Bragaglia e Leonardo Gabrielli del Museo del Synth Marchigiano

Sono giunto al Museo Del Synt Marchigiano tramite la conoscenza personale di alcuni dei suoi fondatori, deus ex machina e soprattutto “smanettatori” Paolo Bragaglia, Leonardo Gabrielli, Riccardo Pietroni, Agostino Maria Ticino e Daniele Marziali. Ho assistito ad alcuni eventi organizzati dall’associazione e come dire, “abbisognavo” di maggiori approfondimenti. Solite Quattro Chiacchiere Digitali con Paolo Bragaglia e Leonardo Gabrielli, disponibili a raccontare di synt, manopole e musica. A voi la lettura:

Quando e perché è nato il Museo del Synth Marchigiano e Italiano?

Paolo: Il ”museo” conosce una sua prima incarnazione come mostra temporanea nel 2008/2009 all’interno del festival elettronico Acusmatiq di Ancona presso la Mole Vanvitelliana. Successivamente, in tempi recenti, intorno al progetto, diventato poi un’associazione culturale, si è unito un gruppo di amici di diversa estrazione (musicisti, collezionisti, docenti, tecnici) con il fine di strutturare in maniera più organica e compiuta l’attività, e così arriviamo alla “versione 2.0” quella attuale, con l’edizione di Macerata del 2018, nella Galleria degli Antichi Forni.
Il ”museo” nasce essenzialmente per colmare quella che abbiamo in passato definito “una grande assenza rispetto una grande presenza”: da una parte la mancanza di memoria e consapevolezza storica, anche istituzionale, verso quello che è stato un capitolo importantissimo (ed una realtà ancora molto viva) della storia della nostra regione, dall’altra il fatto che periodicamente saltano fuori, anche imprevedibilmente, strumenti elettronici nati nel nostro ambito territoriale in video, dischi, foto relativi a protagonisti della musica internazionale del passato e del presente.
Poi la passione che tutti nutriamo per la musica elettronica ed i synth.

Qual’è stata l’ispirazione iniziale?

Paolo: La possibilità di poter collegare la nostra realtà domestica, prevalentemente rurale, ad un immaginario transnazionale e tradizionalmente futuribile e tecnologico, non legato esclusivamente al nostro territorio. La cosa divertente è che in prima istanza per chi non conosce questa realtà “Synth marchigiano” suona come una sorta di ossimoro…

Dove si trova?

Leonardo: Nelle nostre intenzioni il termine “Museo” acquista un’accezione figurata: prima che uno spazio fisico è una dichiarazione di intenti, e dunque il nostro “Museo” è un’operazione plastica, dove si incontrano uomini, macchine, musiche e idee. Come già raccontato, da un punto di vista materiale il Museo ha finora avuto una connotazione di temporaneità, e la nostra scelta, finora, è stata quella di allestire mostre tematiche, diverse tra loro, di volta in volta. Certamente il Museo ha trovato una culla presso la Mole Vanvitelliana di Ancona, dove sono state ospitate le prime due edizioni all’interno del festival Acusmatiq una quindicina di anni fa. Poi, però è stata Macerata a ospitare le due recenti edizioni del “Museo Temporaneo del Sintetizzatore Marchigiano e Italiano”, fornendo gli spazi della Galleria degli Antichi Forni e comprendendo con grande lungimiranza le ricadute sociali e industriali della nostra operazione, che racconta una regione Marche in transizione, tra ambizione industriale e vocazione agreste. Nelle edizioni maceratesi, abbiamo ospitato molto più che due semplici mostre: concerti, ospiti, talk e una conferenza di carattere nazionale.

Quali strumenti contiene? Quali collezioni?

Leonardo: come detto sopra, ogni edizione farà storia a sé, motivo per cui venire a trovarci ogni volta. Le collezioni vengono principalmente dai soci del direttivo, di cui la più grande e completa è certamente quella di Riccardo Pietroni. Alcuni pezzi però vengono da prestiti di amici e conoscenti che non hanno esitato a trasportare i loro (spesso delicati) pezzi per esporli al pubblico.

C’è qualche aneddoto interessante intorno al Museo?

Paolo: Sì nonostante abbiamo sempre dichiarato la natura temporanea delle nostre esposizioni periodicamente ci sono persone che ci chiedono gli orari di apertura. E poi durante la seconda edizione a Macerata, l’ultimo giorno di esposizione abbiamo ritardato la chiusura per permettere ad un ragazzo inglese, venuto appositamente, di visitarla…

Uno dei curatori, Leonardo Gabrielli è figlio d’arte?

Leonardo: sì, per parte di padre, ma da parte di madre sono nipote d’arte 🙂 Ho parlato spesso in pubblico della mia storia e oggi vorrei solo fare una riflessione. Nascendo in queste valli attorno al Musone, è difficile non aver avuto parenti al servizio del distretto musicale. Quello che mi rincresce è che il più delle volte, non si forma una consapevolezza, o un’identità. Io ho scoperto la meravigliosa storia di mio nonno, capo-operaio e disegnatore dei primi stampi per ance in plastica alla Antonelli, quando non era più con noi, e non potrò più chiedergli della sua storia. Ero stato forse distratto? No, semplicemente mio nonno era più preoccupato a farmi crescere sano all’aperto che raccontarmi della sua storia lavorativa.

Ecco, il compito del Museo è anche questo: creare identità e consapevolezza, rinsaldare legami generazionali, ma anche favorire una visione sul proprio lavoro libera da condizionamenti. Non siamo in Silicon Valley? Che problema c’è?

Mi rincresce vedere quanti giovani studenti di ingegneria, cui faccio da relatore, nonostante la passione per la musica, decidano di cercare lavoro seguendo percorsi convenzionali e sicuri: la multinazionale di Milano con benefit e palestra, o l’aziendina sotto casa con quell’aria di (apparente) stabilità. Eppure qui nelle Marche vengono a lavorare ingegneri, sound designer e artigiani da fuori regione, anche da molto lontano e c’è sempre più bisogno di un ricambio generazionale che assicuri nuovo respiro e idee.

Il Museo de Synt Marchigiano e Italiano ha nel tempo intrapreso una collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche. Come è nata? Perché?

Leonardo: Questa è un’ottima domanda. Per rispondere si potrebbe scomodare il “Gentiliano” concetto di necessità storica o un più pragmatico determinismo: doveva accadere e non ci si poteva sottrarre dal dar vita a questa collaborazione. Per come stanno le cose oggi, le Marche hanno bisogno di un Ateneo presente ai suoi bisogni di crescita (la ricerca applicata) e di identità (la ricerca storica). Il Museo si occupa di creare quel senso di identità e comunità, e l’Ateneo, si impegna da tempo a seguire linee di ricerca che includano le necessità di innovazione industriale.

Per quanto riguarda l’industria musicale, devo ricordare che l’Università di Ancona, oggi UNIVPM, e la sua Facoltà di Ingegneria, nascono nel boom dell’industria musicale regionale, e hanno prestato alcune menti brillanti all’industria musicale, a partire dagli ultimi anni ‘70. L’ingegneria Elettronica, e in particolar modo l’elaborazione numerica dei segnali, rappresentano l’aspetto di innovazione principale in questo settore da 40 anni.

Il legame tra università e imprese si è rafforzato negli ultimi 10 anni e l’Ateneo, di cui faccio parte, oggi si inserisce con convinzione nel tessuto imprenditoriale, cercando nuove domande scientifiche a cui dare risposta e formando nuovi ingegneri per questo settore (segnalo il nuovo curriculum sul Digital Audio nella Laurea Magistrale in Ingegneria Elettronica).

In questo si inserisce anche il Museo, in vario modo. Innanzitutto costruendo quella consapevolezza di un distretto musicale longevo, e motivando i giovani a seguire percorsi più eterodossi, rispetto al classico stereotipo dell’ingegnere che si occupa di caldaie, cancelli automatici o centraline. Tra l’altro, la formazione necessaria nel nostro settore oggi porta ad una profonda conoscenza della matematica, dei processori e dell’intelligenza artificiale. Competenze che aprono la strada a una quantità di altri ambiti lavorativi d’eccellenza. Ripenso alla storia dei ricercatori dell’IRIS (centro di ricerca musicale aperto dalla Bontempi di Potenza Picena negli anni ‘90) e vedo le loro strade oggi: hanno tutti avuto carriere formidabili e in settori molto diversi tra loro.

Il Museo svolge anche un ruolo di supporto alla didattica, fornendo ad esempio strumenti storici che vengono studiati dagli studenti del mio corso, e “restaurati digitalmente” tramite modelli matematici su calcolatore.

Il Museo del Synth Marchigiano e Italiano con la sua opera di divulgazione porta all’attenzione degli studiosi alcune aziende marchigiane, e non solo, che hanno fatto la storia del synth, come anche di ingegneri e progettisti che hanno creato un certo suono “sintetico” ricercato da grandissimi musicisti. Condividete questa riflessione?

Leonardo: Noi facciamo la nostra piccola parte. Vorremmo essere più presenti, più strutturati e più forti nella comunicazione, ma non arriviamo dappertutto. Eppure sono le persone a fare da cassa di risonanza e le nostre informazioni arrivano, anche all’estero. In quanti sapevano, fino a pochi anni fa, che la drum machine programmabile è stata inventata a Recanati nel 1972? Non lo si sapeva qua, alla confluenza del Musone, figuriamoci se qualcuno poteva saperlo alle falde del Monte Fuji… Per chi non fosse del settore, la drum machine è quello strumento che fornisce una base ritmica ogni qualvolta non si fa uso della batteria, ovvero in molti dei generi musicali che utilizzano l’elettronica: dal pop, alla trap (sigh), dal nu jazz alla musica di tanti film.
Oggi possiamo dare voce ai progettisti di questo strumento fantastico, la Eko Computerhythm, ancora in vita.

Paolo: E naturalmente cerchiamo, come dicevo sopra, di rendere il più possibile virtuosa questa esperienza di riscoperta, cercando di far innescare nuovi processi creativi a partire da questi strumenti spesso esoterici ed ignoti, con lavori performance e composizioni che dalle loro caratteristiche particolari, sonore o di utilizzo possano prender vita.

Leonardo: Ma dico di più: abbiamo potuto ospitare tanti protagonisti di questa storia, ingegneri e musicisti, per mettere su un piano fattuale quello che è stato e sarà lo strumento musicale, al netto di tutte le notizie false o discutibili rimbalzate su Internet. Intendiamoci: possibile mai che, per sapere in che anno è stato prodotto un sintetizzatore di Castelfidardo, io debba chiedere ad un sito americano? Con che accuratezza posso fidarmi di quelle informazioni? Noi qua abbiamo persone che tengono con cura i cataloghi cartacei dei prodotti con i quali si possono verificare di prima mano tutte le informazioni del caso. A tal proposito vorrei ringraziare la nostra memoria storica, Claudio Capponi dell’Associazione Farfisa, Roberto Bellucci di Elettronica Musicale Italiana e infine Daniele Marziali, del nostro direttivo, che iniziò a raccogliere dati (e pianole!) già negli anni ‘90 con un sito dedicato, uno dei primi al mondo.

Prevedete possibili sviluppi del Museo del Synth Marchigiano e Italiano? Ad esempio un libro o un documentario che ne racconti la storia e la “gloria” attraverso interviste e video?

Paolo: Si naturalmente abbiamo sia le pubblicazioni, cartacee e digitali, tra i nostri progetti imminenti sia gli audiovisivi (ed abbiamo già iniziato). C’è però tantissimo da fare, ed è necessario un lavoro enorme a livello storico-documentaristico e di raccolta di materiali che allo stato attuale, perchè sia organico ed esaustivo, trascende le nostre risorse. Siamo di fronte ad una storia ramificata e complessa che per certi versi deve essere scritta quasi per intero. Quindi tra le nostre priorità c’è l’auspicio e la volontà di creare una rete di relazioni e collaborazioni con istituti di ricerca e studiosi che vogliano approfondire i diversi aspetti tecnici, storici e musicali di questo mondo per contribuire alla costruzione di un serbatoio di conoscenze condivise.

Fermo restando questo stop obbligato dovuto alla pandemia mondiale di Covid-19, state iniziando a progettare le future edizioni del Museo de Synth Marchigiano e Italiano?

Paolo: Assolutamente si, abbiamo dei progetti molto “sfiziosi” che siamo certi non mancheranno di interessare gli appassionati di musica ad ampio raggio e
stiamo naturalmente aspettando che la morsa della pandemia si allenti per poter lavorarci in maniera più “operativa”.

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