Yves Charuest ‘Le Territoire De L’Anche’

(Small Scale Music, 2020)

Alla voce “musica per musicisti”, aggiungiamo questo ‘Le Territoire De L’Anche’ di
Yves Charuest, sassofonista canadese molto attivo nel circuito dell’improvvisazione e qui giunto al suo debutto solista.
Perché “musica per musicisti”? Perché 58 minuti di solo sax alto impegnato in balbettii “free” ultra minimalisti non sono per tutti. Il titolo è chiaro: ci muoviamo nel territorio dell’ancia, il punto di congiunzione tra il respiro e la musica, il tramite tra la biologia e la creatività che si fa suono. Il sassofono diventa cassa di risonanza di tutta una serie di micro-ossessioni, che riempiono l’aria della stralunata e sgradevole tenerezza di un’ape impazzita. Vibrazioni sottili, respiri, fruscii, pigolii: il repertorio sonoro non è vastissimo, scolpisce con la crudeltà della libertà più totale paesaggi sonori all’insegna di un free-jazz spolpato all’osso. I titoli si segnalano per una certa ironia (com’è proprio della crudeltà distillata) che talvolta sfocia nel nonsense ( Arundo Donax, Adorno Don’t Ask ). Si fa riferimento a “spirali” e “capogiri” (La Spirale Et Le Tournis), “parabole di coni” (La Parabole Du Cone), “interstizi difettosi” (Interstitial Defect), corpi callosi “squisiti” (Exquisite Corpus Callossum) e “persuasività dell’aria” (Die Überzeugungskraft Der Luft), a rendere l’impressione di una musica organica, del corpo che risuona, della nota che giunge alla vita e a sua volta impollina (Anémophile).
Come molta sperimentazione, ‘Le Territoire De L’Anche’ non aggiunge nulla al vocabolario musicale odierno e scivola nell’autoreferenzialità, ma ha una sua intelligenza, persino una sua capacità affabulatoria. Certo Charuest parla una lingua non per tutti, una lingua che si muove sotto il linguaggio, forse persino lo precede. In tempi di ipersemplificazione e consumo usa-e-getta, va bene così.

Voto: 6

Marco Loprete

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