Paolo Tarsi ‘L’algebra delle lampade’

‘Musica colta da culture incolte’

Musicista e compositore tra i più interessanti nel panorama sperimentale italiano, il marchigiano Paolo Tarsi, classe 1984, vanta anche una cospicua attività di musicologo, che lo ha visto collaborare con riviste come Artribune, Argo, Il Giornale della Musica, Il Corriere Musicale, Alfabeta2. Alcune delle recensioni discografiche scritte dal 2010 a oggi trovano spazio nella prima parte del libro di Tarsi appena pubblicato dalla Ventura edizioni, intitolato “L’algebra delle lampade: musica colta da culture incolte”. Attraverso queste recensioni, che spaziano da autori culturalmente e stilisticamente molto distanti tra loro, come possono esserlo Michael Nyman e Karlheinz Stockhausen, o Louis Andriessen e Tan Dun, Tarsi offre un avvincente spaccato della grande ricchezza di proposte che animano il mondo, ancora troppo poco frequentato, della cosiddetta musica colta o classico-contemporanea. Il Nostro concepisce le recensioni non tanto come analisi puntuali del contenuto dei singoli CD, quanto piuttosto come occasioni per introdurre alla vita e alla poetica dei compositori trattati, servendosi anche di episodi di carattere biografico.

Chi conosce il Tarsi musicista sa che i suoi interessi non si limitano all’ambito, pur di per sé sconfinato, della colta contemporanea; non c’è da sorprendersi, dunque, del fatto che la seconda parte del libro sia dedicata, questa volta attraverso lo strumento delle interviste, all’approfondimento di figure che, avendo sperimentato e mescolato generi come jazz, elettronica, rock, world, ecc., sono accorpabili a vario titolo nell’altrettanto variegato mondo della musica extra-colta, e che rispondono a nomi come (tra gli altri) quelli di Blaine Reininger, Laraaji, Roger Eno, Luis Bacalov, Paolo Tofani. Ciò che più colpisce nelle risposte degli intervistati, stimolati da Tarsi su temi quali la natura del processo creativo, il rapporto con altri autori/generi/linguaggi, la relazione tra dimensione elettronica e acustica, ecc., è la vastità degli interessi (anche extra-musicali) che anima le loro ricerche, insieme alla comune esigenza di rendere possibile, attraverso la loro arte, esperienze penetranti, se non addirittura trascendenti.

A chiudere il libro, una nutrita selezione di dischi/brani che l’autore si sente di consigliarci, con la fondata speranza, sottesa a questo bel volume, di stimolare la nostra curiosità verso territori musicali ed espressivi che meritano tutta la nostra attenzione e che, statene certi, ripagheranno il vostro interesse.

D: Uno dei presupposti teorici del tuo libro è che, come a suo tempo ebbe a dire ad es. Carlo Boccadoro, la vulgata che vuole che la musica sia una sola è sbagliata: piuttosto, esistono molte musiche, diverse per caratteristiche e scopi, che possono incontrarsi nei percorsi estetici degli ascoltatori più curiosi come nei lavori di autori (come te, ad esempio) che amano ibridare generi e stili. Puoi dirci, in sintesi, quali sono a tuo avviso le principali differenze tra musica colta ed extra-colta?
R: La musica cosiddetta ‘colta’ è legata soprattutto alla scrittura, l’improvvisazione è una prassi che nel corso dei secoli è stata messa sempre più da parte nel campo classico. Al contrario, il jazz, il rock e la musica elettronica partono da altri parametri, molto raramente riconducibili a una vera e propria notazione in partitura. Naturalmente tutto questo non va preso in maniera schematica o alla lettera, ci sono – come sempre in questi casi – le dovute eccezioni. Ma credo sia questa la principale caratteristica che mette in luce la differenza più evidente tra la tradizione colta e le musiche extra-colte. Ne consegue una prassi esecutiva, e quindi anche un’esperienza uditiva, del tutto differente. Per cui il panorama musicale classico può essere definito ‘colto’ in tal senso, per via della sua forte alfabetizzazione, ma questo senza voler in alcun modo dar adito a uno schieramento che vede contrapposte in blocchi separati, come fazioni avverse, musica alta (classica) e musica bassa (le altre). Sebbene i linguaggi e gli stili della musica d’arte siano tanti e differenti almeno quanto i vari generi (e sottogeneri), hanno tutti pari dignità, non è il contenitore ma il contenuto a fare la differenza. Il compositore Fausto Romitelli era devoto alla techno e ai Pink Floyd non meno di quanto lo sia Franco Battiato a Wagner e alla musica classica in genere.
Per quanto riguarda invece più specificamente il mio lavoro, amo combinare visioni contrapposte: scrittura e improvvisazione, elettronica e strumenti acustici, sperimentazione pop e avant-garde colta. Ma tutto ciò non nasce dalla volontà di creare una musica ibrida, quanto dal desiderio di esplorare tutte le possibilità che abbiamo a disposizione partendo da una visione profondamente unitaria. A dire il vero, sono piuttosto diffidente verso i cross-over.

D: Come hai scelto i dischi da recensire e gli autori da intervistare?
R: La prima parte del libro è dedicata alla musica colta contemporanea, mentre le interviste racchiuse nella seconda sezione sono rivolte a musicisti di estrazione non accademica che operano in ambiti tra loro decisamente eterogenei come l’hip hop, la new wave, il “krautrock”, il progressive, il nu jazz e così via. È stato interessante mescolare le carte e parlare d’avanguardia con quest’ultimi e di cultura pop nella prima sezione, la parte del libro dedicata alla sperimentazione in ambito accademico, un modo per sottolineare l’influenza esercitata dalle avanguardie colte sui linguaggi pop (e viceversa).

D: Una delle domande che hai rivolto agli autori intervistati nella seconda parte del libro riguarda il loro rapporto con la musica colta-contemporanea. Che tipo di interesse hai riscontrato nei riguardi di questa tradizione?
R: Alcuni ne sono stati profondamente influenzati, altri ne hanno rimodellato in chiave pop gli angoli spigolosi, altri ancora la ignorano totalmente perché non sanno cosa sia.

D: Puoi svelarci qualcosa dei tuoi progetti futuri?
R: Al momento sto ultimando gli ultimi ritocchi di “A Perfect Cut in the Vacuum”, il mio nuovo album che uscirà in autunno in digital download e in doppio Cd, il primo ad essere pubblicato per la mia label Anitya Records. È stato presentato in anteprima presso Sala Dogana a Palazzo Ducale di Genova con una mostra dal titolo “Bad Consumers” che si è tenuta dal 12 al 29 luglio scorso. L’artwork è curato, infatti, dall’ex Kraftwerk Emil Schult, Luca Domeneghetti e dall’autore della cover dell’ultimo album in studio dei Pink Floyd (“The Endless River”, 2014). Sento che è un buon disco anche sotto il profilo musicale. Non ho dubbi, è un album decisamente migliore rispetto a quelli che ho già realizzato e, mi sia concesso dirlo, forse anche di quanto si può ascoltare mediamente in questo momento. E questo perché ho potuto mettere a fuoco molte più idee rispetto al passato, grazie anche all’aiuto dei tantissimi musicisti che generosamente mi hanno affiancato nella realizzazione di quest’opera. Sarà allo stesso tempo un lavoro a tratti più diretto, in cui la sperimentazione elettronica incontra il synth pop concettuale caro ai Kraftwerk (non a caso nel disco sono presenti due ex membri della band tedesca). Sono curioso di scoprire quali saranno le reazioni del pubblico. Naturalmente è impossibile prevederlo ora, ma sarà interessante.

Paolo Tarsi, L’algebra delle lampade. Musica colta da culture incolte, Senigallia (AN), Ventura Editore, 2018

Link:
Profilo Facebook Paolo Tarsi
Pagina Facebook Alis Non Tarsis