Altaj ‘Altaj’

(Non Piangere Dischi records/diNotte Records 2016)

Dietro al marchio Altaj si cela il lato più drone e oscuro di Francesco Vara, conosciuto ai più per la militanza nella stoner rock band Il Dio Cervo nelle vesti di chitarrista. Nel mood di questo suo progetto solista s’incontra il lato più manipolatorio, sperimentale, colto e liricamente astratto del performer pavese, trattandosi di un attraente e straniante viaggio, alle cui fondamenta troviamo l’ausilio di chitarra elettrica e voce, inserti vocali, laptop, loops, samplers, amalgamati per produrre 5 manicaretti di tenebrosa lucentezza drone-ambient che non si sentiva da tempo. Il sapore tutto artigianale dell’opera (basta partire dal supporto: una deliziosa tape stampata in 77 copie dalla benemerita Non Piangere Dischi) si miscela a perfezione con il leit motiv che ispira Vara, ossia la Siberia e i suoi riti misteriosi, infarciti di sciamanesimo, con le sue terre gelide, spettrali, e proprio per questo capaci di trasmettere pezzi di calore e brandelli di malinconia all’animo di rara forza emotiva. E tutto ciò si percepisce e traspare dai graffi e dai suoni scarnificati di To the White Tree e Community, mischiati in entrambi i casi a ridondanze ambient e dall’impianto minimalista; nelle pieghe di un ritmo velato e singhiozzante, dove vi è anche il tempo di gustarsi un po’ di silenzio, The Lake Is Not Real, o nelle gesta estatiche di Motionless
Sarà assodato che stiamo parlando di musica derivativa, ma Altaj è riuscito a teletrasportare il sottoscritto più di una ventina di anni addietro, quando il proprio stereo non poteva passare un giorno che non sentisse dischi di gente strana come Jorge Reyes e Coil, Death in June e Lustmord; e lo ha fatto con maestria, catapultandolo nel magico mondo nero pece che invase parecchie menti contorte tra gli ’80s e la prima metà dei ’90s.

Voto: 8

Sergio Eletto

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