Erik Friedlander ‘Oscalypso’


(Skipstone Records 2015)

Con “Oscalypso” il quartetto capeggiato dal newyorkese Erik Friedlander rende omaggio a Oscar Pettiford, una delle figure più fulminanti del bebop americano tra gli anni Quaranta e Cinquanta. Contrabbassista della generazione di Dizzy Gillespie e Charlie Parker, Pettiford è tra i pochi musicisti a inserire (con successo) il violoncello in una formazione jazz; ben si capisce allora la scelta di Friedlander, violoncellista e compositore, che assieme al sassofonista Michael Blake, al bassista Trevor Dunn e al batterista Michael Sarin reinterpreta brani celebri e propone nuove composizioni ispirate allo swing di quegli anni. Il tema di Bohemia after Dark, brano di Pettiford, cattura al primo ascolto, mentre rimbalza tra i vari strumenti; Oscalypso riprende la melodia della traccia precedente, mimando quei clacson che ai jazzisti degli anni Cinquanta dovevano sembrare la voce della modernità e che oggi invece danno un tocco un po’ retro. Si continua con la gustosa Cello again, che conferma la centralità dell’invenzione melodica; dopo la pausa lirica di Two little Pearls, sempre con il violoncello in primo piano, ma che questa volta divide la scena con un sax a tratti morbido come un clarinetto, si prende il via con Pendulum at Falcon’Lair, motivo che ti si attacca addosso e invita a schioccare le dita. È il momento di Tricotism, altro classico di Pettiford, interpretato con la consueta eleganza da Friedlander e soci. Cable Car diverte ma l’ultima parola è affidata a Sunrise Sunset, originale ibrido in cui trovano spazio suggestioni arabe e latine, in un dialogo fatale tra violoncello e sax. Un album originale ed elegante, curato ma non lezioso.

Voto: 8

Stefano Oliva

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