Paolo Campana Intervista

Settima puntata della rubrica Chi fa da sé fa per tre: Paolo Campana, autore del documentario sulla cultura del vinile intitolato ‘Vinylmania. When life runs at 33 revolutions per minute’.

Di Marco Paolucci

uccio12@hotmail.com

09/06/2013 Nuova puntata della rubrica Chi fa da sé fa per tre: questa volta tocca a  Paolo Campana, dj e regista di Torino che ha girato “su pellicola” il manifesto della – mai scomparsa, sia chiaro a tutti – cultura del vinile (acquistato, scambiato, collezionato e chi più ne ha più ne metta) intitolato ‘Vinylmania. When life runs at 33 revolutions per minute’. Una carrellata di metodici fruitori, produttori, dj, collezionisti, semplici frequentatori di negozi di dischi, che hanno raccontato al nostro ed alla sua telecamera  la loro passione totale per il caro vecchio vinile, nei vari ed elaborati formati. Lo scrivente è entrato in contatto con il regista tramite il portale di crowfunding internazionale Kickstarter, ha partecipato alla campagna di raccolta fondi e non pago ha anche acquistato il doppio Dvd di cui si parla sotto. Per completare il numero perfetto ha deciso di scambiare quattro chiacchiere digitali con il nostro autore che si è mostrato subito disponibile. A voi come sempre i risultati

  1. Come e quando è nata la tua passione per la musica?

Non saprei esattamente quando, ricordo che mi sono ritrovato in mezzo ai dischi fin da molto piccolo, mia madre era solita svegliarmi con un disco di Mozart. Spesso suonava Eine Kleine Nacht Muzik… mi ricordo di un vecchio giradischi verde, una fonovaligia che emanava come un odore di valvole arrostite. Avrò avuto forse 4 anni. Mio padre era un pianista e la musica mi è entrata nelle vene sin da subito. Rimanevo letteralmente ipnotizzato guardando i dischi dall’alto girare con i loro scuri microsolchi. Posso dire che questa passione è cominciata associata ad un’immagine in movimento, una sorta di malia, che in fretta si è collegata all’amore per il cinema, soprattutto quello in “bianco e nero”. Più tardi da adolescente ho scoperto il jukebox, la radio, i Kraftwerk… e poi sono “caduto” nella new-wave ed il post punk.

 

  1. Quando si sono evoluti e definiti i tuoi gusti musicali?

Ho iniziato ascoltando i dischi di musica classica perché li suonavano i miei genitori. La mia prima scoperta individuale sono state le colonne sonore di James Bond, ero e sono tutt’ora un appassionato dei suoi primi film. Avevo 10-11 anni e questa passione è nata soprattutto grazie al cinema. Le colonne sonore di John Barry mescolavano orchestrazioni classiche, alle quali ero abituato, ma avevano degli elementi ritmici, drammatici e moderni per me nuovi. Ho scoperto il pop poco più tardi sempre grazie ad un’immagine in movimento. Era il 1979 ed in tv è apparso quello che è considerato il primo video clip commerciale trasmesso da MTV, Video Killed The Radio Stars dei Buggles. Questo è il primo 45giri che posso dire di aver comprato coscientemente. Quello che mi affascinava di questa canzone era la combinazione tra pop ed uso dell’elettronica. Poi sono arrivati i Kraftwerk… una sorta di rivelazione e sentivo con stupore la musica di Giorgio Moroder e Gino Soccio ed avevo una predilezione per On The Run, dei Pink Floyd con il suo turbinio di moog.

Poi il taglio netto… durante un’estate piena di tristezza adolescenziale, verso i 14 anni ho scoperto i Joy Division, i PIL, i Cure e tutto il resto… Le scoperte non arrivano mai da sole però, per me c’è sempre stato qualcuno di più grande che mi passava il “testimone”, che mi “iniziava” come in un vero e proprio rito a qualcosa di nuovo. Prima è stato mio cugino, poi i fratelli più grandi dei miei compagni di scuola con i loro dischi da “adulti” e poi un amico più grande di me che un caldissimo giorno d’agosto in cui ero malato mi ha portato ‘Closer’ dei Joy Division… Quando poi ho cominciato a fare il dj ho intrapreso vere e proprie escursioni verso tutti i generi, dal jazz all’exotic-lounge, al beat, al funky, la disco, la bossa nova…

 

  1. A questo proposito quando hai deciso di diventare un dj?

E’ stato verso i 16 anni, all’epoca suonavo la batteria in una disastrata band punk-demenziale e sentivo il bisogno di mescolare i suoni tra loro, un piccolo mixer per giradischi era la più cosa diretta che potevo utilizzare. Poco dopo è arrivato il mio primo ingaggio come dj. Mettevo dischi di musica new wave e gothic in un club dell’estrema periferia di Torino la domenica pomeriggio, mi pagavano 20.000 lire, che all’epoca valevano molto di più di quello che oggi danno a qualsiasi ragazzo che apre un laptop e schiaccia degli orribili tasti. Mettevo i miei 15/20 dischi in una di quelle borse sportive che usavo per andare a scuola e mi sparavo 1 ora di pullman da un estremo all’altro della città. Tutto per usare due Technics 1200 dorati. Era il 1986…

 

  1. Come è nata l’idea del documentario “Vinylmania”?

Stavo scrivendo una storia per un lungometraggio immaginario e poi mi son detto ma perché fare della finzione quando hai tutto un mondo intorno a te che ti parla? Intendo il mondo dei dj, dei negozi di dischi e degli amici appassionati di musica che frequentavo. Così ho preso una telecamera ed ho cominciato ad appostarmi nei luoghi e a registrare ore ed ore di chiacchere, interviste, dj set e concerti per capire qual’era l’origine di questa passione per i dischi. Poi ho cominciato a scrivere il progetto del documentario e mi sono di nuovo ritrovato di fronte alla spirale nera e ipnotica del disco che girava. Posso dire in un certo senso che tutto è nato da lì, da quest’immagine in movimento…

 

  1. Da qui come è nata l’idea di utilizzare Kickstarter? Perché un sistema di fundraising internazionale?

Avevamo appena finito il film con la produzione, la Stefilm di Torino, e c’era il problema della distribuzione. Con Edoardo Fracchia, il produttore, ci siamo detti ma perché non far diventare il documentario “un oggetto” artistico come un disco in vinile? L’idea era di creare qualcosa che rimanesse invece di evaporare dopo il consueto giro di festival, rassegne, e passaggi televisivi. L’unico modo per riuscire a produrre un oggetto con una certa qualità era appellarmi in primo luogo ai miei simili e rivolgermi ad un pubblico internazionale che in comune aveva questa passione. Alcuni di questi già ci avevano seguito con crescente curiosità sulla pagina di Facebook del film durante le riprese. Kickstarter non era ancora molto conosciuto in Italia ed il nostro coproduttore americano ci ha indirizzato su questa piattaforma. Abbiamo studiato una strategia comunicativa su più livelli e dopo 5 mesi di lavoro e preliminari siamo finalmente partiti con una campagna che si chiamava 33in45 che ha avuto un buon successo ed è diventata un noto caso di produzione dal basso in Italia.

  1. Eri sicuro di riuscire a raggiungere la quota richiesta per poter girare il documentario?

(in foto Wiston Smith) Il film è stato prodotto e realizzato grazie alle televisioni come ZDF/Arté, il Piemonte Doc Film Fund, Media, Cinecittà Luce e non direttamente attraverso il crowfunding. Il crowdfunding ci è servito per realizzare un bellissimo dvd in edizione speciale doppio con un sacco di contenuti extra ed una copertina, che poi è l’immagine del film, realizzata da Winston Smith, artista di San Francisco, conosciuto per le copertine dei Dead Kennedys, Green Day, Ben Harper, Ray Daytona… produrre il documentario non è stato comunque semplice, quando sei in Italia ed hai una storia sulla musica che vuoi rendere internazionale in Inghilterra ti dicono: “Italiano? Ma no la musica è cosa nostra…” Oppure: “Un film sul vinile? Ma è di nicchia, e chi lo guarda poi?”. C’è voluto qualche anno prima che l’argomento diventasse di attualità rispetto a quando avevo avuto l’idea del film e si creasse credibilità attorno al progetto. Comunque ritornando a Kickstarter la campagna è stata intensa e nonostante le strategie messe in atto non eravamo affatto sicuri di portare a casa la torta, sino all’ultimo abbiamo lottato sul web scrivendo personalmente a più persone possibili cercando di coinvolgerle e farle sentire parte non solo di un sentire comune legato alla musica ma del film vero e proprio… E stato come correre a 300 all’ora sull’autostrada, ma attorno a noi si è creato molto calore ed attenzione e questo forse è il più bel regalo che il film ha ricevuto dal pubblico, in fondo ‘Vinylmania’ è una storia che parla al cuore, perché i dischi sono una questione di cuore come dice nel film il dj Jerome Sydenham…

  1. Quali sono state le situazioni più divertenti da girare? E quelle meno divertenti?

(in foto Dj Kentaro) Ogni tappa delle riprese del film è stata per me sorprendente. L’immergersi nel flusso della musica di città come Londra, Parigi, New York, San Francisco… Alcuni momenti sono stati folgoranti come l’incontro con Philippe Cohen Solal, produttore dei Gotan Project e i suoi 30.000 vinili di cui molti autografati dalle star… o con il produttore del Laser Turntable in Giappone, un signore di 70 anni che dopo l’intervista mi ha portato in un pub della periferia di Tokyo e dove alle quattro di pomeriggio eravamo già ubriachi. O a Londra dove un appena sveglio Peter Saville, designer conosciuto soprattutto per le copertine di Joy Division e New Order ci ha aperto scontrosamente la porta alle 2 del pomeriggio in accappatoio. Oppure il vagare con una telecamera nei sotterranei zeppi di vinile dell’Archive Of Contemporary Music di New York fino a perdersi nell’oscurità… L’intervista al pub, ovviamente birre alla mano, con Eddie Piller in un uggiosa giornata di pioggia londinese…

Con il senno di poi non vedo momenti meno divertenti di altri… forse alcuni sono stati sì, più drammatici come le lunghe attese di Chris ai mercatini per cercare dischi, sempre telecamera alla mano, o la stanchezza cronica di alcune fredde giornate passate tra Berlino e Praga sotto un metro di neve con una macchina da presa impazzita forse per gli sbalzi di temperatura o ancora, la tensione nel fissare alcuni appuntamenti tra un viaggio e l’altro. E’ stato come un sogno a 33 giri…

 

  1. Venendo all’oggetto specifico del documentario: che cos’è per te il vinile?

Il vinile è una sorta di macchina del tempo che non solo ti permette di viaggiare in diverse epoche musicali ma nel mio caso mi permette di connettermi anche con i ricordi legati alla mia vita e a certe esperienze… certe canzoni, certe tracce… un incontro… un viaggio… un primo bacio… non è una questione di nostalgia ma di “visione” oltre che di ascolto. E poi il suo suono si confà con il nostro apparato uditivo che grazie al cielo non è digitale ma analogico, quindi conformato per assaporare la musica in modo esclusivamente analogico. Un disco è anche la copertina, l’odore, il posto dove l’hai comprato, l’emozione che si porta dietro quindi, la storia di chi l’ha posseduto prima di te e tanto altro ancora legato ai sensi ed alla memoria. Ma un disco è anche la “transustantazione” della musica. Un disco è qualcosa che si può toccare ed è allo stesso tempo l’illusione ed il sogno di toccare la musica, di possederla e decidere come azionarla. Non è farsi gestire dalla musica o da Spotify che ti dice cosa e come ascoltare e che ti fa dipendere soprattutto da una connessione. Un disco è la libertà di scoprire, cercare, scovare fisicamente, maneggiare le cose… e per me rappresenta anche una sorta anche di metafora della vita. Attraverso il vinile posso raccontare delle storie umane come ho fatto nel film. Il vinile è un “medium” che ti connette al reale e all’immaginario in modo concreto e materiale. Decidere di ascoltare un disco per me è come scegliere di mangiare una gustosa pietanza, piuttosto che un plasticoso hamburger, è come bere un buon bicchiere di vino, fumare un buon sigaro, gustare una buona tazza di tè, insomma è uno stile di vita… una ricerca di autenticità.

  1. Che cosa non è per te il cd?

Bah… nulla di tutto ciò che ti ho detto, ma soprattutto non è un oggetto caldo in tutti e per tutti i sensi.

 

  1. Cosa pensi del collezionismo musicale?

Non amo gli estremisti… chi non ascolta i dischi che compra, chi passa la giornata a riordinarli, a ricercare su e-bay numeri di catalogo ecc… amo la passione libera e un po’ anarchica dell’accumulo. La musica va scoperta per essere liberata e non trattenuta in cassaforte. I dischi sono preziosi certo ma mi piace quel lato se vuoi deperibile dell’oggetto e un po’ romantico, il fatto che il vinile invecchia lentamente con te dopo ogni ascolto… tutto ciò è forse tremendo ma è la vita…

Con questo film ho tentato alla fine di distaccarmi da questo oggetto, di vederlo con obiettività, assaporarne le virtù allontanandomi dai “vizi”, volevo forse fuggirlo ma non penso di esserci riuscito, compro ancora un certo numero di dischi alla settimana, sono ancora un vinylmaniaco… ma d’altronde è così piacevole…

 

  1. Cosa pensi del download? Del Record Store Day?

Il download? Non sono contrario in linea di principio, ma lo vivo come un freddo antipasto. Mi sembra di fare un frappè con una bustina piuttosto che con della frutta fresca. Quello che trovo aberrante è l’uso indiscriminato, soprattutto quello gratuito. Non perché la cultura non debba essere a disposizione di tutti ma perché abbiamo finito di dare e riconoscere il valore delle cose… un film porno è alla stregua dell’ultimo disco di Flying Lotus o di un vecchio LP di Les Baxter… tutto livellato, sullo stesso piano… trovo che il download sia un livellatore del sapere o che la risultante sia un “non sapere”.

Al contempo trovo allucinante che sia a pagamento… una volta che scarichi ti hanno illuso di avere qualcosa… ed ora con lo streaming non possiedi neanche più quel file, compri il nulla… Una vera truffa oltre che un paradosso!

Del Record Store Day posso pensare solo bene visto che ‘Vinylmania’ è stato il film ufficiale del 2012. Gli organizzatori lavorano con passione e il fondatore Michael Curtiz è una grande persona. Cercano di portare l’attenzione sul fatto che il negozio di dischi è un punto di ritrovo, un’esperienza “live” ancora diretta. Grazie al Record Store Day il vinile sta conoscendo un sorta di vita nuova. Forse l’ultima gloria?

 

  1. In parte hai risposto sopra ma per curiosità, con che regolarità frequenti i negozi di dischi?

Settimanalmente, ma dipende da dove passo, se sulla strada incontro dei negozi…

 

  1. Come vedi la scena musicale italiana ed internazionale, da acquirente, fruitore, e in un certo modo anche documentatore?

Premesso che tra scena musicale italiana ed internazionale esistono notevoli differenze, anche se ci stiamo più o meno livellando, penso che ci sia un po’ di declino, sembra che in generale manchino le idee e che la carica eversiva del Rock And Roll sia stata neutralizzata dall’industria e dagli sponsor. Ormai la vera rivoluzione per molti versi passa attraverso la rete non più attraverso la musica e la rete mette in comunicazione chiunque con chiunque ma livella tutto, nel senso che livella l’esperienza diretta. La musica è diventata una sorta di “posa” sempre più chiusa in un brand… questo senza nulla togliere ai veri artisti che continuano a lavorare con il pensiero in tutto il mondo e che penso abbiamo la missione di dover scoprire.

 

  1. Classica domanda finale: progetti futuri?

Per ora un libro che sto scrivendo su un regista francese che amo molto, poi sto pensando ad un altro film sulla musica. Qualcosa sullo spazio e sulla storia della registrazione… o forse qualcosa che tratti un tema completamente diverso. Ho scritto anche uno spettacolo teatrale sulla psychedelia che mi piacerebbe realizzare… insomma diverse proposte ed idee personali… vedrò con l’estate come orientarmi… ma forse scapperò in campagna a coltivare l’orto mentre ascolterò un disco sul mio giradischi portatile, dicono che la musica fa bene alle piante… chissà sull’insalata?

 

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