I Fasti ‘Ovatta’

(Autoprodotto 2010)

Inutilmente complicato sviscerare il genere di questo gruppo piemontese ovidiano: i sintetizzatori sono sotto gli occhi, pardon, dentro le orecchie di tutti, il fatto poi che ci siano più bassisti che chitarristi e più computer che bassisti (non sto scherzando) è palese indice di un tipo di musica elettronica-sperimentale, resta solo da collocare il vocalist, che non canta, racconta, e giungiamo a una sorta di post-punk leggero a mò di Offlaga Pax.
Ci raccontano episodi di vita vissuta, esperienze che sono tutto fuorché positive. Chi di noi non ha mai odiato almeno un Natale in Famiglia? Dove l’ipocrisia di volersi bene “tutti assieme appassionatamente” si traduce – in musica – con melodie inesistenti, fredde, impercettibili, quasi che l’elettro-encefalogramma attorno alla “tavola apparecchiata” fosse piatto come lei… e ci sta tutto.
Dalla famiglia, ai sogni fanciulleschi di diventare un giorno calciatore in Mercy (l’unica forma di eroismo riconosciuta attualmente dalla nostra società) che vanno inevitabilmente alle ortiche col progredire dell’età all’anagrafe, naufragando in un mare di m…; proprio come naufraga il libero arbitrio nel mare in sottofondo di Oroscopo, brano che ci fa capire, con sonorità grasse e acide allo stesso tempo, come ci sia sempre qualcuno pronto a decidere per noi. Si arriva poi ai suoni sporcati e distorti di Hanno Umiliato l’Amore, titolo piuttosto autoesplicativo.
Al di là delle tematiche affrontate, con le quali posso anche concordare, almeno per la maggior parte, fatemi dire che attingere a piene mani dalla proprie “vicende” che risultano poi, a grande linee, comuni a tutti noi, comporta un rischio di scadere nella sagra delle banalità, ma non mi sembra sia questo il caso, onestamente. No, il problema de I Fasti risiede altrove.
La musica non è solo questione di essere più intellettuali o viscerali del subdolo “grande rocker” di turno, al di là del contenuto di questa, conta anche il “mezzo” prescelto per la trasmissione del messaggio: cosa sarebbe stato il post-punk se la sofferenza dei suoi massimi interpreti non ci avesse raggiunto con lo stile che tutti noi, ancora oggi, conosciamo e apprezziamo?
Questo manca al gruppo piemontese; voglio quindi puntare il dito sul vocalist, promuovendo invece gli altri componenti della band (e i synth); il suo stile recitativo è quasi un parlato sterile che non trasmette verve alcuna, sembra quasi annoiato in Nara, sotto l’effetto di narco-sonniferi in Asciutto.
Ma dov’è la rabbia in ‘Ovatta’? Questo ci si chiede, ascoltando e riascoltando un album che alla fine, lascia piuttosto perplessi.

Voto: 5

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