Massimiliano Viel

Tra Sincronie, Otolab e ricerca personale: una conversazione con Massimiliano Viel.

 

 

 

 

Di Mara Lacchè

L’importanza della percezione, il contatto con la vastità di linguaggi nella cultura contemporanea, la tensione verso una totale autonomia di pensiero: sono queste le tematiche che animano Sincronie (http://www.sincronie.org). Nato nel 2003 dalla collaborazione di musicisti, il progetto si è sviluppato articolandosi in tre principali linee direttrici: una rassegna tematica, un percorso di produzione e ricerca in collaborazione con altri artisti e con i musicisti del Sincronie Ensemble e, infine, un’attività didattica, di formazione musicale di base o specializzata.

Fondatore di questa significativa realtà nel panorama musicale di Milano, insieme ai compositori Riccardo Nova e Fausto Romitelli (quest’ultimo, prematuramente scomparso nel 2004), è stato Massimiliano Viel.

Musicista, compositore, ma anche docente di “Elementi di composizione per la didattica” presso il conservatorio di Bolzano, questo milanese classe 1964, già nel 2001 aveva cominciato a collaborare, vincendo tra l’altro l’Italian Live Media Contest e il Net-Mage 2003 per le performances audiovisive, con Otolab (http://www.otolab.net/).

Altra realtà feconda, scaturita dalle “affinità elettive” che hanno riunito musicisti, dj, vj, videoartisti, videomaker, web designer, grafici e architetti, in un comune percorso nel campo della musica elettronica e della ricerca audiovisiva, attraverso laboratori e seminari e basata su principi di mutuo confronto e sostegno, di libera circolazione dei saperi e di sperimentazione, Otolab oggi è un’associazione culturale che vive grazie all’autoproduzione di liveset, installazioni e produzioni audio e audiovisive.

Nel corso di una conversazione “virtuale”, Massimiliano Viel ha quindi raccontato delle collaborazioni creative con Sincronie e Otolab e dei programmi dal prossimo autunno, ma anche delle attività e ricerche personali in corso, a partire proprio dal suo background, dalla sua solida formazione musicale.  

 

 

In vari siti internet in cui è riportata la tua biografia, si parla degli studi di pianoforte, musica elettronica e composizione (con Azio Corghi) al conservatorio di Milano. Come mai hai abbandonato un’attività di pianista concertista per una forma di sperimentazione sonora? 

In realtà non ho mai fatto veramente il concertista come solista al pianoforte. Ho collaborato con la cantante Mariuccia Colegni tra gli ’80 e i ’90 in un repertorio tra il café chantant e Cole Porter e ho avuto qualche esperienza come improvvisatore in duo e trio.

La mia attività performativa è per così dire sbocciata attraverso la collaborazione con Karlheinz Stockhausen e con Luciano Berio, tra gli altri, negli anni ’90. Il mio strumento era però la tastiera elettronica.

La mia formazione è essenzialmente da compositore/produttore, quindi nel mio percorso è la tastiera ad essere l’“oggetto estraneo”. Credo comunque che anche per un compositore/produttore, fosse anche solo rivolto alla musica elettronica, sia molto utile saper suonare almeno uno strumento acustico ed avere affrontato i problemi sia dell’improvvisazione che della scrittura musicale, con tutto quel che ne consegue, quindi mi ritengo fortunato ad avere avuto l’opportunità di affrontare un po’ tutte queste esperienze.

Può rientrare in questa scelta tuttavia la stessa fase formativa e di specializzazione, con compositori come Corghi, Stroppa, Huber, Ferneyhough, Stockhausen, Donatoni e Murail? In che modo il loro insegnamento ti ha influenzato?

Quanto alla prima parte della domanda ho già accennato qui sopra a una risposta. Riguardo alla seconda parte, beh sicuramente Stockhausen con la sua dedizione alla pratica e alla teoria musicale a tutto tondo e la sua avversione per quanto di extramusicale potesse influenzare la sua ricerca sul suono è stato ed è ancora un punto di riferimento per me. Anche Donatoni e Ferneyhough hanno avuto un certo influsso, soprattutto nel loro modo complesso di affrontare i problemi della scrittura musicale. E tutti i compositori citati mi hanno aiutato ad orientarmi nel labirinto della didattica della composizione.

E la tua esperienza di docente, influenza in qualche modo la tua ricerca personale di compositore e performer?

Direi di sì. Come didatta cerco sempre di trovare metodi e approcci che mi soddisfino laddove la didattica di tradizione mi sembra non rispondere più alle esigenze attuali, quando non appare addirittura latitante. In particolare sono stato molto influenzato dalle idee della cognitivista americana Mari-Riess Jones sulla percezione della musica e indubbiamente i suoi testi hanno influenzato in parallelo sia i miei metodi didattici che quelli di scrittura/produzione musicale. Non capita di rado che soluzioni concettuali con finalità didattiche divengano strumenti e idee per la produzione musicale.

Puoi spiegare in che modo l’elettronica ha influenzato la tua ricerca poetica ed estetica? 

Considero l’elettronica un forte stimolo per ripensare metodi e concetti legati alla composizione anche strumentale, grazie al fatto che permette di spingere al limite dell’estremamente piccolo o dell’estremamente grande le realizzazioni del pensiero musicale. Quindi in sostanza non c’è di per sé grande differenza nel come penso un brano musicale sia esso elettronico o strumentale, se non per quanto attiene al rispetto delle esigenze di ciascun mezzo espressivo: vale a dire ad esempio la tecnica esecutiva richiesta, le possibili complicazioni di un’esecuzione live oppure le caratteristiche sonore e strutturali peculiari del singolo strumento. Certamente, da un punto di vista poetico sono stato influenzato dall’espressività meccanica, quella che io chiamo l’“espressività dell’inespressivo” propria dei sistemi automatici di comunicazione e che mi hanno suggerito molte composizioni basate su codici linguistici astratti, magari a imitazione di segnali Morse di natura radiofonica. Un esempio tra tutti :il IV frammento da heterodyne per clarinetto e suoni elettronici che verrà eseguito nel “Colloquio d’Informatica Musicale” a Torino nel prossimo ottobre.

Puoi inoltre parlare di questa necessità di indagare le potenzialità di “musiche altre”, che contrapposte a quella che è oggi definita “musica colta” (o “contemporanea”)?

Siamo in una situazione piuttosto particolare: c’è una musica che tutti ascoltiamo attraverso la radio o la televisione, la pubblicità e la musica diffusa nei locali, una musica “inevitabile”, un magma composto da svariati generi musicali omogeneizzati e premasticati in modo da entrare il meno in conflitto con la nostra pigrizia all’ascolto. Questa è la musica pop. Poi ci sono le musiche di nicchia, cioè quelle musiche di cui per formazione, lavoro o più raramente per curiosità abbiamo sviluppato una abitudine d’ascolto, una frequentazione che ci permette di considerarle “di casa” e per cui abbiamo sviluppato un repertorio di emozioni, concetti, ricordi da associare ad esse.

Tipicamente il frequentatore di una nicchia musicale guarda con diffidenza alle musiche che compongono le altre nicchie o addirittura nemmeno le considera degne di fregiarsi del titolo di “musica”. Da un lato questo atteggiamento chiuso e istintivamente campanilistico, da branco, è perfettamente comprensibile dal punto di vista psicologico o sociologico. Purtroppo però anche chi dovrebbe portare avanti la “musica” come valore culturale, cioè i cosiddetti “esperti” di musica siano essi critici/teorici o musicisti “pratici”, alla fine sfoggiano lo stesso atteggiamento di chi non ha mai sviluppato una sensibilità musicale e quando parlano di musica, parlano sempre e solo di quella che loro considerano tale.

Mi è successo spesso di leggere grandi interpreti di musica classica, magari direttori d’orchestra, che fanno affermazioni sulla musica, tipicamente su quella che non ascoltano, degne di un ragazzino di scuola media e varie volte mi è successo di sentire produttori di techno e compositori di musica contemporanea accusarsi vicendevolmente usando quasi le stesse parole, cioè alla fin fine di fare musica “che non dice niente”.

Da un vero “Maestro di Musica”, cioè da qualcuno che desidera occuparsi della musica come disciplina in sé e non semplicemente della propria e minuscola nicchia musicale (cioè della punta del proprio naso come fosse il confine dell’universo) mi aspetto una visione a largo raggio, un’apertura mentale e una curiosità sulle mille manifestazioni del suono in tutto il mondo, in tutte le epoche e addirittura prodotte da qualsiasi essere vivente (mi riferisco qui alla nascente disciplina della Zoomusicologia) che non possono prescindere dall’allargamento, magari forzato, dei confini della propria nicchia musicale.

In questa personale categorizzazione dei generi musicali, che rispecchia bene la tua apertura nei confronti dei fenomeni percettivi e la curiosità nei confronti dell’universo sonoro che ci circonda, il tuo giudizio nei confronti di ciò che definisci un “magma” di generi “premasticati” è però molto severo. Puoi precisare cosa intendi per musica “pop”?

Nella produzione musicale possiamo individuare due tendenze quasi sempre coesistenti e in competizione tra loro, che potremmo chiamare produzione “d’arte” e produzione “commerciale”. La prima si basa sulla manipolazione di concetti, tecniche e idee che partono dall’universo culturale e psichico del compositore e finiscono spesso in una “scoperta” di sonorità, tecniche, idee o, alla peggio, in esiti intellettualistici o autarchici. La seconda si basa su quella che si prevede sarà la reazione del pubblico, con il fine di compiacerlo il più possibile e di ottenere quindi un qualche tipo di ricavo (onori e denaro, tipicamente). Per questo uno dei fini della produzione “commerciale” è la riconoscibilità del marchio, un concetto che nella produzione “d’arte” è assolutamente sconosciuto.

Come dicevo, le due tendenze sono sempre presenti, consapevolmente o no e, se può succedere che un produttore “d’arte” non sia interessato alle reazioni del pubblico, difficilmente un produttore “commerciale” non vorrà sentirsi anche gratificato come primo ascoltatore della propria musica.

Quello che io chiamo “musica pop” è un insieme ameboide di produzioni “commerciali” con il fine di compiacere il pubblico più vasto possibile, cioè quello raggiungibile dai mass media. Per questo motivo, la sua promozione e distribuzione sono le più ampie (e costose) possibili. Inoltre per seguire i gusti del pubblico di massa, che si forma anche attraverso innumerevoli nicchie intersecate, l’industria pop deve essere sempre in movimento alla ricerca di tendenze che possa portare fuori dalla nicchia, spogliare di contenuti locali e inglobare nel calderone di pattern e stili adatti al pubblico globale.

Con questo non voglio dire che nelle produzioni pop non possa esserci valenza artistica: la tendenza “d’arte” è sempre presente in qualche modo e ogni tanto affiora persino con prepotenza, ma è sempre secondaria a quella “commerciale”, cioè al bisogno di vendere.

La produzione di un brano pop, ma anche ad esempio quella di una colonna sonora, è spesso più simile alla realizzazione di un prodotto commerciale come la coca cola, che a un brano musicale, nel senso classico o romantico del termine e all’autore effettivo di un prodotto si sostituisce il “front-man” come catalizzatore dell’immaginario del pubblico.

 

Nel 2001 inizia inoltre la collaborazione con Otolab, collettivo che si propone di mettere insieme personalità e professionalità provenienti da campi artistici differenti, rivolti alla sperimentazione dei vari linguaggi. Possiamo dire che la ricerca di interazione fra musica/suono/immagine/corporeità ecc. rappresenta una delle ultime frontiere di un’unione fra le arti, di wagneriana memoria?

Certamente lo possiamo dire, soprattutto quando l’estensione dei mezzi espressivi è programmatica.

Ma in fondo ogni concerto è anche visione, è anche percezione cinestetica. Quindi l’invenzione di Wagner va contestualizzata, da un lato nel recupero delle componenti extra-sonore, che nell’ideale romantico di “musica assoluta” erano state esiliate dall’immaginario del pubblico e dei musicisti, e, dall’altro, alla risposta che le tecnologie dell’epoca hanno dato al ritorno verso l’ampliamento sensoriale.

In questo senso il rapporto tra suono e altri sensi è una spirale dialettica costante che si ripropone in ogni epoca secondo tecnologie e cultura sempre in trasformazione. In fondo l’idea di musica pura era anche faceva parte anche dell’avanguardia europea degli anni ‘50, Stockhausen e Boulez in primis.

L’idea di fondo è sempre quella di risvegliare l’immaginario negli ascoltatori/spettatori delle performance da voi ideate. Credi che questo possa assumere anche una valenza ancora più profonda: risvegliare in qualche modo l’immaginazione, ma anche la coscienza e, di conseguenza, lo spirito critico di cui si sente così tanto la mancanza oggi?

Non saprei. Sarei piuttosto propenso a sostenere il contrario. Musica e immagine non aiutano a sviluppare la sensibilità musicale/sonora, semmai aiutano a contrabbandare suoni/musiche che altrimenti non si ascolterebbero. Però allo stesso tempo distolgono l’attenzione, vero muscolo della sensibilità, dalla musica sovraccaricandola di sensazioni extra-sonore. Insomma: utilizzare sonorità bartókiane nelle colonne sonore dei film d’orrore non ha avvicinato il pubblico alla musica di Bartók! Semmai l’ha contestualizzata creando un calderone indifferenziato in cui Bartók, Ligeti, Stockhausen e Ferneyhough risultano compositori di musica “da film dell’orrore”.

D’altro canto però, se per la didattica musicale l’utilizzo di video creativo può avere un ruolo quanto meno ambiguo, è evidente che la performance audiovisiva ha un valore espressivo in sé superiore alla somma delle componenti sensoriali. Purtroppo anche per questa modalità espressiva bisogna sviluppare una sensibilità propria che non coincide con la somma della sensibilità musicale con quella visiva. Insomma: niente scorciatoie, lo sviluppo di sensibilità e spirito critico costa sempre fatica!

In questa prospettiva sembra inserirsi bene proprio la tua partecipazione alla creazione dell’associazione Sincronie, nucleo di musicisti che, dal 2003, sviluppa una propria idea di musica, e di esperienza estetica, presentandola al pubblico in eventi unici, tematici e itineranti. Puoi parlarci di questa esperienza, da cui ha avuto origine poi una rassegna annuale e un’attività di formazione e di ascolto (ad esempio quelli organizzati in collaborazione con O’)? 

Sincronie nasce proprio così, dalla sensazione che gli eventi e rassegne che ci circondavano a Milano nel 2003 e in gran parte ancora oggi non rispondevano più a un pubblico che dagli anni ’80 è notevolmente cambiato. Oggi c’é la possibilità di recuperare e inventare modalità più fluide di fruizione dell’evento musicale/spettacolare senza per questo nulla togliere ai pregi funzionali del concerto tradizionale.

Siamo partiti dal realizzare un evento articolato all’anno, ripensando di volta in volta immagini, allestimento, fruizione e scelta di brani, a volte pensati per l’occasione, e musicisti a un’articolazione più estesa delle attività.

Oggi Sincronie organizza una mini-rassegna (per l’edizione 2010 sono previsti quattro eventi), collabora con un gruppo di musicisti e artisti visuali nel Sincronie Ensemble e svolge attività di formazione attraverso i Laboratori d’Ascolto, che realizza in collaborazione con lo spazio ‘O e la label Die Schachtel.

In particolare i Laboratori sono degli incontri gratuiti (come del resto i concerti della rassegna), dedicati quest’anno a chi vuole sviluppare una sensibilità uditiva intorno al rapporto tra musica e ambiente, che è anche il tema di Sincronie 2010. Non sono necessarie conoscenze musicali pregresse, ma la curiosità di avvicinarsi suoni e musiche inedite e, spesso, inaudite.

Come sono nate e si sono sviluppate collaborazioni così produttive?

Come nascono sempre: dalla curiosità, dalla disponibilità e dalla capacità di reggere strutturalmente l’incontro. Non nego che ci sono molti fattori concomitanti oggi, in Italia e a Milano che rendono il processo molto faticoso e spesso più simile a una guerra contro i mulini a vento che un servizio per il pubblico. Non che il pubblico manchi: oggi si assiste a Milano a una certa presenza assidua e curiosa di un pubblico sempre più ampio ed eterogeneo, forse deluso dalle offerte ripetitive di festival più blasonati o semplicemente più finanziati. Al contrario le istituzioni pubbliche sono spesso carenti se non assenti, per non parlare poi degli sponsor privati. E questo non a caso: due piaghe tipicamente, anche se non esclusivamente, italiane minano in profondità lo sviluppo di organizzazioni come Sincronie. La più appariscente è senz’altro il diffuso senso di attività culturale come evento spettacolare e dunque sono i “grandi futili eventi” con artisti di fama a ricevere la maggior parte dei finanziamenti a scapito del vero sviluppo dell’attività culturale di una città, che è primariamente svolta da molte associazioni di piccola o media dimensione e che tendono di conseguenza ad avere un’alta mortalità. La seconda e più infida piaga del nostro paese è l’idea che la musica sia intrattenimento. La nostra attività è primariamente orientata a diffondere l’idea che la musica è prima di tutto una forma di conoscenza e in quanto tale è fondamentale non per tenere il pubblico in perenne sovraeccitazione o per inquadrarlo in un set standard e controllabile di emozioni e significati, come sembra essere la funzione primaria della musica pop, ma per lo sviluppo della qualità dell’esistenza sia dell’Italia in quanto paese che del singolo essere umano.

Puoi inoltre anticipare gli sviluppi dell’attività di Otolab e di Sincronie? Ci sono eventi in programma per la prossima stagione? 

L’autunno sarà piuttosto intenso per me sia in relazione ad Otolab e Sincronie, sia per le mie attività più personali.

Quello che posso dire al momento è che è tutto molto mobile poiché molti eventi sono attualmente in fase di organizzazione. Per Otolab posso anticipare la performance di Verso l’età d’oro il 30 settembre, in cui parteciperò come performer e autore di musica e testo, e di LCM, vincitore del passato Celeste Prize il 1 ottobre, entrambi a Como.

Per quanto riguarda Sincronie, avremo molte novità. Le attività del Laboratorio riprenderanno in settembre e continueranno fino a dicembre e poi da gennaio 2011. La rassegna “Sincronie 2010 Bios” inizierà il 6 novembre con le Vexation Variations, un evento/concerto di 14 ore in cui molti musicisti si alterneranno sul palco del Teatro dell’Arte di Milano nell’interpretazione del brano seminale del minimalismo di Satie, Vexations. La rassegna si concluderà il 4 dicembre al Teatro San Fedele, con una prima italiana di uno degli ultimi brani composti da K. Stockhausen: Uversa, per corno di bassetto ed elettronica spazializzata octofonicamente.

Si avvieranno poi nuove attività di Sincronie a partire dalla campagna di tesseramento che includeranno la distribuzione di contenuti, con la stampa di due album, e l’incentivazione dell’attività formativa legata al nuovo sito.

Consiglio assolutamente per avere informazioni più precise ed aggiornate di iscriversi alle newsletters sia di Otolab che di Sincronie.

Puoi svelare se stai lavorando invece a progetti personali?

In questo momento le intense attività con Otolab e Sincronie mi impediscono di avviare un certo numero di progetti musicali che sono latenti e attendono un momento propizio per attivarsi pienamente.

Sto comunque in questi giorni completando uno strumento in MaxMSP che userò per un nuovo progetto chiamato Presenza e che avrà la sua prima presentazione presumibilmente a Milano a fine ottobre.

Sul mio tavolo ci sono un brano per vibrafono e una versione per otto strumenti di una marcia di Lully che dedicherò all’amico recentemente scomparso, il direttore Giorgio Bernasconi.

Sul versante didattico/teorico sto ultimando la scrittura di un testo dedicato alla didattica della composizione e mi sto preparando a un dottorato che mi impegnerà nei prossimi anni intorno alle teorie sull’ascolto musicale.

Infine, ho ripreso dopo quasi due anni a scrivere sul mio blog dedicato all’immaginario musicale contemporaneo: Tan.noizer (http://maxviel.wordpress.com/)

Anche per le notizie sulle mie attività (e su quelle di Sincronie) consiglio di iscriversi alla mia sobria newsletter al sito (in aggiornamento) www.maxviel.it.