Franco Brizi ‘Le ragazze dei capelloni. Icone femminili beat e yè-yè 1963-1968’

 

 

 

 

 

 

 

 

Di Diego Giachetti

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La prima parte del titolo non tragga in inganno i maliziosi e le maliziose; si legga anche il sottotitolo. Non si trattava affatto di ragazze in “uso” dei capelloni. Se mai erano giovanissime teen-ager che, nel del movimento di protesta giovanile degli anni sessanta, provavano a definire una propria identità femminile, ricavarsi un loro spazio autonomo di indipendenza e di giudizio, connotando una rivolta giovanile, all’interno della quale emergeva una specificità di genere. Il libro tratteggia efficacemente un percorso di emancipazione femminile fuori dagli stereotipi consolidati della tradizione. E’ una strada del tutto impolitica, che ha come simboli la rottura nel modo di vestire, di cantare, di esigere e volere fermamente la libertà. Nel mondo della canzone beat, dei complessi musicali, nei locali per i giovani, mai si erano viste tante giovani e giovanissime, neanche ventenni. Non erano delle neo-Nilla Pizza, tutt’altro, erano le Patty Pravo, Silvie Vartan, Caterina Caselli, Catherine Spaak e tante altre. Rompevano col modo di vestire delle mamme, con la loro concezione vecchia del ruolo della donna nella società degli uomini, imponevano nei fatti, col comportamento, un nuovo ideale di femminilità, conquistata sul campo, con determinazione, caparbietà e coraggio. Sì, coraggio, perché l’Italia pretaiola e bacchettona non era certo disposta all’accoglienza dei nuovi stili di vita, li contrastava e li giudicava severamente a maggior ragione se si trattava di soggetti femminili. Quell’avanguardia di stile divenne il simbolo e il riferimento di migliaia di ragazze e ragazzine che chiuse nelle loro famiglie soffrivano in silenzio, mugugnavano, borbottavano mezze parole di protesta, aspiravano un ruolo nuovo nella società. A molte di loro era ancora proibito portare la minigonna, indossare gli stivaloni col tacco, usare il mascara e l’eye-liner e, proprio per questo, le amavano, vedevano nei loro atteggiamenti, comportamenti e canzoni, una risposta solidale e rappresentativa della loro insoddisfazione e sofferenza. Il libro documenta con dovizia la quantità numerica delle avanguardie canore beat con una lunga biodiscografia delle ragazze. Seguono cinque interviste a ragazze beat curate da Maurizio Becker, mentre la parte centrale è dedicata alla riproduzione dei servizi giornalistici dedicati a loro da riviste quali Ciao amici, Big, Giovani, Ciao Big, pubblicate nell’arco degli anni che vanno dal 1963 al 1968.  Queste riviste trattarono in larga parte argomenti comuni: riforma della scuola superiore e dei suoi programmi; settimana scolastica corta con sabato libero e niente compiti per il lunedì; introduzione dell’educazione sessuale nella scuola; divorzio, libertà sessuale, verginità, fedeltà matrimoniale, flirt, scappatelle; obiezione di coscienza; libertà di scelta nel campo delle amicizie giovanili e del matrimonio; richiesta di abbassare la maggiore età ai diciotto anni; attenzione alle mode culturali, di costume e musicali inglesi, americane e al beat italiano; reportage sulla nascita dei movimenti giovanili in altri paesi europei (hippie, provo) e alle forme di protesta e di rivolta di costume; ampio spazio alle lettere dei giovani lettori, che esprimevano il loro malcontento, la loro insofferenza verso il perbenismo e la morale corrente; lunghissimi dibattiti sui capelloni, sui difficili rapporti con gli adulti e con i genitori, sulle fughe da casa.

Link: Franco Brizi, Le ragazze dei capelloni. Icone femminili beat e yè-yè 1963-1968, Roma, Coniglio Editore, 2010, pp. 282, euro  38.00