Madcap Collective

Quattro chiacchiere digitali con Federico Federici della Madcap Collective

Di Marco Paolucci

uccio12@hotmail.com

02/04/2010:  Continua la disamina da parte di Kathodik delle agguerrite realtà musicali italiane: anche questa volta l’attenzione si concentra su un’etichetta, per la precisione la Madcap Collective, che da qualche anno a questa parte licenzia manufatti pop di notevole spessore e coglie anche nel segno presentando una delle nuove voci femminili della canzone italiana. Il chi è la suddetta voce lo scoprirete leggendo l’intervista che Federico Federici ci ha concesso, disposto a scambiare con noi le consuete quattro chiacchiere digitali.  

1) Quali sono le origini dell’etichetta? Come è nata l’idea? Quali ispirazioni ci sono state? A quali modelli, se ci sono stati, si è fatto riferimento?

(Nella foto: quadro dedicato all’etichetta da Luca Dipierro) Madcap Collective nasce nella primavera di 7 anni fa, prima di una tre giorni a Lubiana per presentare la mostra di un caro amico, musicata dal vivo da Oswald (ora Andrea Rottin) Littlebrown, e Freddie dei Father Murphy. Roger, un inglese che a quel tempo risiedeva periodicamente a Treviso, era da un po’ che ci suggeriva di trovare un nome collettivo con cui rappresentare le prime autoproduzioni, sottolineando il fatto che in tal modo avremmo potuto far credere di avere una qualche struttura alle nostre spalle…

E così Andrea ha suggerito il nome Madcap, vista la passione comune per il buon Barrett, e una nostra personale cabala ha fatto il resto. Madcap ha sei lettere, Syd tre, tre sono i fondatori, distanziati anagraficamente di 3 anni l’uno dall’altro. Ecco quindi che i numeri di catalogo saranno solo multipli di tre, in modo tale da rispettare questa sorta di contratto stipulato con la sorte. Ispirazioni particolari al momento della nascita del Collettivo non ce ne sono state. Più che altro in seguito, di certo, quando abbiamo iniziato a compiere i primi passi in modo più professionale. In questo, un continuo e fondamentale scambio di stimoli c’è stato con Onga di Basemental, che di lì a poco avrebbe poi fondato la sua Boring Machines, e il buon Paolo Iocca, con cui iniziavamo a lavorare per la produzione di quel gran disco che è “Like a smoking gun in front of me”.

2) Come scegliete le produzioni?

Paolo Moretti segue, sin dall’inizio, tutto quanto riguarda l’ascolto e le comunicazioni con le varie proposte che ci arrivano. Ha pazienza e dedizione. Molte volte, la maggior parte però, ci arrivano demo/promo di gente che non ha idea di cosa noi facciamo, né di quale sia il nostro modo di lavorare. Quindi il più delle produzioni, anzi, praticamente tutte, sono state scelte in base a segnalazioni di amici, dopo aver visto concerti, dopo aver ricevuto richiesta di collaborare, dopo aver cercato noi di lavorare con qualcuno, insomma, comunque sempre dopo aver costruito un rapporto personale nel tempo. Il termine Collettivo nella nostra “ragione sociale” non è a caso.

3) Come scegliete i gruppi?

Vedi sopra.

4) Come sono i rapporti con i musicisti?

Ottimi. Sto cercando di ricordare se abbiamo mai litigato con qualcuno… Con tutti ci sentiamo periodicamente, certo, con alcuni ben di più, ma molte volte sono le band stesse che investono in modo diverso su di sé, e quindi hanno di contro esigenze differenti.

5) Cosa pensate delle coproduzioni?

(A sinistra: foto di Sara Montin in occasione della festa per il sesto compleanno dell’etichetta) Fin dal già citato disco dei Franklin Delano (uscito in sinergia con File 13 di Chicago), abbiamo sempre creduto nelle collaborazioni. I nostri due ultimi dischi, “You a lie” dei Comaneci, e “Holy Broken” degli americani Sin Ropas sono frutto di lavoro comune con una o più etichette (il primo uscito in coproduzione con Here I Stay Records e Foltribe, il secondo con l’americana Shrug). C’è più possibilità di confronto, il disco ha più esposizione, ci sono semplicemente più forze in campo con uno scopo comune. E poi si dimezzano i costi, dando la possibilità di investire magari maggiormente sulla promozione o sul packaging. Di certo deve esserci coerenza di intenti, ma penso che ogni coproduzione sia un discorso a sé, e quindi tanti “paletti” ideologici non ci sono, o non ci dovrebbero essere. Ritengo poi sia sempre un’ottima cosa aver la possibilità di imparare a delegare, senza né dovere né volere tirare del tutto le fila di una produzione.

6) Quali pensate siano state, analizzando questo primo spaccato di uscite, le produzioni migliori targate Madcap Records? Quali le peggiori?

(A sinistra: foto di Sara Montin in occasione della festa per il sesto compleanno dell’etichetta) Non saprei dirti, o forse più sinceramente, non voglio dirti quella che è la mia classifica personale di uscite Madcap… Ricito volentieri però “Like a smoking gun in front of me” dei Franklin Delano, un disco purtroppo dimenticato troppo presto, uno dei migliori degli ultimi 10-15 anni, quantomeno qui in Italia, con cui abbiamo imparato il significato di “lavorare con dedizione”, per cui abbiamo investito le prime, per noi, grosse cifre, con cui abbiamo avuto i primi rapporti con la stampa, con altre etichette, con distributori, agenzie di booking etc…

Penso poi a “I saw seven horn rising from the sun, when a rooster sang for the third time” dei Father Murphy, primo nostro vinile, il sottovalutato “Jardim eletrico” tributo agli Os Mutantes grazie al quale siamo riusciti a lavorare con Sean Lennon, Tater Totz (band di Pat Smear), i Mutanti stessi e altre band da Brasile, Inghilterra e Stati Uniti; le varie collaborazioni con Boring Machines e Fooltribe, gli split con i due Paolo Moretti e uno dei nostri idoli da sempre, Lorenzo Fragiacomo, la rapida ascesa di “Big Saloon” di Beatrice Antolini e il lavoro fatto per questo disco con Silly Boy Entertaiment, il DVD  di Gomma Workshop, in collaborazione con Modo Infoshop di Bologna, e l’aver supportato l’uscita del documentario “Ovunque splenda il sole ci sono cinesi” di KUAI KUAI, le incredibili soddisfazioni che ci stanno dando Comaneci, prima band, ad esempio, le cui vendite ai concerti, in un solo mese, avevano già coperto le spese iniziali (quando ci siamo trovati dopo il loro tour europeo di presentazione del disco in anteprima rispetto all’uscita italiana, al sapere il numero di copie vendute ci siamo quasi letteralmente commossi).

Tutte le produzioni hanno una loro piccola storia, un motivo per cui alla fine sono entrate a far parte del nostro universo.

7) Con chi vi è piaciuto collaborare?

Penso di aver già risposto un pò in altre domande. Con tutti, in modi diversi.

8) Con chi vorreste collaborare?

Non saprei chi dirti tra i mille nomi che mi stanno passando per la testa…

Sarebbe forse divertente con una major…non so come possa accadere, né cosa potrebbe darci…ma così, giusto per vedere quale ruolo, nel caso ce ne fosse uno, potrebbe Madcap avere… Anche se ovviamente impossibile, ci sarebbe sempre piaciuto avere un progetto per sole voci con John Lydon, David Yow, Cobain e il buon Barrett

9) Come vedete la scena musicale italiana?

Non credo molto nel termine scena. Forse in realtà c’è, e non ce ne siamo mai accorti. O magari non ne facciamo parte… Più semplicemente, crediamo molto di più nel concetto di comunità, dove c’è stima e rispetto reciproco, dove collaborare a volte è anche semplicemente ospitare qualcuno durante un day off per non fargli perdere soldi, o far avere questo o quel link dove stampare i dischi a meno, o con maggior qualità. Ci sono molte persone a cui vogliamo bene qui in Italia. Capita poi che parte di queste siano poi attive come musici, o come promoter, o come altro.

10) Come vedete la scena live italiana?

Uhm, anche qui, è difficile parlarne come di un unicum. Posso dirti però che spero che sempre più gruppi escano dal confine nazionale per confrontarsi con esperienze diverse, con molte meno sovrastrutture, con meno o diverse garanzie di cachet… Penso sia facile qui diventare viziati, come anche pensare che qualcosa sia dovuto. A livello di locali, ci sono molte belle situazioni dove potersi esibire. Molte altre terribili. Mi piace il fatto che ci sia un circuito sotterraneo a cui si appoggiano anche la maggior parte delle realtà musicali straniere in visita nel nostro paese. Abbiamo ancora tanto da imparare in merito ad apertura mentale, ma ci sono anche bei segnali. E comunque, riagganciandomi a quanto dicevo prima, non c’è niente di dovuto.

11) Progetti futuri?

A brevissimo andremo in stampa con il secondo volume di “Discorsi votati all’utilità pubblica”, con immagini di Paolo Moretti e aforismi di frederico f, che esce grazie alla collaborazione con St. Louis & Lawrence Books, Boring Machines, il network Kuai Kuai, il Festival Rospi in Libertà, le etichette Fratto 9 Under the sky, Shyrec, Mr Bedroom, la linea di effetti Greydressedboy…mentre per il terzo e conclusivo bisognerà aspettare l’autunno. Uscirà a brevissimo, penso ad aprile,  nei cinema  il film “Due vite per caso” di Alessandro Aronadio, distribuito da Lucky Red,  e prodotto da A Movie Productions, che vede nella colonna sonora brani di Comaneci, Andrea Rottin, Franklin Delano e Father Murphy, e i Murphy sono anche presenti con un cameo in una scena del film, ripresi durante un loro live.

E’ ormai quasi pronto il nuovo lavoro del Gomma Workshop, un progetto segreto e matto a cui i ragazzi del GW lavorano da mesi, e confidiamo di riuscire a pubblicare “You a lie” di Comaneci in vinile a breve. Entro la fine dell’anno dovrebbe uscire poi “La cadenza” raccolta di racconti e illustrazioni di Luca Dipierro. Poi a settembre uscirà per Aagoo Records (Usa) un nuovo ep di Father Murphy, che vedrà comunque anche la nostra partecipazione in fase promozionale. E di sicuro ci saranno altre novità, quando pensi di aver tutto ben bene prestabilito ecco che arriva l’incognita…