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Felmay Journal Settembre. Click Per Infos.Cari lettori,

Sperando abbiate trascorso un piacevole estate
abbiamo preparato una nutrita serie di nuovi
titoli per accompagnarvi verso l’autunno e l’inverno.

Massimo FERRANTE pubblica il suo nuovo CD,
«Jamu». Un felice ritorno con una nuova
formazione ed una musica che senza rinnegare le
tradizioni guarda all’oggi con influenze world e jazz.

La MORESCA, gruppo acustico dell’area napoletana,
dopo un silenzio di oltre 8 ani torna con nuovo
tiolo che da solo è un programma: «Ammore,
trivolo, currivo e devozione», quattro sezioni
dedicate al viaggio spirituale che segna la nostra vita.

Sono uno dei migliori gruppi di Power Folk
italiano con all’attivo uno sterminato numero di
concerti, sono i GATTAMOLESTA qui alle prese con il loro primo CD: «Czeleste».

Torna la spensierata Orchestra BAILAM che in
«Harem Bailam» coniuga il classico repertorio
balcanico con sonorità mediorientali ed arabe.

Per la nostra sezione indiana due notevoli
artisti: Ustad ALI AHMAD HUSSAIN Khan, il più
grande maestro vivente di shenai (strumento a
fiato simile all’oboe), alla guida di un’ampia
formazione ci presenta tre brani nel suo CD «Serenity».
Tre donne del Sud India guidate da Lalgudi VJ
Vijayalakshmi in un CD di grande effetto e
musicalità: «Vadhya Sunadha Pravaham»

E’ stato il cantautore che meglio ha
rappresentato l’anima popolare con le sue
canzoni: Fabrizio De Andrè. Un rodato manipolo di
musicisti torinesi gli ha voluto dedicare questa
personale rilettura dei suoi primi successi in
«Non per un Dio (ma nemmeno per gioco)».

Infine vi ricordiamo la ristampa di tre storici
titoli dei LOU DALFIN, titoli da molti anni introvabili.

Se desiderate ulteriori informazioni contattateci liberamente.

Saluti
(info@felmay.it)

* GATTAMOLESTA
Czeleste

I GATTAMOLESTA sono senza dubbio tra le migliori
formazioni di (power) folk italiano venute allo
scoperto negli ultimi anni e Czeleste, la loro
terza prova discografica dopo l’ep I pesci, i
pani e gli esemplari e l’album Alla festa del
brigante, ne è una conferma probante.

Si tratta naturalmente di un folk atipico,
irregolare e bizzarro, che tiene conto e
interagisce con i suoni del mondo, com’è giusto
che sia nel nostro tempo. La formazione proviene
da Forlì, città che li ha visti muovere i primi
passi nel 2006. La loro musica è scesa sin da
subito nelle strade, preferendo l’immediatezza
del contatto con il pubblico alle sedute di
studio al chiuso. Un modo ineccepibile per
provare e provarsi, per valutare la tenuta di un
brano e cogliere in tempo reale la risposta
emozionale di chi ascolta. Così, da una piazza
all’altra, da una piccola festa paesana al
Buskers festival di Barcellona e ai palchi delle
rassegne jazz, GATTAMOLESTA si è costruita una
solida reputazione di band sanguigna e
travolgente. Il front-man e ideatore del gruppo è
Andrea Gatta, cantante e chitarrista
dall’indubbio appeal, che grazie al suo carisma è
in grado di stabilire un’immediata complicità con
i presenti. A completare il quartetto troviamo
musicisti di ottimo livello quali Nicolò Fiori al
contrabbasso, Jader Nonni alla batteria e Luigi
Flocco alla fisarmonica. Se amici e ospiti non
mancano mai durante gli spettacoli dal vivo, lo
stesso accade in Czeleste, dove si ascoltano il
trombettista Eusebio Martinelli, Aleksandar
Rajkovic al bombardino e Fabrizio «Biccio»
Benevelli ai sassofoni e clarinetti. Il suono di
GATTAMOLESTA è vivo e pulsante sin dai titoli
(Estasiatica, Polka Punk. Boia Giuda Criminale) e
nei brani, tutti originali, si percepisce forte e
chiara, a livello strumentale, la fascinazione
per i mille rivoli della musica balcanica sia del
passato sia del presente (Bregovic, Kusturica,
Gogol Bordello), nonché in generale il debito
verso l’estetica gitana. I testi, rigorosamente
in italiano, rivelano invece la tensione verso il
superamento dei cliché del cantautorato del Bel
Paese, proponendo versi surreal-dadaisti ubriachi
di ironia e sentimenti forti, contestualizzabili
in una linea d’autore che da Tom Waits arriva
sino a Vinicio Capossela. Un canto libero, quello
dispiegato dai romagnoli GATTAMOLESTA, che
testimonia come la musica possa ancora essere
vissuta, anche nella nuova era glaciale e
digitale, sotto una forma semplice ma dal contenuto traboccante di umanità.

* La MORESCA
Ammore, trivolo, currivo e devozione (vota la
rota de la mia vita… e s’avota la rota n’auta vota)

Torna a noi LA MORESCA, formazione campana di
riconosciuto valore e grande spessore artistico,
che si ripresenta all’attenzione del suo pubblico
dopo un lungo silenzio discografico. Ammore,
trivolo, currivo e devozione (sottotitolo vota la
rota de la mia vita… e s’avota la rota n’auta
vota) è il titolo della nuova opera, concepita a
otto anni distanza dal notevole Senza cchiù terra.

Avvalendosi della direzione artistica di Rosario
Del Duca, l’ensemble ci offre un ampio sguardo
sulla tradizione musicale radicata nella sua
ettra, la Campania, con opportuni allargamenti
mediterranei. L’album, come si evince dal titolo,
presenta al suo interno una suddivisione
quadripartita, segnata da tre intermezzi. Il
primo capitolo è dedicato all’amore, qui
rappresentato tanto dall’innamoramento
adolescenziale (Ajeri sera virietti roi stelle),
quanto da quello materno (La ninna ri la ria),
per finire in una satirica Burlata a sfondo
sessuale. Segue il paragrafo delle tribolazioni:
il lamento della Terra violata, i tentativi di
tenere lontano il dolore (sulle note di una Danza
arabesca gitana cantata in spagnolo), la
disperazione di una donna in carcere (Dint’a a la
Vicaria, un brano ottocentesco). Poi è la volta
della collera: per la libertà maltrattata e per
il tradimento di una bella che si è maritata a un
riccone. Una rabbia che si trasforma in odio come
esprime bene una libera trascrizione dal sonetto
di Cecco Angiolieri S’i’ fosse fuoco. Infine, al
termine del viaggio, ecco il ritorno, tra ironia
e serietà, al sacro, alla santità e alla
saggezza, concetti che LA MORESCA fa rivivere
sempre in chiave concreta, popolare e
“democratica”, lontano tanto dai riti
istituzionali quanto dalle superstizioni. Ammore,
trivolo, currivo e devozione è una sorta di
concept-album che non si dimentica del passato e
allo stesso tempo risulta profondamente calato
nella realtà (come testimonia, ad esempio,
l’improvvisazione di Marcello Colasurdo in
Traditor’) e che sa accompagnare testi sempre
pregnanti con un intreccio strumentale sovente vicino alla perfezione.

* Massimo FERRANTE
Jamu

Dopo i sorprendenti U Ciucciu (fy 8090) del 2005
e Ricuordi (fy 8113) dell’anno successivo, ecco
in uscita la nuova e originale prova di MASSIMO
FERRANTE, che con Jamu prosegue nel suo impegno
teso a perlustrare ad ampio raggio la realtà
musicale e sociale dell’Italia del Sud.

Il suo canto inconfondibile e il suono
altrettanto riconoscibile di una chitarra a 12
corde marcano un’incisione che vive di
accostamenti stilistici arditi. L’apertura e la
chiusura del disco sono affidate alla ripresa di
una celebre poesia di Ignazio Buttitta, Lingua e
dialettu, tramutata in canzone. Appartengono
sempre a Buttitta le parole di Lamentu pi la
morti di Turiddu Carnivali, dedicati al
sindacalista ucciso dalla mafia in Sicilia nel
1955, che FERRANTE interpreta accompagnandosi con
la chitarra catanese. Un recupero importante è la
Strina du judeo, un tradizionale calabro proposto
con belle variazioni da Ferrante in compagnia di
Lutte Berg alla chitarra elettrica, Lello
Petrarca al basso e Enrico Del Gaudio alla
batteria. Ari cincu è invece un canto joggese
trasposto in stile bandistico, in cui, tra i
fiati, si ascolta il clarinetto di Francesco
Banchini. Si prosegue con l’amaro e ironico Ha
detto De Gasperi a tutti i divoti, interpretato
in “bianco e nero” dal solo FERRANTE alla maniera
dei vecchi cantastorie, e con Tu compagno, un
brano scritto in origine dal Canzoniere delle
Lame, che FERRANTE dedica ai politici di sinistra
odierni e a cui Lutte Berg aggiunge azzeccati
suoni “rumoristici”. E sempre il chitarrista nato
in Svezia ma di padre calabrese è responsabile
del bel fraseggio jazzato presente nel salace ’U
monacu. E se non può mancare una sostenuta
tarantella (Tarantella minore), FERRANTE nemmeno
si scorda delle minoranze occitane di Guardia
piemontese, in provincia di Cosenza, riprendendo
una surreale canzone in lingua d’oc (La piov e la fa soulelh).

* ORCHESTRA BAILAM
Harem Bailam

L’ORCHESTRA BAILAM si ripresenta con un album dal
vivo, registrato nel corso di uno spettacolo
tenutosi nel celebre Teatro della Tosse di Genova
nel marzo 2009. Harem Bailam è utile non soltanto
a fare il punto su un viaggio in musica che dura
ormai dal 1988, ma anche, per i neofiti, a
collocare la formazione in quella che è
senz’altro la sua dimensione più congeniale, il live.

L’acusticissima ORCHESTRA BAILAM si è sempre
contraddistinta per un approccio essenziale e
misurato al suo repertorio, senza che questo
abbia mai significato distacco dalla materia o
scarsa partecipazione emotiva. L’album-concerto
si apre con Mamma li turchi e Gatto morto, due
brani assai dinamici che richiamano alla mente le
scorribande klezmer dell’Europa orientale e i
serrati ritmi balcanici. Senza un attimo di
tregua si passa subito dopo a Rumenia Rumenia che
racconta una divertente storiella ebraica, la cui
morale è universalmente valida. La quarta
composizione, Semai nahawand lamma bada,
introduce una sorta di ampia suite che omaggia la
tradizione mediorientale con tracce quali Enta
aumri (un brano in passato reso immortale dalla
divina Oum Kalsum), Cimbali (un tradizionale),
L’anima ha preso tutto in gioventù (su testo del
poeta del XII secolo Ibn Hamdis) e Longa
farahfaza (di Ismail Haqqi bey). Ne risulta
un’atmosfera tra il colto e il popolare che ci fa
passare davanti agli occhi con molto garbo
danzatrici del ventre e orchestrone d’archi e di
plettri arabe, harem popolati di flessuose
bellezze e frequenze radio che s’involano la sera
verso il deserto. Secondo il medesimo stile
orientaleggiante è affrontata la splendida cover
di Il volto della vita, brano con cui Caterina
Caselli si presentò al Cantagiro del 1968 e che
qui è cantato da Roberta Alloisio.
Nell’occasione del concerto all’ORCHESTRA BAILAM
(formata oltre al citato Minelli da Luciano
Ventriglia, percussioni e batteria; Edmondo
Romano sax e clarinetto; Roberto Piga violino;
Luca Montagliani fisarmonica e tastiere; Tommaso
Rolando basso) si sono uniti, tra gli altri, il
trio degli Arcotrafficanti, Marco Fadda alle
percussioni e Cosimo Francavilla al sax.

* LOU DALFIN
– W Jan d’ l’ eiretto
– Gibous, Bagase e Bandì
– Radio Occitania Libra

Da oltre un quarto di secolo vivaci portabandiera
della cultura e della musica occitana (e anche in
buona misura della loro rinascita), i LOU DALFIN
di Sergio Berardo, oltre ad avere davanti ancora
un luminoso futuro (come le recenti incisioni I
Virasolelhs e Remescla dimostrano), possono
vantare altresì una grande quantità di esibizioni
e materiale discografico che ne fissano la storia
e l’evoluzione e ne precisano lo status di band
fondamentale del folk non solo italico. Degli
anni 90 sono testimonianza i tre album che
tornano oggi finalmente a disposizione dei tanti
aficionados delle musiche di Berardo e soci. Del
1992 è W Jan d’ l’eiretto, che vede l’ingresso
nella formazione di chitarre e batterie. Nel
repertorio si trovano brani tradizionali e tre
scottish composti da Berardo. Nel 1995 appare
Gibous, Bagase e Bandì in cui compaiono
tra gli ospiti nomi di prestigio tra cui Roy Paci
(tromba), Rosario Patania (trombone), Pablo
Parpaglione (saxofoni), Davide Rossi (violino,
violectra) nonché Madaski (voce, campionamenti e
programming) il quale firma un brano, Lou Dub,
significativo dell’evolversi creativo del gruppo.
Anche questa incisione è un riuscito mix fra
traditional e composizioni nuove e si segnala per
la sequenza di tre rigaudons. A completare il
trittico delle ristampe abbiamo Radio Occitania
Libra (1997), un live registrato in parte al
Salone della Musica di Torino del 1996 e in parte
all’Auditorium della Radio Svizzera Italiana. Il
programma dei brani è tratto dalle due incisioni
precedenti ma, grazie alla presenza del gruppo
basco Sustraia in appoggio, si realizza
quell’unione di minoranze musicali (che poi tali
non sono affatto) che è un altro dei principi
fondanti dei LOU DALFIN. Per quanto
significativamente differenti uno dall’altro, i
tre dischi riescono a far affiorare al meglio
quell’energia comunicativa che non si può non
riconoscere come il tratto fondamentale di un
gruppo che ha saputo mantenere elevata
l’attenzione verso un patrimonio culturale e
musicale che ormai non appartiene più solamente
agli abitanti delle valli occitane piemontesi.

* LALGUDI VJ VIJAYALAKSHMI & altre
Vadhya Sunadha Pravaham,

Il rinnovamento della musica indiana di
ascendenza classica passa anche attraverso
incisioni come Vadhya Sunadha Pravaham, in cui si
può ascoltare un trio al femminile di grande
qualità e originalità. La novità è rappresentata
dalla particolare scelta strumentale della
formazione, che vede implicato il violino, il
flauto e la veena (strumento a corde di grandi
dimensioni), lo strumento che nell’India del Sud
meglio incarna la tradizione classica. Le
esecutrici implicate sono rispettivamente LALGUDI
VJ VIJAYALAKSHMI, MALA CHANDRASHEKAR e JAISHREE
JAIRAJ, impegnate in un repertorio di grande
bellezza e attrattiva che non manca di
coinvolgere l’ascoltatore sin dalle prime note.

Il progetto ripropone nella formazione quello che
negli anni 60 fu uno dei gruppi storici della
musica carnatica. Lalgudi G Jayaraman, padre di
Vijayalakshmi e uno dei grandi del violino del
secolo scorso, aveva infatti costituito un gruppo
comprendente anche Dr N Ramani, flauto, e R.
Venkatraman, veena accompagnati da due suonatori
di mridangam. Una vera rivoluzione musicale e
concettuale nella musica carnatica. A distanza di
40 anni VJ h ripreso quell’idea e ce la ripropone
in una versione tutta femminile mantenendo
intatta la carica innovativa ed emozionale del gruppo originario.
Anche chi non ha particolare dimestichezza con la
musica indiana viene subito reso partecipe dello
svolgersi degli a solo e dei momenti collettivi.
Purezza di suono, precisione di tocco o di
emissione, trasporto emotivo consentono al trio
di dispiegare una particolare energia creativa.
In particolare si nota come il dialogo fra i tre
strumenti si sviluppi alla pari, con continui
interscambi, un call and response a “triangolo”
continuamente variato e perfezionato.

* USTAD ALI AHMAD HUSSAIN KHAN & Party
Serenity

Protagonista di Serenity è lo shehnai, un
strumento a fiato a doppia ancia apparentabile,
nel mondo occidentale, alla famiglia dell’oboe,
costituito di una canna in legno e di una campana metallica
In ogni luogo venga suonato è conosciuto per
essere uno strumento in grado di “portare
fortuna”, ed è per tale ragione che viene
utilizzato in occasione di grandi cerimonie e nei matrimoni.
Leader del CD è USTAD ALI AHMAD HUSSAIN KHAN,
considerato il più grande suonatore di shenai vivente.
ALI AHMAD HUSSAIN KHAN ha saputo introdurre
innovazioni nella scelta del repertorio,
impiegando lo shehnai in raga anche molto
complessi ed atipici. Il primo brano presentato
(Raga Jhinjhoti) si contraddistingue per il
calore avvolgente ma trattenuto della melodia,
che si dipana, sinuosa, a ondate progressive. La
seconda traccia, Raga Madhumad-Sarang, non è tra
i raga più conosciuti, ma dispone di uno sviluppo
accattivante e incisivo, ed è tutto giocato su
tempi rapidi ed essenziali, capaci di catturare
l’orecchio di chi ascolta sin dal primo istante.
Infine, Mishra Bhairavi, un raga molto popolare
ed apprezzato per l’insieme di spiritualità e gioia che sa suscitare.

* NUVOLEINCANTO
Non Per un Dio (ma nemmeno per gioco)

A dieci anni esatti dalla morte, il mito De André
appare più saldo che mai nella considerazione del
pubblico. Allo stesso modo, e non certo per
denaro quanto semmai per amore, sono tanti i
musicisti e gli artisti che, considerandolo
ancora e sempre “uno di loro”, non hanno mancato
di rendergli omaggio in questo anniversario.

NUVOLEINCANTO si inserisce a pieno titolo in
questo filone proponendo con il disco Non per un
Dio (ma nemmeno per gioco) un originale percorso
rievocativo. La formazione è composta da
strumentisti che vantano un ampio bagaglio di
esperienze e rispondono ai nomi di Fabrizio Cotto
(chitarra e voce), Gigi Venegoni (chitarre),
Piero Mortara (fisarmonica e pianoforte), Angelo
Ieva (basso) e Fabrizio Gnan (percussioni). I
brani di De André oggetto di interesse da parte
del gruppo provengono soprattutto dagli album Non
al denaro, non all’amore né al cielo (1971) e
Fabrizio De André (Indiano) (1981) e, fermo
restando il rispetto per le melodie, si possono
ascoltare in versioni davvero particolari. È lo
stesso Fabrizio Cotto a spiegare che nel disco
«abbiamo costruito un percorso sui temi a lui [De
André] più cari: l’amore, la guerra, la
religione. Abbiamo rielaborato in chiave
leggermente più rock, inventando ritmiche e
arrangiamenti più consoni al nostro modo di
suonare, molte canzoni della produzione
precedente alla svolta etnica di Crêuza de mä».
La canzone dell’amore perduto assume così i
tratti della ballata pop, Franziska muta pelle e
si colora di umori latinoamericani, La città
vecchia viene rallentata dal suono di una
fisarmonica dal puro charme francese, Geordie
cambia decisamente aspetto abbandonando i suoi
caratteri cinquecenteschi per travestirsi in un
blues (acustico) dai toni caldi e coinvolgenti.
Quasi sul finale dell’incisione, un’articolata
introduzione pianistica di derivazione classica
mette in moto una rimarchevole cover di Bocca di
Rosa. Essenziale ma non semplicistico, assai
prossimo allo spirito irrequieto di De André,
molto curato nella produzione, Non per un Dio (ma
nemmeno per gioco) si pone senz’altro come
termine di paragone a venire per chi intenda
intraprendere una rilettura dell’opera del cantautore genovese.

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