Gregor Samsa ‘Rest’

(The Kore 2008)

E’ possibile, al giorno d’oggi, essere originali pur maneggiando un genere ormai vecchio di un decennio (e si sa che un decennio, nella storia della musica, equivale ad un secolo) come lo slow-core? A giudicare da questo “Rest”, seconda fatica in studio dei Gregor Samsa, si.
E già perché il combo originario della Virginia (ma attualmente trasferitosi a New York) capeggiato da Nikki King e Champ Bennett propone una interessantissima variante del genere che ha reso famosi gruppi come i Codeine e i Low: lo slow-core da camera. Il che fondamentalmente sta a significare: incedere narcotico, dilatazioni, atmosfere sospese, ovattate, maliconiche ed arrangiamenti orchestrali.
Ma non solo. Perché i Gregor Samsa sono anche particolarmente attenti alla strutturazione dei pezzi. Non lasciano nulla al caso: la staticità di certe composizioni è solo apparente. In alcuni casi, i pezzi cambiano tutt’a un tratto pelle con una facilità ed una naturalezza disarmanti; in altri, invece, la coltre eterea e malinconica che avvolge certe composizioni nasconde pulsioni estremamente variegate, un po’ come uno stagno quieto in superficie cela il brulicare di migliaia di piccole esistenze sul fondale.
Al di la delle parole, comunque, quel che conta è la musica. Ed allora ecco sfilare in successione la suggestiva The Adolescent; Ain Leuh, giocata su un bell’intreccio vocale e su arrangiamenti d’archi solenni ma non pomposi e che, passata la metà, si trasforma in un lento e malinconico peregrinare di piano e chitarra; l’ossessiva e cupa Abutting, Dismantling; Company, dall’atmosfera fluttuante e sospesa. E ancora, la splendida Jeroen Van Aken, che sfoggia una melodia eterea che, dopo due terzi del suo dispiegarsi, muta in un pattern minimalista pulsante ed atmosferico al tempo stesso, su cui si distendono le solite, delicate armonie vocali; la trasognata e spettrale Rendered Yards; Pseudonyms, tutta percorsa da una vena romanticamente malinconica; First Mile, Last Mile, che nell’intermezzo cede alla tentazione di una chitarra elettrica distorta per poi rimangiarsi tutto con un finale a base di sussurri eterei e sinth atmosferici ed infine la splendida melodia di Du Meine Leise.
Con “Rest” i Gregor Samsa hanno realizzato un (capo)lavoro forse anacronistico, nel senso che mal si coniuga con i ritmi frenetici della vita quotidiana e i tempi serrati dedicati all’ascolto della musica (pratica, ahinoi, svolte con sempre maggiore superficialità), ma che saprà fare felici quanti ad un disco chiedono profondità, intensità e ricercatezza.

Voto: 9

Link correlati:Gregor Samsa Home Page