Underworld ‘A Hundred Days Off’


Dopo l’ultimo lavoro in studio “Beaocup Fish”, ma soprattutto dopo il divorzio dal dj Darren Emerson, si temeva che Karl Hide e Rick Smith non fossero stati in grado di tenere il passo di un sound che esplose nel ’93 con quel capolavoro di technocontaminazioni che fu l’album “Dubnobasswithmyheadman” e che ci ha poi accompagnato lungo tutto il corso degli anni ’90. Beh, alla luce di questo loro ultimo full length, direi che c’è poco da temere per il futuro dei due technoheadz. “A Hundred Days Off” riprende gli stilemi espressivi di un suono melodico e trascinante alle cui vette non ci si avvicinava più così tanto da tempo, ancor prima di quell’abbaglio pop mutante che fu il singolo Born Slippy. E’ da dirlo, gran parte di quello che rimane, ritmiche in primis, è ereditato da Emerson, ma i due sono comunque bravi a mantenere vivo quel feel emozionale che tanto ci ha fatto sognare e anzi ad accentuarne se è possibile il carattere visionario. Raramente poi si era sentito un Karl Hide così ispirato, compone e canta costruendo perle melodiche pronte ad essere trasfigurate dalla sua metà artistica e pezzi come No Move, Two Months Off, Sola Sistim, Trim, Dinosaur Adventure 3D e Luetin sono li a dimostrarlo. E’ infatti più di ogni altra cosa la voce che sembra fondersi e diventare tutt’uno con la musica a spiazzare, un gioco di colori, riflessi traslucidi e crescendo che fa passare in secondo piano alcune rimasticazioni ritmiche. Poche volte la miscela Underworld aveva suonato così bene. Sarà che questo è un combo supercollaudato che non ha perso smalto e lucidità, anzi, che ha raccolto un abbandono seppur doloroso come una nuova sfida, con animo rinnovato, sarà quel che sarà ma sembrano proprio queste due persone minute gli eredi di un certo avant-pop sognante che ha sempre trovato nell’Inghilterra il terreno più fertile dove svilupparsi. C’è ancora bisogno di dischi così leggeri e qualcuno farebbe bene a prenderli da esempio.

Voto: 7

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