Drunken Butterfly ‘CODEC_015’


(Black Fading Records/Audioglobe 2015)

Dello smarrimento, della disillusione e del dolore dell’uomo occidentale contemporaneo, della sua società fatta di paradossi politico-economici-sociali, sono pieni i saggi, i romanzi, i dischi e i film. Già da buona parte del secolo scorso la polemica verso certe contingenze è usata molto più a torto che a ragione, infatti quando la critica di qualcosa diventa un cliché utile a darsi un tono da intellettuale polemico o da moralista di facciata, che tu poi possa sentire davvero o meno certe questioni come importanti e bisognose di dibattito, oramai sono a tal punto inflazionate che si diventa assuefatti e dunque indifferenti.
Quale diviene a questo punto l’approccio più onesto possibile da intraprendere onde evitare interpretazioni standardizzate e soluzioni preconfezionate? Innanzi tutto evitare di dare subito queste soluzioni e tornare ad immergersi nuovamente nei fenomeni per come si offrono e non per come li filtrano tv o smarthphone, per tornare nuovamente a sentire e capire. Questo è quello che fanno pedissequamente in tutte e nove le tracce del loro nuovo album, ‘CODEC_015’, i marchigiani Drunken Butterfly.
Il loro mix compatto e granitico di post-punk, industrial vecchia maniera e un non so ché di CCCP, non offre infatti soluzioni alle problematiche quotidiane legate al rapporto tra individuo e società, ma si limita a codificare il vissuto in canzoni, non mettendo in scena i sentimenti, come accade solitamente in musica, quanto più le sensazioni, in un lavoro più descrittivo che evocativo o emotivo. Ne sono esempi limpidissimi le tracce Il Bel Paese, America e Genova, fatte di un verismo raro in chi affronta certe tematiche. Favorisce l’intento la scelta di un quasi parlato, che offre una certa freddezza comunicativa che, in generale, un cantato non riesce ad offrire. Inoltre questo andamento vocale viene sostenuto e amplificato da una sezione ritmica ordinata e incalzante, che sa mettere l’accento in maniera egregia in ogni frase e in ogni pausa, come in un discorso ben confezionato, dove il realismo lirico vince sulla metafora e il simbolo, dove la ritmica vince sulla melodia. Buon ascolto.

Voto: 8

Davide Giustozzi

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