Philip Blackburn ‘Music of Shadows’


(Innova Recordings 2014)

“One person’s “noise” is another person’s sophisticated signifying system” scrivono Daniel Fischlin, Ajay Heble e George Lipsitz nell’introduzione al volume ‘The fierce urgency of now’ (Durham and London, Duke University Press, 2013, p. 24). È una constatazione in generale utile per apprezzare molta musica, che in particolare vale per quegli artisti che intendono la musica non soltanto come composizione di suoni, ma come ricerca sul suono. Calza perciò a pennello per un “environmental sound artist” come Philip Blackburn, che in questo album presenta elaborazioni musicali costruite mediante l’uso di strumenti “fai da te”, suoni ambientali, coro, la versione virtuale del Rhythmicon (uno strumento inventato nel 1931 da Leon Theremin e Henry Cowell), clarinetto e timbri simili a quelli di strumenti popolari come la fisarmonica. Il risultato è un’interessante produzione di paesaggi e atmosfere sonore caratterizzate da un intenso spessore espressivo. Si parte con Dry Spell, caratterizzato da continui, lenti e incombenti rumori metallici e dai riflessi sonori di attività industriali, che lasciano spazio a voci di bambini e al latrare di un cane: il brano è stato composto per essere riprodotto all’interno del sistema fognario di St.Paul nei pressi del fiume Missisipi e dal suo torbido impasto emana una forte sensazione di caldo soffocante. Molto più ritmico, ancorché sempre ripetitivo e ossessivo, è Still Points, in cui impulsi percussivi regolati con cadenze e intensità diverse, spesso disumane, sono poi raggiunti da un suono, questo sì più umano, che ricorda una fisarmonica. Conclude l’album il lungo The Long Day Closes, in tempo Larghissimo: metafora sonora di una vita insensata che svanisce nel nulla. Sembra la decostruzione della Creazione di Haydn, ma in realtà incorpora segmenti corali e orchestrali rielaborati del Largo di Händel Ombra mai fu. Le ombre con cui il giorno volge al termine stendono un velo cupo di sinistro terrore, oscuro sgomento e una solenne angoscia per il nulla che tutto inghiotte. Non so se la sensazione evocata sia quella di una sorta di “imperscrutabilità mistica” (come ho letto da qualche parte), ma è evidente il riferimento allo svanire delle cose, uno svanire, in fondo, tranquillizzante. Evidente è anche l’efficacia del brano come colonna sonora del film diretto dallo stesso Blackburn ‘The Sun Palace’. L’ascolto sembra invitare alla visione del film, che a dirla tutta manca un po’.

Voto: 6

Alessandro Bertinetto

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