Claudio Calia Intervista

Quattro Chiacchiere Digitali con il fumettista Claudio Calia sulla sua arte, sul fumetto e varie ed eventuali.

13/12/2014: Quattro chiacchiere Digitali questa volta ritorna a parlare di fumetto, comics, balloon che fa pensare e discutere, dopo il fortunato incontro con Sara Pavan (qui se non l’avete ancora letta trovate l’intervista). E lo fa con Claudio Calia, uno dei più interessanti autori/promotori/curatori di fumetto indipendente e “civile”, che transita con le sue tavole e le sue idee in lungo e in largo per la penisola. Lo scrivente ha conosciuto Calia, come Sara Pavan, alla prima edizione del festival di fumetto, grafica, editoria indipendente Ratatà che si è tenuto al Centro Sociale Autogestito Sisma di Macerata. Da qui l’idea di scambiare quattro chiacchiere in digitale – complice la simpatia e la disponibilità dell’intervistato – si è sviluppata naturalmente. A voi come al solito i risultati:

1. Quando è nata la passione per il fumetto?

Eh! Da piccolissimo, prima di andare alle elementari. Un amico aveva nel suo garage i vecchi fumetti di supereroi delle Edizioni Corno, e ce li siamo letti e riletti più volte: l’Uomo Ragno, Thor, I Fantastici Quattro, l’entrata di Capitan America nei Vendicatori… Poi tra Il Giornalino e Il Corriere dei Piccoli, di fumetti in casa me ne sono sempre girati. Ma è più tardi, diciamo verso la prima media, quando per un compleanno mi hanno regalato il libro “50 anni di Braccio di Ferro” di Bud Sagendorf, che ho cominciato a capire che dietro a quelle storie c’erano delle persone e che era quello che volevo essere.

2. Praticamente mi hai già risposto ma ti faccio lo stesso questa domanda: il tuo primo fumetto lo hai letto o lo hai disegnato?

Letto, senz’altro letto. Anche se ho cominciato presto a disegnarne. Praticamente già alle elementari riempivo quaderni di storie a fumetti ispirate a quello che vedevo in TV: per esempio ho fatto un mucchio di tavole de “I TransAnimals” scimmiottando i Transformers.

3. Parliamo della tua pluriennale esperienza come curatore/promotore di tanto fumetto indipendente, in particolare la tua esperienza a Radio Sherwood: il progetto Sherwood Comix e le raccolte curate con Emiliano Rabuiti. Nell’ordine tra le altre: ‘Resistenze’, ‘Zero tolleranza’, ‘Global Warming’. Raccontami come sono nate queste raccolte.

Da una intuizione, mia e di Emiliano Rabuiti con cui abbiamo fondato il progetto. Il festival di Sherwood per chi non lo conosce è il più grande festival musicale del Veneto, nel mese di durata ci passano svariate decine di migliaia di persone. Perché non provare a intercettarle con dei fumetti che parlassero di temi a loro vicini? Così l’idea di un antologico annuale in cui le campagne di movimento venissero espresse a fumetti, dando la possibilità a tantissimi autori di contribuire col loro linguaggio a sensibilizzare su temi come la guerra globale, la precarietà, il razzismo. Dopo due edizioni letteralmente autoprodotte, dalle fotocopie alla spillatura, da me e Emiliano, si è palesato l’interesse di alcune case editrici verso questo progetto e siamo sbarcati in libreria, prima con Coniglio Editore e poi tanti altri. ‘Resistenze’, fiore all’occhiello di tutta la raccolta, è uscito per BeccoGiallo e ancora oggi è l’antologia più esaustiva del fumetto indipendente italiano di quegli anni.

4. Francesco Fasiolo ti cita nel suo volume ‘Italia da fumetto. Graphic journalism e narrativa disegnata nel racconto della realtà italiana di ieri e di oggi’. Parla di te e della tua ‘intervista disegnata’ a Toni Negri intitolata ‘È primavera’. Come è nata l’idea di una sorta di “bignami” negriano?

In realtà l’idea, come spesso mi accade, è nata in principio più da una suggestione “formale” che dal contenuto. Ovvero, dalla domanda: “si può condurre un’intervista a fumetti”? E di conseguenza: se intervistassi un cacciatore di coccodrilli probabilmente dal suo racconto estrarrei materia narrativa tale da rendere la cosa molto simile a un fumetto “tradizionale”. Ma se intervistassi un filosofo? In definitiva: può un fumetto esprimere pensiero, dei concetti? Poi da lì la scelta del “chi” è arrivata abbastanza da sé, per passioni altre rispetto all’interesse per il mio linguaggio preferito.

5. Come è nata l’idea del fumetto inchiesta sulla No Tav ‘Dossier Tav’?

Ammetto che per quel libro la richiesta è arrivata dall’editore, BeccoGiallo. Ma solo quando Luca Abbà è caduto dal traliccio, e nella diretta di corriere.it del giorno dopo c’è stato il caso del “pecorella” rivolto a un poliziotto e la conseguente indignazione pubblica ho iniziato davvero a carburare sul tema. Il tutto è partito dalla considerazione che all’oggi viviamo immersi da informazioni, possiamo sapere tutto su qualunque argomento, sulla storia della TAV in particolare possiamo ricostruire ogni sasso tirato, ogni manganellata, ogni lacrimogeno. Ma questa comunicazione perenne e sincopata a cui siamo sottoposti non ci è utile poi per ricostruire il senso complessivo delle cose. E allora da lì ho cominciato a scandagliare tutte le informazioni possibili sull’argomento, scremarle, tenere quelle che ho pensato potessero aiutare a ricostruire serenamente tutta la storia. Perché se ogni telegiornale si fissa sul singolo sasso tirato ma dimentica di dire che parliamo di un progetto voluto da Andreotti, mi sembra che non ce la stiano raccontando lealmente.

6. Come è nata l’idea del ‘Piccolo Atlante Storico Geografico dei Centri Sociali italiani’?

Anche qui, prima uno spunto formale, “come si realizza una mappa a fumetti”? E come si esprime la geografia con un linguaggio che ha connaturato in sé il racconto dell’avanzare del tempo? Poi il tema… ho voluto in un certo senso appoggiare il mio mattoncino in un’operazione che sento necessaria: raccontare un pezzetto della mia generazione, quelli che si sono avvicinati ai centri sociali prima di Genova G8. Quando io mi avvicinai al movimento c’era lo spot di Curre Curre Guaglio’ in tv, al cinema c’era ‘Sud’ di Salvatores. I centri sociali incidevano nell’immaginario collettivo. Oggi non più, non così, e ho voluto contribuire nel mio piccolo a farlo, partendo dal racconto di tutto ciò che abitualmente non viene raccontato sui centri sociali: il fatto che siano spesso aperti tutti i giorni e ospitino miriadi di iniziative oltre ai concerti e manifestazioni per cui di solito si parla di loro, per esempio.

7. Ti ritrovi nella definizione di fumetto civile?

E’ una definizione coniata da Renato Pallavicini, giornalista de L’Unità, per descrivere l’editore della maggior parte dei miei lavori, BeccoGiallo. Ora sinceramente non so se mi ritrovo nella definizione tout court, a volte può essere fumetto civile ma magari altre servirebbe un fumetto ribelle e un po’ scorbutico. Mi piace nel senso che dà l’idea del fumetto non come un linguaggio narrativo fine a sé ma allude alla sua possibilità di poter essere anche strumento, strumento per altri (penso al rapporto tra Porto Marghera, il mio primo libro, e le associazioni sul territorio per esempio), altro e non solo merce.

8. Cos’è per te il fumetto indipendente/underground?

Fumetto che non nasce da un’esigenza commerciale ma da un urgenza narrativa del suo autore. Poi che esca per un editore, sia autoprodotto o solo sul web mi cambia poco, a definire l’indipendenza o meno di un fumetto è l’intenzione dell’autore. Ci sono tante autoproduzioni oggi che scimmiottano pubblicazioni presenti nel mercato, quasi a costituire una sorta di “book” per presentarsi alle case editrici. Ecco, quelli sono fumetti che non sono indipendenti, non nascono da una precisa urgenza del racconto, anche se sono autoprodotti. Dall’altro lato esistono fumetti che pur usciti da una filiera tradizionale, dal rapporto con l’editore a quello con la distribuzione, per me rimangono comunque “indipendenti” perché nascono da una genuina volontà dell’autore di parlare di certi temi e affrontare certi argomenti.

9. Per contro cos’è per te il fumetto mainstream?

Fumetto fatto per mangiare e pensato espressamente per vendere tanto. La necessità di dover vendere molto per autosostenersi implica spesso un appiattimento dei contenuti per accontentare tutti. E’ un mestiere dignitoso come tanti altri, c’è chi lo fa bene e chi non mi piace quando lo fa, ci sono pochissimi che lo fanno così bene che veramente saltano le barriere: il Topolino Noir di Tito Faraci è un fumetto che quasi definirei indipendente, per quanto traspare l’entusiasmo del suo autore nel raccontare quelle storie.

10. Veniamo alle classifiche: fammi una classifica dei tuoi dieci migliori autori di sempre, compresi quelli da cui hai attinto ispirazione per le tue opere e per la tua poetica “fumettistica”.

Classifica in senso stretto direi che non mi riesce. Il bello del fumetto è che c’è molta diversità, si possono vivere mondi e modi molto diversi e spesso non così semplicemente accostabili. Per dire i miei autori preferiti di sempre partirei da Jack Kirby, Go Nagai e José Muñoz. Di sicuro uno spazio va riservato a Andrea Pazienza, ma da lì prendiamo la tangente e attraversando il mondo aggiungerei ancora Will Eisner, Art Spiegelman, Joe Sacco, Van Damme e Rosinski, Osamu Tezuka, Adrian Tomine, Daniel Clowes, Enki Bilal, Jaques Tardì… e potrei continuare per ore.

11. Di seguito, in collegamento con quello di cui sopra, fammi una classifica dei tuoi dieci migliori fumetti di sempre.

Ci provo, sempre sottolineando che non si tratta di una vera e propria “classifica”. Il ‘Devil’ di Miller, ‘Devilman’ di Go Nagai, ‘Alack Sinner’ di Muñoz e Sampayo. Gli X-Men di Claremont/Byrne, ‘From Hell’ di Alan Moore e Eddie Campbell, il Topolino di Floyd Goffredson, ‘Popeye’ di Elzie C. Segar, ‘Gasoline Alley’ di Frank King, ‘Peepshow’ di Joe Matt e ‘I never liked you’ di Chester Brown. E siamo a dieci, ma già mi sento in colpa per tutto ciò che ho omesso. Ecco, infiliamoci ‘Akira’ di Katsuiro Otomo giusto per lenire la responsabilità di non averlo ancora citato.

12. Cosa è per te comunicare sui social network come Facebook e Twitter?

Qui c’è da specificare che gran parte del mio lavoro “vero”, che con i fumetti tutto sembra molto bello ma non ci si campa davvero, è proprio il web marketing. Per cui Facebook e Twitter sono miei strumenti quotidiani e essenziali per mettere insieme pranzo e cena. In questo, li uso molto per promuovere i miei scarabocchi e costituiscono un mezzo formidabile per avere la percezione dei tuoi lettori: fino a vent’anni fa il tuo libro usciva e il dato di mercato era l’unico parametro che avevi per determinare il successo o meno di un’opera. Oggi invece anche se non vendi cifre altissime hai l’occasione attraverso questi strumenti di avere un feedback immediato da chi ti legge. Ed in un qualche modo quello che fai sembra più “vero”.

13. Inevitabile domanda di chiusura: progetti futuri? Qualcosa legato ai tuoi libri come ad esempio il ‘Piccolo Atlante Storico Geografico dei Centri Sociali italiani’? Non lo vedresti come un portale interattivo video-audio-fumetto, “e chi più ne ha più ne metta”?

Dell’Atlante avrei sempre voluto fare almeno una Google Map interattiva. Ma considerando la rapidità con cui le cose cambiano nel mondo dei centri sociali sarebbe un impegno troppo gravoso da realizzare e soprattutto tenere aggiornato nel tempo. Il mio prossimo libro dovrebbe essere una sorta di manuale a fumetti per approcciare al fumetto chi non ne legge, titolo di lavorazione “Maledetti fumetti”. Comincerò a disegnarlo da gennaio per cui a parte l’oggetto trattato non ho molto da dire al momento. Di sicuro mi leverò la soddisfazione di disegnarmi tra le tavole dei miei fumetti preferiti, ridisegnandole col mio stile a loro volta.

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