Daniel Biro ‘Songs of Refuge’

(Sargasso 2012)

Primo album prettamente cantautoriale per il musicista Daniel Biro, attivo, a leggere le sue note biografiche, sin da metà degli anni 90 in diversi progetti strumentali tra elettronica e jazz, con quello che sembra essere il suo strumento d’elezione, il mitico piano elettrico Fender Rhodes. Confezionato in un packaging veramente molto bello e curato, impreziosito dagli evocativi bozzetti in chiaroscuro dell’artista David Breuer-Veil, che ha realizzato un disegno per ogni brano del cd; composto e scritto in un arco temporale durato parecchi anni, ‘Songs Of Refuge’ è un vero è proprio songbook, in cui Biro oltre a cimentarsi con la voce realizza dei testi molto intimi che scavano a fondo nella sua psiche e visione emotiva, ma anche socio politica, del mondo. Ampio lo spettro dei temi trattati. L’amarezza per chi cerca facili bersagli razziali o religiosi verso cui puntare il dito (o le armi) di Sad Little Man, il rimpianto per la giovinezza perduta e tradita di Faces, la voglia di radici e spirito Europeo in Old Europe, l’amore con le sue incomprensioni di When our love was strong e Sargasso Sea. Questo e tanto altro. Musicalmente l’impianto strumentale è molto delicato e rarefatto, tra ambient, avant pop, elettronica sussurata. Dalle parti di certo David Sylvian, il Brian Eno di ‘Another Green World’, i Depeche Mode in vena di confidenze o i Talk Talk più introversi, giusto per fare qualche nome. Tuttavia non posso certo dire di essere rimasto stregato da questo cd, che è fortemente penalizzato da un punto debole abbastanza evidente, ovvero la voce del suo autore. Se musicalmente sono presenti diversi spunti interessanti, anche se l’ostentato feeling malinconico-esistenziale potrebbe far storcere il naso a qualcuno, la voce non convince. Poco personale, a tratti veramente anonima e poco incisiva, rimanda in vari modi agli artisti citati ma non possiede la personalità di nessuno di essi. Personalità vocale che a mio parere rappresenta un requisito essenziale per un disco che del mettere al centro l’Io del suo autore fa la sua stessa ragione di essere e che va a inficiare l’impatto stesso della forma canzone, vuoi per scelta, vuoi per risultati, già molto fragile, tanto cercata.

Voto: 5

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