Stillman/ Abramovic ‘Odyssey’


(Innova 2011)

Una vera e propria odissea, quella intrapresa dalla versatile flautista Mimi Stillman, spesso accompagnata dall’altrettanto valente pianista Charles Abramovic, protagonisti di un viaggio musicale che esplora il repertorio americano contemporaneo per flauto solo o flauto e pianoforte. A mio avviso è forse il brano che dà il titolo a questo doppio cd Innova, Odyssey di Gerald Levinson, l’unico a deludere, avviluppato com’è in un virtuosismo auto-referenziale e poco comunicativo, complice il troppo frequente sconfinamento nei campi sempre minati della dodecafonia e dell’atonalità. Più efficaci, anche se non esaltanti, sono gli altri due brani per flauto solo: i Five Sketches di Daniel Kellogg e Whim di David Bennett Thomas, ritmicamente e coloristicamente interessanti, anche se melodicamente ancora lontani dall’eccellenza. Un’eccellenza che non manca invece a nessuno dei brani per flauto e pianoforte, e che è evidente anzitutto nel breve quanto intenso brano di Richard Danielpour, pervaso di un lirismo degno della celebre Canzone (per medesimo organico) di Samuel Barber. Un’altrettanto felice ispirazione melodica innerva le due commosse ed emotivamente ritenute elegie di Andrew Rudin e, soprattutto, la Sonata-Cantilena di Benjamin C.S. Boyle, divisa com’è (per esplicita ammissione dell’autore) tra l’intimismo di Barber (di nuovo) e l’ironia venata di nostalgia di Poulenc. Gli Elements di Mason Bates ci trasportano in un territorio decisamente più astratto, eppure espressivo e ricco di spunti interessanti. I restanti brani, invece, traducono in musica la metafora del viaggio: se il Duet di Zhou Tian riprende ed amalgama ritmi jazzistici e melodie cinesi, la Sonata di David Ludwig trae ispirazione dalla musica argentina, così sfrontatamente ritmica ma anche capace di sublimi evocazioni paesaggistiche; così pure, il brano di Michael Djupstrom è un commovente e lamentoso canto nello stile della musica dell’Europa dell’Est, mentre Mountain and Mesa di Katherine Hoover porta alle estreme conseguenze questo sincretismo sonoro, spaziando dagli influssi ungheresi alle cullanti melodie dei nativi americani, per concludere con una trascinante danza che utilizza patterns ritmici e accordi tipici della musica cinese. Trascinante, come la sensibilità e l’abilità tecnica dei due esecutori, sempre perfettamente a loro agio e in grado di risolvere brillantemente i problemi interpretativi di volta in volta posti loro dalla fervida fantasia dei compositori.

Voto: 9

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