Marco Ricci ‘Penshurst Road’

Di Marco Loprete

marcoloprete@libero.it

Samadhi, Pete, Sally e Pamela hanno una cosa in comune: vivono tutti in Penshurst Road, un’anonima e un po’ grigia via di Londra. Per il resto, non potrebbero essere più diversi. Samadhi è un immigrato di origine indiana che passa le sue giornate a cuocere patatine fritte nella sua friggitoria, Pete lavora come ferroviere e ha l’hobby del calcio, Sally fa la ballerina di lap-dance e Pamela, beh, lei non fa nulla: vive in un appartamentino facendosi mantenere dal papà, un ricco avvocato. Abitando nello stesso piccolo quartiere, le loro vite si sono incrociate inconsapevolmente già alcune volte, finendo però sempre col prendere direzioni diverse. Ma il caso (o il destino, fate voi) è assai capriccioso e ci mette lo zampino: un bel giorno i quattro si trovano tutti assieme alla stessa fermata dell’autobus, quando, dall’altra parte della strada, uno sconosciuto dalle fattezze pachistane si accascia per terra, morto. Da quel momento, le vite di Samadhi, Pete, Sally e Pamela si uniranno indissolubilmente, condividendo un percorso che le porterà ad una svolta radicale.

Ora, come si sarà capito, l’opera di Ricci (quarantenne, ex consulente informatico ma con alle spalle già alcuni racconti, poesie e monologhi teatrali, giunto con “Penshurst Road” al suo primo romanzo) gioca su un topos abbastanza frequentato dalla letteratura, quello degli sconosciuti le cui vite improvvisamente si intrecciano, cambiando radicalmente. Ma non è tanto questo il problema del libro. Il primo punto critico è rappresentato dai personaggi: Samadhi, Pete, Sally e Pamela sono figure bidimensionali, stereotipate. L’indiano è il tipico immigrato costretto a fare un lavoro che detesta pur di sopravvivere; fugge da un passato di miseria, ha alle spalle un matrimonio fallito e davanti a sé nessuna prospettiva. Pete è un giovanotto ingenuo, sognatore ed ovviamente imbranato con le donne. Sally, invece, fa un lavoro squallido, è cresciuta in una famiglia di ubriaconi ed è stata costantemente maltrattata da tutti gli uomini che ha incontrato. Pamela è la classica figlia di papà, viziata ed insensibile, la quale, però, dietro una facciata di aggressività nasconde una profonda fragilità. La morte del pachistano e la conseguente decisione di seppellirlo assumono, in quest’ottica, una valenza simbolica: lo straniero senza nome assurge per i quattro ad incarnazione delle figure (e degli eventi) che hanno segnato in negativo la loro esistenza (per Samadhi il padre, per Pete il fratello, per Sally il nonno); seppellirlo significa dunque, metaforicamente, chiudere i conti con il passato e ritrovare la felicità – «mettersi pace», come dice Samadhi. Solo per Pamela il discorso è diverso: lei può ancora provare a recuperare il rapporto con i genitori, figure distratte ed assenti che lei ha sempre mostrato di disprezzare: ed è per questo motivo che alla fine abbandonerà i suoi amici per raggiungere la sua famiglia. Ad ogni modo, tale decisione non ci sarebbe stata senza quell’acquisizione di consapevolezza prodotta gradualmente in lei dalla morte del pachistano e dagli eventi ad esso seguiti.

Tutto questo ci rimanda al secondo problema del libro di Ricci: la prevedibilità (e, in fondo, l’inconsistenza) dell’intreccio, risolto, per altro, in un finale banalmente consolatorio, con tanto di dissertazione sulla felicità e trionfo dell’amore. Neppure l’ambientazione, quella Penshurst Road con il suo negozio di barbiere per cane, la friggitoria di Samadhi, le case basse ed il suo generale grigiore, riesce a dare sufficiente “profondità” alle avventure dei quattro, essendo essa stessa, in fondo, un luogo comune.

Libro adatto a chi cerca una lettura “leggera”.

Link: Editore Mursia, 2009