Japanese Gum ‘Hey Folks! Nevermind We Are All Falling Down!’

(Friend Of Mine 2009)

Esordio sulla lunga distanza per un gruppo che già dopo l’ep di esordio (quel “Talking Silently” datato 2007 ed edito dalla Marsiglia Records, etichetta che già aveva visto nascere e crescere i concittadini Port Royal) aveva fatto parlare di sé. I Japanese Gum si presentano con un’oretta di musica eterea e sognante che si avvicina a quella dei già citati illustri concittadini, ma che guarda anche allo shoegaze e all’indietronica di stampo canadese, con sentori ambient che disperdono le note nell’aria come un profumo di violette tra i verdi prati di metà aprile.

Undici tracce più tre bonus tracks per un disco, come avrete intuito, dal respiro assai internazionale. Si parte con The Month Of Dictators (No Help For The Wicked), tra battiti elettronici lalipuniani e un’atmosfera sospesa un pò shoegazeiana che non disdegna graffianti virate chitarristiche tra i sinuosi arpeggi dei synth. Con Big Whale e % entriamo nei territori liquidi dell’elettronica ambientale più sibillina sempre turbata da increspature chitarristiche. Sunless Summer e Under a Pale Blue Sky si stendono invece su di un tappeto ambientale docile ma intriso di gracidii sintetici. Chlorine Blue è una deriva al ralenti che si gonfia man mano fino a esplodere in un boato di distorsioni. Cluster Of Bees dopo un inizio simile alla precedente assume connotati più spiccatamente rock nella seconda parte, anzi, decisamente post – rock. Mistake/Ghost e Converge sono due cavalcate a metà tra chitarrismo ed elettronica fragili e oniriche che nel loro nutrirsi di battiti sincopati ricordano certi Boards Of Canada, senza dimenticare la lezione dei Giardini di Mirò. 09 torna a strizzare l’occhio al pop elettronico dei Notwist ma rendendolo lentissimo, impercettibilmente avvolgente ma esplosivo nel finale. Raskol’nikov è una lunga suite electro – gaze in cui i synth la fanno da padroni, creando un’intricata ragnatela sonica.

To Erase Pains, la prima delle tracce bonus, sembra quasi un’esplorazione tra le possibilità del suono sintetico. Hon.e, invece, si muove sulla corposità della batteria che sostiene una miriade di linee sintetiche che si intrecciano e si ribaltano l’un l’altra. Chiude il disco First Reminder, tra ronzi glaciali e un’insolita ricerca melodica.

Veramente apprezzabile il lavoro della band genovese, forse solo un po’ troppo lungo e ripetitivo, ma i nostri sembrano pronti ad esplodere come uno dei nuovi fenomeni del sottosuolo musicale italico. Non sarà facile per i nostri, visto la diffidenza che trova in terra nostrana la loro proposta elettronico – ambientale – shoegaze, ma forse la loro dimensione potrebbe essere il mondo intero. Il loro sound necessita ancora di un preciso tocco stilistico, ma stoffa ce n’è.

Voto: 10

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