Revolutionary Snake Ensemble ‘Forked Tongue’

(Cuneiform Records/Ird 2008)

Una delle regole fondamentali che ogni acquirente di dischi dovrebbe seguire, novantanove volte su cento, è quella di disgiungere le immagini e la veste grafica della copertina dall’ipotetico contenuto. Prima dell’avvento del web ciò era possibile solo con la (rara) connivenza di un negoziante che consentisse l’ascolto prima dell’acquisto. Oggi, grazie a Dio, ci sono mille modi per ascoltare prima di comprare. Perché questo tedioso preambolo? Perché, semplicemente, prima avrei comprato questo disco ad occhi chiusi per poi pentirmene amaramente; oggi, più semplicemente, non lo comprerei.
E non perché sia brutto, intendiamoci: ma perché questo Revolutionary Snake Ensemble, che intitola il suo lavoro ‘Lingua biforcuta’, con tanto di serpente minaccioso serigrafato sull’etichetta e aggrovigliato all’Albero della Conoscenza in copertina, foto degli otto membri in costumi variopinti buffoneschi e fuori di testa (a metà strada tra la Magic Band di Captain Beefheart e l’Art Ensemble Of Chicago), si rivela all’ascolto un gruppo compassato e inquadrato che più inquadrato non si può. Il che non è affatto negativo, ma il fatto colpisce, specie perché casa Cuneiform ci ha finora abituati ad eccellenti prodotti d’avanguardia.
Il disco consta di dodici tracce tra cui: classici delle marching bands di New Orleans (Just A Closer Walk, una pazzesca Down By The Riverside trasportata in minore); brani gospel (Give Me Jesus); un brano di Ornette Coleman (Chippie, comunque uno dei migliori); persino un pezzo di Billy Idol (White Wedding) ed addirittura una versione bandistica di Que Sera Sera, il tutto inframmezzato da composizioni “in stile” del leader, il sassofonista Ken Field. E allora?
Belli gli intrecci dei fiati, pulitissimi gli arrangiamenti, tutto sommato gradevole l’ascolto, divertente la clownerie dei costumi, ma l’impressione è quella di un colorato minestrone rococò-kitsch leggermente mancante di sale.
Considerato il fatto che sono esistiti ed esistono gruppi a centinaia dediti al recupero ed alla conservazione filologica del patrimonio delle antiche bande della Louisiana; che Ornette ce lo ascoltiamo in originale perché ci piace di più; che Billy Idol c’entra con questa musica come un quadro di Rothko appeso in una grotta di Altamira; infine, che i pezzi inediti non aggiungono nulla di particolare a quanto non sapessimo già… prendete in considerazione questo disco solo se particolarmente interessati agli sviluppi odierni del genere oppure, viceversa, se pensate che la Preservation Hall sia un magazzino per la stagionatura dei prosciutti.

Voto: 5

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Autore: belgravius@inwind.it