Ferran Fages ‘Cançons per a un lent retard’

 

(Etude 2007)

Impro più o meno radicale e sentimenti o sentimentalismo solitamente non vanno molto d’accordo, anzi. Spesso una delle accuse mosse al genere è proprio quella di un’eccessiva attitudine intellettualoide: molto cervello, almeno nelle intenzioni, e poco cuore. Ma si sa, se esistono delle regole codificate, allora esiste anche qualcuno a cui piace infrangerle. L’anno scorso Jason Lescalleet, noto sperimentatore devoto al culto della tape music e formidabile collaboratore in diverse occasioni con il duo nmperign, proponeva The Pilgrim, prodotto feticcio, bellissimo vinile picture disc + cd, ma anche e soprattutto documento musicale dedicato alla memoria del padre appena scomparso. Non una semplice dedica, di quelle il mondo è pieno, dato che il dolore della perdita, offerto in pasto al pubblico in maniera quasi imbarazzante costituiva parte integrante dell’opera. Esemplare il secondo lato del vinile, dove la voce affaticata di Lescalleet senior, catturata durante la sua permanenza ospedaliera, chiede alla nipote di cantargli una canzone. Veramente straziante. Parto da questo disco, perché le motivazioni che stanno dietro a questa raccolta solista di Ferran Fages inevitabilmente rimandano ad esso. In questo caso non si tratta di un omaggio post mortem, ma il musicista spagnolo ci tiene a precisare che la musica è stata concepita durante durante il lento spegnersi della vita del padre e da questo triste evento trae la sua ispirazione. Inevitabilmente, legare un prodotto artistico in maniera così volutamente esplicita a dei fatti strettamente personali può suscitare qualche perplessità. Triste calcolo commerciale? Difficile dirlo, data la microscopica consistenza del mercato a cui questi dischi si rivolgono, e forse anche meschino sospettarlo.

Ferran Fages gode di una qualche notorietà nell’ambiente in quanto artefice di sonorità abbastanza abrasive, generate principalmente dall’utilizzo poco ortodosso di giradischi ed electronics, in compagnia di nomi quali Alfredo Monteiro (nel duo Cremaster) e Ruth Barberian (nel duo Error Focus) oltre ad essere protagonista di innumerevoli collaborazioni con, tra gli altri, Taku Unami, Francisco Lopez e Masafumi Ezaki. Qui però, e a quanto pare (dato che personalmente non l’ho sentito) anche nel precedente “A Cavall Entre Dos Cavallos”, il nostro si concentra esclusivamente sulla chitarra, con risultati, a mio modesto parere, assolutamente superbi.

Pensate al procedere sconnesso ed irregolare del grande e rimpianto Derek Bailey, agli evanescenti origami del Taku Sugimoto pre-silenzio, aggiungeteci una (inevitabile, date le premesse del disco) coltre scura e un pò della malinconia rosso fuoco di un città come Barcellona e avrete una qualche idea di cosa aspettarvi da queste cançons.
L’iniziale Suspens Vertical procede in maniera molto parsimoniosa, poche note, ognuna con un peso specifico enorme, le corde pizzicate con dolorosa fisicità, resa benissimo dalla pazzesca qualità audio del cd, tutta un farsi di scale sbilenche e improvvise chiusure.

Accordi che risuonano di metallo al limite della rottura e incredibili discese nel buio a base di blues latino (se esiste una cosa del genere) rallentato ed annebbiato, e circolari sviluppi ritmici nella magnifica coppia di Tangent Al Dit e L’Ombra Del Dit.

Spettrale, minimale, gutturale, a tratti lamentosamente e leggermente droning la lunga Paraula Clau, disturbata dagli interventi di scordatura in real time di Dimitra Lazaridou Chatzigoga, a rappresentare il momento più sperimentale ed “ostico” del cd.

In definitiva, per il sottoscritto, uno dei dischi più belli di questo 2007 agli sgoccioli, perfetta sintesi di tecnica, sperimentazione e….cuore. Se proprio devo muovergli una critica, riguarda l’eccessiva durata, intorno ai 70 minuti, e qualche lungaggine di troppo.

 

 

Voto: 9

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