Faun Fables ‘The Transit Rider’

(Drag City/Wide 2006)

Faun Fables è il nome dietro il quale si celano Dawn McCarthy e Nils Frykdahl, attivi dal 1998. Questo “The Transit Rider” è il loro quarto lavoro e si ispira ad uno spettacolo scritto nell’arco di un decennio dalla McCarthy, in cui la nostra vagheggiava di un mondo dominato dalle rotaie della metro e di una donna che viaggia ininterrottamente, spostandosi di stazione in stazione. L’attenzione (meglio: la fascinazione) per il mondo della tube è presente nel disco non solo nei testi ma anche nella musica: a renderlo evidente, l’innesto, in alcuni brani, del suono campionato dei vagoni che corrono sulle rotaie. L’aspetto teatrale – da musical, per intenderci – si lega, invece, alla presenza di certi spunti melodrammatici ed eccentrici. Nel complesso, possiamo definire “The Transit Rider” un lavoro conteso tra il folk in tutte le sue forme e la sperimentazione avanguardistica.
Transit Theme è contraddistinta da un arpeggio dolente e da un cantato sofferto; House Carpenter è un traditional anglosassone; l’isterica e angosciante In Speed, in cui Frykdahl si finge Stan Ridgway e la chitarra elettrica interviene obliqua e nervosa, precede la rarefatta Taki Pejaz, pezzo folk del polacco Zygmunt Konieczny risalente al lontano 1963, qui riproposto in chiave decisamente post. Roadkill è invece banalmente roots; meglio, decisamente meglio, fa la suadente Earth’s Kiss, con il suo andamento più articolato ed il gioco tra un irrompente glockenspiel ed un misteriosamente malinconico flauto. Con Fire And Castration entriamo in un territorio evidentemente più sperimentale: il pezzo, scritto da Frykdahl, mescola un arpeggio folk con certi deliri gotici à la Mike Patton; il finale è affidato ad un pianoforte che blatera insensato.
La successiva The Questioning sorprende per via dei suoi accenti funky (qui Frykdahl, più che cantare, ringhia). Nell’eccentrica The Corwish Brother si respira chiaramente aria da musical; la conclusiva I’d Like To Be, tra i pezzi migliori del disco, è invece una cover di Je Voundrais di Soeur Sourire, col testo tradotto in inglese dalla McCarthy.
Come si può facilmente comprendere, “The Transit Rider” è un grosso calderone in cui il folk viene mescolato con una gran quantità di elementi. Certo non è un capolavoro; tuttavia è un disco pieno di idee, che trasuda una notevole vitalità e non si accontenta del solito lamento monocorde chitarra-e-voce. Fosse stato un po’ meno dispersivo (ma è anche vero che forse proprio in questo sta il suo innegabile fascino), sarebbe stato decisamente da quattro stelle. Così, i nostri devono accontentarsi di qualcosina in meno…

Voto: 7

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