Vincent Gallo ‘Buffalo ’66’

 

 

 

 

 

 

 

 

Di Valeria De Stefano
valeriafrusciante@yahoo.it

BUFFALO ’66-VINCENT GALLO (1998)
CS, ore 9 pm, settembre 2006. Alcuni di noi in cucina a vedere video dell’estate e pasteggiare a base di spaghetti alla soia. Io e altri nella stanza attigua per vedere Buffalo ’66, che suggella l’esordio di Vincent Gallo dietro la macchina da presa. V.G non è di certo mister simpatia nell’ambiente hollywoodiano: lascialo in una stanza solo con un registratore acceso e sparerà a zero su Madonna, Sean Penn, il malcostume imperante sul set, e -sic!- anche su Nanni Moretti. Un linguacciuto. Buffalo ’66 sono il luogo e l’anno di nascita di Billy, la versione “prisoner” del regista attore, un cugino sfigato a cui potreste spedire cartoline di auguri a pasqua e a natale. I genitori sono fobici e mitomani. Forse il regista sta contemporaneamente attingendo dalla sua archeologia personale, tirando fuori dalla soffitta dei ricordi le idiosincrasie e comportamenti della coppia padre-madre, facendo il verso, dall’altro lato al prototipo di famiglia “bene” americana, cultrice della odiosa retorica del ne-riparliamo-a-cena e di quel cauto ottimismo che dissimula paure e scheletri nell’armadio, il più delle volte. In questo film di retorica non ce n’è affatto. Il padre è l’indiscusso Ben Gazzara nei panni di un Frank Sinatra pro-poveracci, convinto che il figlio lo farà secco prima o poi. La madre, interpretata dalla divina Anjelica Houston è esaltatissima, tifa per i Buffalo e, in segno di devozione indossa anche un discutibile giubottino che riproduce i colori sociali di quella squadra. Anche la terribile tenutina celeste di Layla (Christina Ricci) rapita in una scuola di ballo da Billy, è opera di Vincent Gallo. La scena della cena-riconciliazione al desco genitoriale è esilarante, così come il resto della vicenda, pervasa da una comicità a volte dolce e a volte e bieca. La pellicola è del ’98. Da allora risiede immacolata nel pantheon delle glorie del cinema indipendente made in U.S.A. Buffalo ’66 fa l’occhiolino a ” Il grande Lebowsky”  di Joel Coen (1998) per il registro lieve ed ironico (che si alterna però a sequenza di nostalgia lisergica). Lontano dalla greve fiacca e dalla pedante supponenza dell’Hollywood Boulevard, questa vicenda tragicomica, ricca di flashback su una 35 mm invertibile, si tramuta alla fine ( ma proprio alla fine!) in una storia d’amore anomala ma comunque dolce. Billy rinuncia ai suoi propositi di vendetta contro un giocatore dei Buffalo, reo di aver di proposito sbagliato un calcio decisivo in una finale, sulla quale egli aveva scommesso una piccola fortuna. Layla, un tenue impasto di sprovvedutezza e bontà, monta una farsa colossale per coprire la quinquennale prigionia  di Billy a genitori di lui: egli è un agente della CIA. Billy, costretto a fare i conti con un miserabile ” come-eravamo” personale, adulterato e deformato dall’assenza, outsider come l’insonne De Niro in ‘Taxi Driver’, è colpevole di eccessi di bastardaggine a danno di Layla e ha solo un hobby : il bowling, uno degli sport più amati dai pigri, dato che tra una pausa e l’altra si può fare di tutto, dal cianciare con gli amici-compagni di squadra a offendere gli avversari. Bellissima la scena in cui la ragazza balla il tip tap sulle note di Moonchild dei King Crimson, amatissimi da Vincent Gallo. Cameo di Mickey Rourke nei panni dell’allibratore e della Arquette, bella senz’anima unica ragazza amata senza successo dal protagonista. Pellicola destinata ai fans dell’ Happy few, l’antiretorico Buffalo 66 dimostra che non servono produzioni miliardarie per fare i bei films, e se per molti può sembrare una barzelletta allora peggio per loro.

 

Links:
http://www.imdb.com/
www.vincentgallo.com
www.revisioncinema.com/ci_bu66.htm
www.repubblica.it/online/cinema/buffalo/buffalo/buffalo.html