Hans Fjellestad/Peter Kowald/Dana Reason/Jason Robinson ‘Dual Resonance’


(Circumvention 2003)

Peter Kowald ha salutato questo mondo in punta di piedi.
Il contrabbassista tedesco era uno di quei personaggi sempre bruciati da una fiamma
interiore che lo portava a ricercare sempre nuove esperienze, senza retorica, ma più
semplicemente un vero artista come se ne trovavano e se ne trovano pochi
in giro. Questo disco giunge abbastanza inaspettato e quindi mooolto gradito
nella sua acuta ed asciutta ricerca di frammenti e rivisitazioni di esperienze
passate.
Avrebbe potuto essere un tributo sopra le righe per un personaggio cosi
schivo ed invece l’acume dei musicisti coinvolti rende possibile la perfetta riuscita
di un’opera che risulta essere prima di ogni altra cosa una caparbia dimostrazione
di lucidità espressiva e di tenace ansia comunicativa.
Metà delle registrazioni risalgono ad un tour americano del 2000 di Kowald
che comprendeva i tre musicisti della California del sud mentre l’altra parte
riassembla ed attualizza materiale spurio di quelle session integrandole con materiale
registrato dopo l’inaspettata dipartita di Kowald da parte dei tre Hans Fjellestad,
Dana Reason e Jason Robinson. L’umoralità delle interpretazioni è
notevole e talvolta si è trascinati lungo sentieri che sembrano azzardare
soluzioni notevolmente complicate dove si possono intravedere convivere placidamente
idee percussive di stampo spesso africano a soluzioni caustiche degne di certa
sperimentazione europea.
Nei pezzi dove Kowald agisce la spinta propulsiva si accentua enormemente tramite
un sapiente uso dello strumento a 360 gradi che spesso e sovente indugia in fasi
statiche di attesa molto concrete concedendo ampio spazio alle improvvisazioni
degli altri per poi riversare grumoli inafferrabili di sottili e nervosi graffi
ritmici molto colemaniani che caratterizzano in modo ossessivo l’ascolto.
Belli e dico molto belli poi le session a due fra i vari interpreti dove il sottile
gioco di sguardi ed incastri sembra quasi materializzarsi nella stanza per la
tensione che sono in grado di trasmettere all’ascoltatore. Lunar Cycle
è quasi sentore di fine imminente nel suo malinconico affondo nel buio
mentre la conclusiva Dual-Energy X-Ray ci consegna il trio senza più
il contrabbassista a specchiarsi nelle acque torbide del ricordo con una serie
di rumori atmosferici e di sottili filamenti di sax e synth che lentamente ed
inesorabilmente si sottomettono al silenzio sempre più incombente.
Buio come la notte ma da stringere assolutamente fra le braccia per il calore
che irradia.

Voto: 8

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