A PIETRO GROSSI (1917-2002)

Minimalista dieci anni prima dei Minimalisti, pioniere della Computer Music, fondatore dello Studio di Fonologia di Firenze, artista visuale e hacker ante-litteram… (dalle note di presentazione a “Musicautomatica”)

                               

                                     

di Etero Genio no©

Se c’è una cosa che vale la pena di ribadire, ogni qualvolta se ne presenti l’occasione, è che la sperimentazione elettronica italiana vanta una tradizione fra le più ricche dell’intero globo terrestre, sia in campo accademico, con i vari Bruno Maderna, Luigi Nono e Luciano Berio, sia al di fuori dell’accademia dove c’è stato un precursore dell’importanza di Luigi Russolo. Anche la vitalità mostrata in questi anni da un sottobosco musicale in continua crescita, se valutata alla luce di tali premesse, apparirà come un fatto meno incomprensibile. In poche parole è più consono alla nostra tradizione il ragazzo che fa sperimentazione elettronica di quello che suona rock’n’roll. So benissimo che le mie parole, in un momento in cui è costume trovare sopra le tavole la coca cola al posto del vino, e in cui vengono snobbate numerose feste tradizionali in favore di halloween, possono sembrare obsolete; forse lo sono ma non mi riesce di adeguarmi ad una perdita di identità culturale che considero deleteria. Cosa c’entra tutto ciò con Pietro Grossi? Molto, considerando che Pietro Grossi rappresenta un po’ l’incontro, e probabilmente la sintesi, fra i due tipi di sperimentazione sopra descritta, e tenendo conto che ha lanciato segnali premonitori per il futuro facendo base nell’italianissima Firenze, dando ulteriore consistenza a una tradizione da ri-valutare spazzando via ogni complesso d’inferiorità (ma non vorrei che tutto ciò venisse scambiato per bieco nazionalismo!?!!). L’Italia musicale non è davvero circoscritta al liscio, alle romanze e alle canzonette in cui amore fa rima con cuore; c’è dell’altro, anche se c’è carenza di cervelli e istituzioni impegnati nella sua valorizzazione.

Ma torniamo a Pietro Grossi che, da una parte, compie studi classici – si è diplomato in violoncello, ha svolto attività concertistiche e ha scritto composizioni orchestrali e cameristiche – e dall’altra re-inventa il concetto di, e del fare, musica: sua è la frase “il computer ci libera dal genio altrui ed accresce il nostro”. Grossi nasce a Venezia e si diploma a Bologna, in una marcia di avvicinamento verso Firenze dove, diciannovenne, vince il posto di 1° violoncello nell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino; quindi fa base in questa città dove svolge anche attività didattica al Conservatorio di Musica e dove negli anni Sessanta dà inizio alle sue attività più innovative, che si possono ricondurre a due date fondamentali: 1961 (nascita dell’Associazione “Vita Musicale Contemporanea”) e 1963 (fondazione dello Studio di Fonologia Musicale di Firenze “S 2F M”). Ma il primo approccio con l’elettronica avviene in realtà a Milano, presso lo Studio di Fonologia della RAI, dove effettua la sua prima esperienza elaborando una formula in grado di produrre una musica senza fine.

Quindi il suo operato è combinato su due fronti, quello della divulgazione e quello della ricerca; da una parte organizza eventi che illustrano e portano a conoscere la musica contemporanea (l’Associazione “Vita Musicale Contemporanea” è la prima a presentare in Italia l’opera di John Cage) mentre dall’altra avvia una serie di attività come l’insegnamento alla prima cattedra italiana di Musica Elettronica presso il Conservatorio di Firenze e l’istituzione della Divisione di Informatica Musicale presso l’istituto pisano del CNR (CNUCE). È qui che elabora le esperienze di telematica musicale (probabilmente le prime in assoluto) attraverso i collegamenti con Rimini (1970) e Parigi (1974). Contemporaneamente inizia la sperimentazione personale al computer che si concretizza in varie composizioni, ma che non si limita all’aspetto sonoro per abbracciare altri campi espressivi come la grafica. Grossi si distingue anche come programmatore, elaborando concetti quali Homeart (“arte creata da e per se stessi, estemporanea, effimera, oltre la sfera del giudizio altrui”) e Homebook (sistema personalizzato di editoria). Ancora in campo musicale possiamo attribuirgli i primi esempi di ‘installazione sonora’ e le prime indagini sul rapporto fra evento sonoro e architettura (la composizione Sound Life 2 fa libero riferimento alla stazione ferroviaria di Milano). Per mezzo del suo software è possibile estrapolare campioni da un brano qualsiasi, o da più brani, nell’ordine del centesimo di secondo, è possibile effettuare su questi campioni qualsiasi elaborazione e qualsiasi montaggio, così come è possibile intervenire sull’esecuzione, cambiando i paramenti, la disposizione delle parti e la forma del brano, sempre agendo al centesimo di secondo. A fronte di una discografia non nutritissima, ma comunque consistente, sta l’irreperibilità di quasi tutta la sua opera. Benvenuti sono quindi il CD e il vinile recentemente pubblicati da ANTS e Die Schachtel, anche perché sono piuttosto istruttivi per capire la sua opera, dal momento che ne rappresentano alcuni aspetti fondamentali.

Il vinile si apre con Progetto 2-3 del 1961: si tratta della sua prima elaborazione in assoluto, che venne effettuata presso lo Studio di Fonologia della RAI di Milano. Lavorando il giorno nello Studio e la notte a casa di un amico, e utilizzando sistemi primitivi quali il taglio manuale dei nastri, egli mise a punto la prima mezz’ora di un sistema iterativo basato sul calcolo combinatorio che, teoricamente, avrebbe potuto durare all’infinito. “Era la prima volta che avevo l’idea di progettare un sistema simile. Inizialmente escogitai una formula appositamente per la composizione elettronica, anche se poi, controllandola, mi accorsi che la situazione numerica era tale che le fasce generate diventavano troppo strette e si creava una situazione non valida per il proseguimento del processo. Comunque l’idea c’era” (P. Grossi).

Collage, il secondo brano datato 1968, è ancora più importante, considerati i presupposti avveniristici che stanno alla base della sua concezione (guaglio’! qui si mette in discussione addirittura il sacro istituto del copyright!?!!). Questa scrittura, infatti, è fondata sul concetto di opera aperta, cioè di opera che può essere successivamente ri-manipolata sia dall’autore che da altri. Le conclusioni a cui arriva Grossi, pur essendo le stesse, non nascono da un’elaborazione di tipo sociale, ma sono diretta conseguenza dell’analisi sulla spersonalizzazione derivante dall’utilizzo del computer. “Pensai che era inutile mettere il nome nei lavori, dato che quelli che venivano fatti potevano essere considerati elaborazioni definitive ma anche materiale e quindi soggetto ad ulteriori elaborazioni. Decisi così di etichettarli con sigle alfanumeriche” (P. Grossi). Da qui alla messa in discussione del concetto di ‘proprietà intellettuale’, non solo nel settore della musica, il passo è breve e Grossi, consapevole della rivoluzione che sta passando anche fra le sue mani, metterà a disposizione sulla rete i suoi programmi di grafica accompagnandoli con laconici inviti del tipo “Fatene ciò che volete” o “Fate altri centomila lavori con questo programma”. Magari stiamo vivendo un momento in cui la centralità dell’uomo rispetto alla macchina viene riscoperta, anche per quanto riguarda la musica elettronica, e come vedremo tra qualche riga il pensiero di Grossi andava in tutt’altra direzione, ma la messa in discussione della ‘proprietà intellettuale’ è un tema intorno al quale stiamo vivendo proprio in questi anni (in questi giorni, direi) una mobilitazione di portata mondiale che va ad intaccare gli stessi poteri istituzionali.

Unicum, il brano che occupa l’intero secondo lato del vinile, risale al 1985 (quindi a un tempo piuttosto recente) e sviluppa pienamente il concetto di musica automatica, musica creata in base a programmi nei quali il controllo dell’operatore può essere globale come parziale, fino alla totale autonomia del programma stesso. Direi che Unicum (che fa parte di una serie di composizioni) ben rappresenta il compimento delle concezioni del musicista. “Tutto ciò comporta alcuni profondi mutamenti nel modo di pensare la musica in generale. La prima constatazione è che oggi l’esecuzione manuale può non avere nessun senso. Per ottenere un buon esecutore tradizionale dobbiamo selezionarne centinaia di migliaia, secondo un processo di eliminazione a piramide, finché troviamo quello che può soddisfarci. Ma con il computer – anche con un home computer, ce ne sono già alcuni che lavorano a otto o anche a sedici voci – ciascuno di noi può eseguire a suo piacimento brani musicali precedentemente memorizzati. È un’esperienza che io compio ogni giorno: vado al terminale ed eseguo come voglio ‘La Sagra della Primavera’ o un ‘Capriccio’ di Paganini o la ‘Rhapsody in Blue’ di Gershwin, e così via. Lo faccio con assoluta tranquillità e mi permetto di fare di quel brano ciò che voglio. Questa è una condizione nuova: mi libera dall’esecutore. Certo questa condizione la vivo ancora a livello personale; ma ritengo, con questo, di avere cominciato a vivere l’epoca a venire della musica. Che cosa significa eseguire? Significa studiare duramente uno strumento, uno di quegli strumenti – bellissimi, certo – cui anch’io mi dedicavo prima di queste nuove esperienze, ma che appartengono a una tradizione che sta per concludere il suo ciclo. Trovo folle impegnarsi su uno strumento per eseguire, sforzandosi, a malapena qualche suono quando oggi possediamo i mezzi che ci permettono di realizzare subito quanto desideriamo. Il mondo musicale che abbiamo conosciuto fino ad oggi, con la sua ritualità, con i suoi vincoli, con le sue esclusioni e selezioni, con il suo dislivello tra ascoltatore, creatore e dispensatore di musica dovrà ormai trasformarsi radicalmente” (Pietro Grossi)

(Battimento: variazione periodica di intensità dovuta alla sovrapposizione di due suoni di altezza poco diversa.)

I Battimenti, della durata di 30 secondi ciascuno, risalgono circa al 1965 e con la pubblicazione in CD, da parte della ANTS, escono da una circolazione semiclandestina riservata agli addetti ai lavori. Va detto, purtroppo, che parte del materiale che li costituiva è andato perso. Si tratta dell’indagine minuziosa, effettuata con mezzi primitivi e quindi quanto mai difficoltosa e faticosa, sulla combinazione di più suoni sinusoidali – i Battimenti rimastici comprendono combinazioni da 2 a 5 suoni – ciascuno distante dall’altro 1 Hz. Probabilmente i Battimenti erano originariamente concepiti come materiale da rielaborare, questo quando (come tende a precisare Albert Mayr nelle note poste sul libretto che accompagna il CD) non era ancora sorta l’era dei plunderphonics. “Con il nastro, la musica veniva composta direttamente, eliminando il diaframma stesso dell’esecuzione: non più mediazione dell’esecutore nella trasmissione del messaggio musicale. Non soltanto, ma da quel momento il fruitore stesso diventava padrone di intervenire direttamente sul messaggio. Già venticinque anni fa ero in contatto stretto con tutti gli studiosi che si occupavano di musica elettronica, e ci scambiavamo vari nastri registrati che avevano ciascuno un titolo e un autore. E ciascuna volta che ne ricevevo uno ero ben felice di ascoltare ciò che aveva fatto la persona che me l’aveva mandato. Ma io potevo ricavare da quel nastro centinaia d’altri brani, avvalendomi dei mezzi tecnici di cui si disponeva a quel tempo: magnetofoni a velocità variabile, filtri, le forbici stesse. Già si delineava la possibilità di renderci indipendenti dal messaggio, che in precedenza veniva rigidamente fissato su carta pentagrammata e eseguito secondo una prassi ben precisa. Ciascun messaggio fonico inciso su nastro costituiva un punto di partenza per crearne parecchi altri. Con l’elaboratore elettronico queste possibilità operative si sono allargate smisuratamente, portandoci alla totale indipendenza dal lavoro di altri; il calcolatore, direi, ci libera dal genio altrui e esalta il nostro” (Pietro Grossi).

Credo che, per chi non l’ha già fatto, questa sia l’occasione giusta per mettere le mani su un altro tassello di quel mosaico che è la musica elettronica italiana. Conoscere il passato per capire il presente e plasmare il futuro è uno degli elementi fondamentali dell’evoluzione umana.

Discografia

Atmosfera & elettronica  (Lupus)

ElettroMusica n. 1 e n. 2 (Leo records)

GE-115 Computer Concerto (General Electrics, 1968)

Computer Music (Edizioni Fonos, 1972)

Computer Music (CNUCE/CNR, 1973)

Computer Music (CNUCE-IEI/CNR, 1978)

Computer Music – Bach/Grossi (LP, Ayma, 1980)

Paganini al computer (LP, Edipan, 1982)

Computer Music – Satie/Joplin/Grossi (LP, Edipan, 1983)

Sound Life (LP, Edipan, 1985)

S 2F M – Musica Programmata (LP, La Musica, 1986)

Computer Music (LP, Edipan, 1988)

Computer Music (CD, Edipan , 1990)

Musicautomatica (LP, Die Schachtel, 2002)

Battimenti (CD, ants records, 2002)

Bibliografia (selezione)

Musica senza musicisti (a cura di L. Camilleri, F. Carreras e A. Mayr) – Pisa, CNUCE/CNR, 1987

L’istante zero – Conversazioni e riflessioni con Pietro Grossi (a cura di F. Giomi e M. Ligabue) – Firenze, SISMEL/Edizioni del Galluzzo, 1999