Daniele Santagiuliana ‘Jeremiad’

(Looney – Tick Productions 2014)

Puzza di desolata irruenza, isolata e sminuzzata.
Non offre
facile salvezza né spiragli di luce in fondo al tunnel.
Preoccupati
soltanto che le gambe non ti cedano prima del previsto, nessuno ti
aiuterà ad alzarti.
Nel frattempo, procedi e non
fermarti.
Dimentica il noise/industrial di Testing Vault,
Anatomy o Pariah.
Lasciane solo l’odore appiccicato
sulle dita (l’intro di And Then…).
Prendi una notte di
solitudine amplificata, una chitarra acustica, una voce, un organo
Farfisa del 1968, concediti qualche ritmo da patibolo in
avvicinamento e al più un controcanto (le marce sfinite di
Bledam e The Sink Dream).
Evita l’incubo dello
specchio nel bagno e se puoi, affoga nel tuo sudore (il tremito di
Jeremiad).
Difficilmente delle braccia ti scalderanno,
quando il freddo che avanza penetrerà nella stanza (An Obscure
Saint
).
Concedimi un filo d’elettricità sbrecciata, nel
frattempo biascicami otto litanie stordite.
Un osso bianco
esposto, sotto un cielo muto e indifferente.
L’ideale per fasi
licantropico/depressive.
Gli batterei il cinque, gli batterei, ma
non credo apprezzerebbe.

Voto: 8

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